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Banche Mes

Perché le banche non strapazzano Meloni e Salvini per il no al Mes

Che cosa ha detto il presidente dell'Abi, Patuelli, sul no del Parlamento al Mes, gli umori dei banchieri rispetto al governo e non solo...

Antonio Patuelli getta acqua sul fuoco ed evita di entrare nel ginepraio “Mes sì/Mes no” all’indomani della decisione della Camera di non ratificare la riforma del Meccanismo europeo di stabilità. Il nuovo Mes avrebbe dato al fondo salva-Stati maggiori poteri per risolvere le crisi di liquidità delle banche e l’eventuale fallimento di un istituto di credito.

Ora, in caso di crisi bancarie, c’è il Fondo di risoluzione unico che è pienamente operativo. Ma il «backstop», che sarebbe dovuto entrare in vigore dal primo gennaio se tutti avessero ratificato la riforma, era di fatto una rete in più: una linea di credito da 70 miliardi, a cui i Paesi potranno accedere qualora i loro fondi nazionali per le risoluzioni bancarie (risorse delle banche e non pubblici) non siano sufficienti.

Ma per le banche italiane, il voto del Parlamento non è un dramma. Neppure per i mercati: oggi lo spread Btp-Bund non ha risentito del no italiano.

Ecco che cosa ha detto Patuelli, quali sono gli umori dei banchieri e le parole – di diverso orientamento – dei banchieri centrali.

COS’HA DETTO PATUELLI SUL NO AL MES

Nell’intervista a Repubblica il numero uno dell’Abi ha voluto chiarire: “La questione non è entrare o meno nel Mes. Anche con il voto della Camera l’Italia continua a rimanere nel vecchio Mes con tutti gli altri Paesi”. Patuelli ritiene che il dibattito sul Mes “si è caricato di eccessivi significati politici, ed è per questo che non ci siamo mai pronunciati sul tema, nemmeno in occasione della nostra Assemblea Annuale”.

I CONCERTI NAZIONALI PER SALVARE BANCHE

Per quanto riguarda le crisi bancarie, il numero uno di Palazzo Altieri ricorda che “tutte le crisi bancarie dal 2015 a oggi sono state affrontate con risorse nazionali. Quella del Montepaschi con risorse di Stato e le altre con risorse delle banche concorrenti. Per fortuna adesso nessuno paventa più crisi bancarie, ma nei momenti più difficili, e in vigenza del vecchio Mes, abbiamo fatto da noi. Abbiamo persino salvato la Popolare di Bari, che poi è andata allo Stato”. Sulla ratifica del Patto di Stabilità da parte di Palazzo Chigi, Patuelli chiarisce: “Il Patto di Stabilità era un accordo europeo di trent’anni fa, rientrava nel progetto di Maastricht, rendendo possibile l’adozione dell’euro che ha avuto molte ricadute positive, tenendo bassi i tassi e l’inflazione. Il Patto di stabilità è stato poi sospeso con l’inizio della pandemia: il lavoro di revisione che è stato fatto in questo biennio è un lavoro importante, il meccanismo che ne è venuto fuori è più oliato, meno rudimentale del vecchio accordo. Tiene conto di tutto quello che è successo in questi trent’anni, compresa la nascita dell’Unione Bancaria, 9 anni fa. È un compromesso maturo, che non frena lo sviluppo. E comunque non si poteva pensare di far crescere all’infinito il debito pubblico”.

LE PAROLE DI PATUELLI E IL RUOLO DI INTESA SANPAOLO

La posizione di Patuelli non può essere considerata estemporanea. Per l’esperienza non solo bancaria ma anche istituzionale di Patuelli, se il presidente dell’Abi non ha criticato il voto parlamentare vuol dire che l’impostazione del vertice dell’associazione bancaria è allineata con quelle delle banche associate. D’altronde, l’esito normativo della cosiddetta imposta sugli extraprofitti bancari è stata positiva per gli istituti di credito, rispetto alle intenzioni tonitruanti del governo poi moderate e quindi del tutto superate. Per questo una critica dell’Abi alla maggioranza di governo che ha votato contro (Fratelli d’Italia e Lega) o si è astenuta (Forza Italia e Noi Moderati) non era preventivabile. Anche per il ruolo sistemico come quello rivestito da Intesa Sanpaolo, che con il capo azienda Carlo Messina non ha mai avuto una postura anti governativa, come si evince anche dall’ultima intervista rilasciata ai giornali.

