skip to Main Content

Iran

Iran e Qatar fanno ricca Hamas

Le criptovalute hanno sicuramente un ruolo importante nel finanziare Hamas, ma la maggior parte dei soldi vi affluisce da tasse sulle attività commerciali o da associazioni di beneficenza, tramite società di comodo o passando direttamente da Israele. Tutti i dettagli

 

Non solo criptovalute. Per aggirare le sanzioni internazionali, il gruppo terroristico Hamas è riuscito a finanziarsi anche con denaro contante arrivato da enti di beneficenza e da Paesi amici compiacenti attraverso il labirinto di tunnel costruito nella Striscia di Gaza.

Matthew Levitt, ex funzionario statunitense specializzato nell’antiterrorismo, citato da Reuters, ha stimato che la maggior parte del budget di Hamas, pari a oltre 300 milioni di dollari, proviene da tasse sulle attività commerciali, da Paesi come Iran e Qatar o da associazioni di beneficenza.

Nel 2014, Forbes lo aveva classificato come il secondo gruppo terroristico più ricco al mondo, solo dopo l’Isis, e stimava che il suo fatturato raggiungesse un miliardo di dollari.

SOLDI (E ARMI) DALL’IRAN

L’Iran, uno dei maggiori sostenitori di Hamas, secondo il dipartimento di Stato americano fornisce a loro e ad altri gruppi palestinesi fino a 100 milioni di dollari all’anno usando società di comodo, transazioni di spedizione e metalli preziosi. Inoltre, stando a quanto affermato da Reuters, l’anno scorso Hamas aveva creato una rete segreta di società che gestivano investimenti per 500 milioni di dollari in aziende dalla Turchia all’Arabia Saudita.

A tutto questo si aggiungono le armi. Sebbene infatti, Teheran affermi di fornire ad Hamas solo sostegno morale e finanziario, recenti foto e video dell’esercito israeliano hanno mostrato che nell’efferato attacco dello scorso 7 ottobre e nei giorni seguenti sono stati utilizzati mortai, lanciarazzi, mine anti-carro, parapendii e fucili quasi tutti di fabbricazione iraniana o prodotti all’interno della Striscia di Gaza secondo indicazione provenienti dalla Repubblica islamica.

Non a caso, in un’intervista rilasciata l’anno scorso ad Al-Jazeera, il leader politico di Hamas Ismail Haniyeh aveva rivelato che l’Iran aveva versato al gruppo un totale di 70 milioni di dollari per aiutarlo a sviluppare missili e sistemi di difesa.

SOLDI (E GAS) DAL QATAR

Negli anni anche il Qatar è diventato un altro Paese che ha fortemente sostenuto Hamas attraverso soldi e gas. Secondo Reuters, dal 2014 ha versato centinaia di milioni di dollari a Gaza, “spendendo a un certo punto 30 milioni di dollari al mese per contribuire al funzionamento dell’unica centrale elettrica dell’enclave e per sostenere le famiglie bisognose e i dipendenti pubblici del governo gestito da Hamas”.

“L’aiuto del Qatar – ha dichiarato un funzionario qatariota – consiste nel dare 100 dollari alle famiglie palestinesi più povere e prolungare il periodo di elettricità durante il giorno a Gaza”.

MA COME ARRIVANO I SOLDI A GAZA?

Se l’Iran ha utilizzato società di comodo per dare il proprio appoggio ad Hamas, il Qatar, stando all’agenzia di stampa, non si è nemmeno dovuto ingegnare più di tanto: passa direttamente per Israele.

I fondi, spiegano fonti che hanno familiarità con la questione, vengono trasferiti elettronicamente dal Qatar a Israele, poi funzionari israeliani e delle Nazioni Unite portano a mano il contante oltre il confine con Gaza.

Il denaro, precisa Reuters, viene distribuito direttamente alle famiglie bisognose e ai dipendenti pubblici di Gaza e chiunque lo riceve deve firmare accanto al proprio nome. Una copia del foglio va a Israele, una alle Nazioni Unite e una al Qatar.

LE TASSE RISCOSSE DA HAMAS

Ma Hamas, che gestisce la Striscia di Gaza dal 2007, stando a Euronews, “ogni mese incassa tra i 12 e i 15 milioni di dollari dalle tasse che impone sulle merci provenienti dall’Egitto; i prodotti più tassati sono le sigarette, il carburante e persino i materiali da costruzione”. Inoltre, nel 2022, il gruppo ha anche imposto nuove tasse sui prodotti importati dalla Cisgiordania.

ZAKAT, LA BENEFICENZA PREVISTA DALL’ISLAM

Un altro canale sfruttato da Hamas per arricchire le proprie casse, si legge su Adnkronos, è quello di appropriarsi di somme di denaro destinate alla Zakat, la carità che tutti i musulmani con un certo reddito sono tenuti a fare per sostenere i più bisognosi, secondo quanto previsto da uno dei cinque pilastri fondamentali dell’Islam.

Tuttavia, a quanto ammontino le cifre non è dato sapere. Le risorse arrivano da tutto il mondo ma per le autorità è impossibile distinguere i fondi ‘sporchi’ dagli aiuti umanitari, indispensabili per la popolazione palestinese. Come ha spiegato infatti anche la Guardia di Finanza italiana, le somme destinate alla Zakat non vengono registrate in bilancio, restando quindi irrintracciabili, e tutte le registrazioni contabili sono distrutte a transazione completata.

È POSSIBILE FERMARE IL FLUSSO DI DENARO DIRETTO AD HAMAS?

Nonostante con l’inizio del conflitto sarà più difficile per Hamas accedere a finanziamenti noti di questo tipo, secondo un esperto del think tank Royal United Services Institute interpellato da Reuters, “i nuovi tentativi di limitare completamente l’accesso del gruppo a questi canali avrà un successo limitato”.

Va ricordato che Hamas, nell’ultimo periodo ha preso un po’ le distanze dalle criptovalute, ma ne è anche stato uno dei maggiori utilizzatori per il finanziamento del terrorismo. Tuttavia, per quanto solitamente in passato la raccolta di fondi in cripto è aumentata in seguito ad azioni violente, stavolta secondo i ricercatori di blockchain TRM Labs, “i principali gruppi di sostegno legati ad Hamas hanno spostato solo poche migliaia di dollari attraverso le criptovalute”.

La ragione potrebbe essere stato l’intervento delle autorità israeliane, che affermano di aver sequestrato quasi 190 conti di criptovaluta e “decine di milioni di dollari” in moneta digitale da indirizzi legati ad Hamas negli ultimi anni.

Operazione che si è ripetuta anche all’inizio di questa settimana insieme al congelamento di un conto bancario della Barclays, sempre collegato alla raccolta di fondi del gruppo terroristico.

Rafforzare i controlli è quindi necessario, ma tagliare gli aiuti, come aveva inizialmente pensato l’Unione europea, o interrompere i canali che hanno questa finalità non può essere la soluzione perché, come evidenzia il Guardian, “Gaza è stata spinta in uno stato di forte dipendenza dal sostegno internazionale – più dell’80% della popolazione fa affidamento sugli aiuti umanitari per soddisfare le proprie necessità di base – principalmente come conseguenza di un blocco che dura da 16 anni e di una serie di devastanti offensive militari israeliane contro Hamas nell’enclave densamente popolata”.

Back To Top