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Lo spread cala? Merito delle politiche che non piacciono di solito al Financial Times…

Meloni non accetti le lusinghe interessate a dipingerla come un San Paolo folgorato sulla via di Damasco e non dimentichi che, se ubbidisse ai desiderata provenienti da quei circoli come il Ft, il suo consenso calerebbe e il prezzo del Btp con esso. Il commento di Liturri

Timeo Danaos et dona ferentes (temo i Greci anche quando portano doni). Con queste parole Laocoonte cercò di dissuadere i Troiani ad introdurre dentro le mura il famoso cavallo donato dai Greci. Sappiamo come finì.

È auspicabile che da qualche parte ci sia un novello Laocoonte per avvertire il Presidente Giorgia Meloni che le lusinghe apparse in prima pagina ieri sul Financial Times vanno prese con le pinze, se non proprio respinte al mittente.

Il quotidiano londinese ha messo con grande evidenza in prima pagina il fatto indiscutibile costituito dalla discesa della differenza di rendimento tra Btp e Bund decennale intorno a 120 punti. Il minimo da due anni a questa parte.

Si tratta di una discesa di circa 50 punti rispetto ai livelli di inizio anno. Per confronto, i corrispondenti titoli francesi e spagnoli hanno migliorato lo spread rispetto ai tedeschi solo di 10-20 punti. Quindi il miglioramento dello spread Italia-Germania è per gran parte attribuibile alla domanda che ha interessato il nostro Btp, e non alla debolezza del Bund. E cominciamo così a separare il grano dal loglio.

Più in dettaglio, in un generale contesto di mercato “risk-on” è il nostro Btp ad attrarre l’attenzione degli investitori, situandosi al margine alto della forbice di rendimento offerta da tutti i titoli governativi dell’eurozona.

Simmetricamente, quando in autunno c’erano ancora tensioni rialziste sui tassi obbligazionari, il nostro Btp era quello più esposto e lo spread era arrivato a sfiorare i 200 punti.

Non convince affatto e anzi ha il sapore del “bacio della morte” la spiegazione che offre il Ft. Che imputa alla “rettitudine fiscale” ed alla “solida relazione con Bruxelles” del governo Meloni il merito di quest’andamento del mercato.

Invece, è forte la tentazione di rappresentare in modo macchiettistico il governo Meloni prono ai desiderata di Oltralpe e per questo premiato con lo zuccherino dello spread basso. Ma le cose stanno diversamente.

Quale “rettitudine fiscale”, ci vien da chiedere al quotidiano londinese? Quella del deficit/PIL 2024 al 4,4% (nel migliore dei casi) simile a quello della Francia e tra i più alti dell’eurozona? Oppure il 7,2% del 2023?

Non dimentichiamo che nel 2018, per un deficit/PIL al 2,4% il governo Conte 1 fu crocifisso in pubblica piazza dai Mercati (sobillati da Bruxelles) per sei settimane.

Se il merito fosse stato della crescita più alta della media europea, allora perché accorgersene solo ora, quando questo fenomeno è in atto dal 2021?

Quale “forte relazione con Bruxelles”? Quella che ci ha visto bocciare clamorosamente in Parlamento la ratifica della riforma del Trattato del Mes? O quella che ci ha visto negoziare un Patto di Stabilità i cui aspetti più pericolosi – pur presenti – sono stati annacquati? O i voti in Consiglio della Ue per attutire i danni della direttiva “imballaggi”, quella sulle case “green” e quella sulla due diligence di sostenibilità per le imprese? Tutti dossier per i quali non si può parlare di successo della linea italiana, ma almeno di un decente lavoro di difesa dei nostri interessi.

È comprensibile la tendenza a “buttarla in politica” ogni volta che sale o scende lo spread. Ma suggeriamo di prestare maggiore attenzione ai fondamentali economici ed alle dinamiche del mercato ed alle enormi differenze rispetto al passato recente e remoto.

Detto del momento tecnico del mercato, che riteniamo il motore principale di questa riduzione dello spread, i fondamentali macroeconomici dell’Italia non sono più quelli del 2011 e del 2018 (per ricordare le due più recenti risalite dello spread). Da allora è migliorata la posizione netta sull’estero – l’Italia è un paese esportatore netto di capitali che affluiscono copiosi anche per merito della bilancia commerciale in avanzo – abbiamo un’inflazione più bassa rispetto a quella media dell’eurozona, e quindi siamo più competitivi. Inoltre Francia e Germania hanno problemi ben peggiori dei nostri. I transalpini si dibattono da tempo con due preoccupanti deficit gemelli (pubblico e con l’estero). I tedeschi hanno visto crollare in pochi mesi i (fragili) pilastri della loro leadership economica: materie prime a basso costo e deflazione salariale. Che interesse hanno a “bullizzare” l’Italia, a fare sorrisini come quello famoso tra Angela Merkel e Nicolas Sarkozy? E con quali strumenti di pressione?

La Meloni non accetti le lusinghe interessate a dipingerla come un San Paolo folgorato sulla via di Damasco, rispetto alle sue presunte velleità antieuropeiste, e non dimentichi che, se ubbidisse ai desiderata provenienti da quei circoli come il Ft, il suo consenso calerebbe e il prezzo del Btp con esso.

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