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Bilancio

Perché Confindustria critica la direttiva Ue sulla sostenibilità delle aziende

Tutte le conseguenze per le aziende della direttiva europea Corporate Sustainability Due Diligence. L'articolo di Sergio Giraldo.

Una selva inestricabile di obblighi e adempimenti degna della peggior burocrazia da tardo impero: benvenuti in Europa. L’ennesimo cappio stretto attorno alle imprese prende questa volta il nome evocativo di Corporate Sustainability Due Diligence (CSDD) ed è la nuova direttiva che Bruxelles ha in serbo per le aziende dell’Unione europea. Anche questa trovata fa parte del maxi-pacchetto denominato Green Deal, lanciato dall’attuale commissione nell’autunno del 2019, un’era geologica fa.

IN COSA CONSISTE LA DIRETTIVA

Nel febbraio 2022 la Commissione europea ha adottato una proposta di direttiva sulla due diligence in materia di sostenibilità aziendale. Scopo della direttiva è “promuovere un comportamento aziendale sostenibile e responsabile e ancorare le considerazioni relative ai diritti umani e all’ambiente nelle operazioni e nel governo societario delle società. Le nuove norme garantiranno che le imprese affrontino gli impatti negativi delle loro azioni, anche nelle loro catene del valore all’interno e all’esterno dell’Europa”. Questo l’enunciato della Commissione. Il testo, quindi, incombeva sulle teste delle aziende da quasi due anni. Il 14 dicembre scorso è stato sancito l’accordo tra Parlamento europeo e Consiglio su un testo finale, che ora dovrà essere adottato formalmente dalle due istituzioni. Quasi certamente prima delle elezioni di giugno 2024.

In pratica, le aziende avranno l’obbligo di adottare la dovuta diligenza nell’isolare, evitare e diminuire le condotte pregiudizievoli dei diritti umani e dell’ambiente. Le aziende dovranno quindi avere dei piani, articolati in processi di individuazione, attenuazione, cessazione e denuncia dei comportamenti, monitorando costantemente la situazione. Questi piani dovranno estendersi anche oltre i confini aziendali e risalire nella catena del valore ai fornitori a monte. Nel caso di aziende che hanno altre aziende come clienti, la due diligence dovrà riguardare anche tali clienti.

Se la cosa vi appare astratta, velleitaria, complessa e farraginosa non c’è da preoccuparsi: è esattamente così. Si tratta di un’altra delle tante mosse “ambiziose” di Bruxelles. Questa volta si tratta di eliminare il male dal mondo attraverso le regole di mercato made in Bruxelles.

La direttiva sul dovere di diligenza definisce le norme in materia di obblighi delle grandi società relativamente ai gravi impatti negativi sull’ambiente e sui diritti umani per la loro catena di attività, che comprende i partner commerciali a monte dell’impresa e, in parte, le attività a valle, quali la distribuzione o il riciclaggio.

La direttiva definisce anche norme in materia di sanzioni e responsabilità civile in caso di violazione di tali obblighi; impone alle imprese di adottare un piano che garantisca che il loro modello di business e la loro strategia siano compatibili con l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici.

NUOVI OBBLIGHI

La direttiva si applicherà alle aziende con oltre 500 dipendenti e un fatturato netto a livello mondiale di oltre 150 milioni di euro, settore finanziario escluso. Tre anni dopo l’entrata in vigore, la direttiva si applicherà anche alle società di paesi terzi con un fatturato netto superiore a 150 milioni di euro generato nell’Ue.

Sulle società di grandi dimensioni grava l’obbligo di adoperarsi al massimo per adottare e attuare un piano di transizione per la mitigazione dei cambiamenti climatici. Per quanto riguarda la responsabilità civile, l’accordo rafforza l’accesso alla giustizia dei portatori di interessi. Stabilisce un periodo di cinque anni entro cui i soggetti interessati dagli impatti negativi possono intentare un’azione legale.

Le aziende che rilevano impatti negativi sull’ambiente o sui diritti umani in capo ai loro partner commerciali dovranno terminare i rapporti, se le condotte non cessano. Sono previste sanzioni sino al 5% del fatturato per chi non ottempera.

Inoltre, esiste già una normativa che riguarda la rendicontazione della sostenibilità, non solo ambientale, ma intesa in senso assai ampio. È la direttiva sul bilancio di sostenibilità (CSRD), che già richiede una serie incredibile di adempimenti. Soprattutto, a rendere onerosa questa direttiva è la indeterminatezza dei confini, cioè l’estensione apparentemente infinita degli obblighi. Entrambe le normative richiedono un’estensione dei processi per la verifica della sostenibilità che vanno oltre i limiti dell’azienda ed anche oltre i confini continentali.

LE LAMENTELE DI CONFINDUSTRIA, MEDEF, BDI E BDA

Le associazioni di industriali dei tre maggiori paesi, l’italiana Confindustria, la francese Medef e le tedesche Bdi e Bda, hanno scritto a Bruxelles evidenziando una serie di problemi assai rilevanti. “Le imprese hanno bisogno di una regolamentazione che metta al centro competitività e crescita. Al contrario, negli ultimi anni abbiamo assistito a livello Ue ad una tendenza ad una regolamentazione sempre più invasiva, che impatta in particolare sulle Pmi e la loro capacità di competere. La proposta di direttiva sulla due diligence ne è un chiaro esempio”, ha detto giorni fa Stefan Pan di Confindustria.

Effettivamente, il rischio concreto è, molto semplicemente, di soffocare le imprese, già gravate da una montagna di oneri burocratici, e di esporle a rischi che in realtà non sono in gradi di gestire. Come e in che misura un’azienda può influenzare i comportamenti di un’altra? Fino a un certo punto è possibile, ma quanto ampia è la responsabilità di un’azienda rispetto ad un’altra? Quanto è “oggettiva” la responsabilità dei soggetti sottoposti alla regolamentazione di Bruxelles?

I RISCHI

La portata della norma è molto ampia, tanto che, sottolineano le associazioni industriali nella loro lettera, vi è il rischio fondato di andare oltre le normative settoriali già in vigore, generando confusione e sovrapposizione di norme.

Altro rischio concreto è che le aziende siano costrette a diventare dei veri e propri poliziotti, incaricati di scoprire condotte illecite o riprovevoli da parte di altri. Compiti che spettano agli Stati, nella loro articolazione giudiziaria. L’obbligo di avere dei processi di denuncia di condotte “non sostenibili” (qualunque cosa questo significhi) rappresenta una sorta di supplenza del braccio giudiziario. Quanto può essere profonda (cioè invasiva) l’attività di monitoraggio delle condotte di altri soggetti?

Ancora una volta, si assiste al grottesco affastellarsi di norme europee che coprono l’universo mondo senza tenere conto della realtà produttiva e delle specificità di tanti settori e di tanti paesi. La bulimia regolatoria di Bruxelles sta mettendo la camicia di forza all’economia europea, già imballata dagli alti tassi e da una governance fiscale che soffoca la crescita. È curioso, ad esempio, che quello che si chiama Patto di stabilità e crescita per generare crescita abbia dovuto essere sospeso. Anziché preoccuparsi di mettere la divisa da poliziotto alle imprese, la Commissione dovrebbe pensare a come rilanciare una vera crescita economica in Europa.

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