LA RIVENDICAZIONE DEL METODO ITALIANO

Ma non solo. La rivendicazione di Patuelli per le capacità nazionali – grazie a interventi dello Stato come nel caso di Mps e grazie a soluzioni sistemiche miste pubblico-privato come in altri casi (Veneto Banca e Popolare di Vicenza), per non parlare di acquisti di piccole banche claudicanti da parte di grandi istituti – è una medaglia che il mondo bancario italiano si appunta come una medaglia al petto. E poi – chiosa maliziosamente un addetto ai lavori – meglio lavare i panni sporchi in Italia che far gestire una crisi bancaria in Europa come nel caso, chessò, della Banca Popolare di Ragusa”.

MA IN PASSATO IL MONDO BANCARIO COME SI ERA ESPRESSO SUL MES?

Se Patuelli ridimensiona la portata della ratifica della riforma del Mes, con un assist di fatto alla maggioranza di governo e alle posizioni dell’esecutivo espresse dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari, nei mesi scorsi il mondo del credito non aveva mostrato lo stesso atteggiamento. Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia durante i governi Renzi e Gentiloni e oggi presidente del gruppo Unicredit, poco meno di un anno fa aveva criticato una scelta del genere. In diretta da Davos, ai microfoni di Sky TG24, l’aveva definita “un danno reputazionale” per il nostro Paese, in quanto il Mes a suo parere non era “fonte di instabilità”. Ma Padoan, vista anche l’assenza di posizioni del numero uno del gruppo Unicredit, Andrea Orcel, si era forse fatto prendere troppo dalla sua anima politica che notoriamente non palpita per il centrodestra.

LE PAROLE DEI BANCHIERI CENTRALI SUL MES

A fine marzo l’allora governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, durante la sua ultima relazione annuale, non si era tirata indietro sul tema oggi tornato alla ribalta dopo il voto parlamentare: “Non si può non sottolineare la necessità di portare a compimento l’Unione bancaria, attraverso una revisione dell’attuale disciplina di gestione delle crisi nonché l’istituzione di uno schema unico di garanzia dei depositi”. E ancora: “I recenti fenomeni di instabilità osservati al di fuori dell’Unione europea mostrano chiaramente l’importanza di raggiungere questi obiettivi”. Infine, sempre più chiaro: “Non appena sarà pienamente operativa la sua riforma, il Mes potrà svolgere un ruolo importante fornendo una rete di sicurezza finanziaria al fondo di risoluzione unico”.

Assolutamente in linea con Visco il suo successore, Fabio Panetta, entrato in carica lo scorso 1° novembre. Ad agosto, ancora in veste di membro del Comitato esecutivo della Bce, in un articolo pubblicato su Politico, scriveva: “Un cardine di questa strategia è la creazione di un mercato dei capitali integrato a livello europeo, un progetto varato dalla Commissione europea nel 2015 e noto come Unione dei mercati dei capitali”. In questo percorso, però, evidenziava due punti critici: “Il primo è l’assenza di un titolo sovrano privo di rischio emesso su base stabile dall’Ue. Storicamente, i mercati dei capitali più avanzati si sono sviluppati attorno a un titolo sovrano. Negli Stati Uniti, ad esempio, il mercato dei capitali si è formato in parallelo con la crescita del mercato dei titoli pubblici emessi dal governo federale”. A questo andava aggiunto un secondo punto debole ovvero la manca di una unione bancaria completa. “Le banche – rilevava Panetta – rivestono un’importanza cruciale nel funzionamento di tutti i principali mercati dei capitali. Esse operano – di norma con un ruolo di primo piano – in importanti segmenti come la gestione del risparmio, la sottoscrizione e il classamento di titoli obbligazionari, le operazioni di quotazione in borsa e la consulenza finanziaria. Svolgono ovunque un ruolo attivo nei mercati dei titoli sia azionari sia a reddito fisso, spesso fornendo servizi di market-making”.

Insomma, per l’attuale numero uno di Palazzo Koch, era difficile “immaginare una vera e propria Umc senza che i principali attori di mercato – in primo luogo le banche – possano operare liberamente nell’intero mercato europeo. Il panorama globale sta mutando rapidamente, e l’Europa deve porsi all’avanguardia del cambiamento. Per riuscirci, ha bisogno di una vera e propria unione dei mercati dei capitali”.

Del resto, Panetta sul Mes ha sempre avuto le idee chiare. “Nella riforma del Mes non ci sono grandi cambiamenti e bisogna vederla come una sorta di assicurazione che va fatta ora che nessun Paese è in difficoltà sui mercati o con i suoi conti pubblici” aveva affermato l’allora candidato al board della Bce durante un’audizione al Parlamento europeo. “È il momento giusto per introdurla perché nessun Paese è in crisi, o sotto procedura per deficit, gli Stati possono accedere ai mercati a buone condizioni e nessuno sembra aver bisogno del Mes” che è pensato “per rafforzare la zona euro.

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