skip to Main Content

Hamas

Dove ha preso i soldi Hamas?

Un’inchiesta del Wall Street Journal rivela che Hamas, nell’anno che ha preceduto l’assalto a Israele, ha raccolto milioni di dollari in criptovalute. Ma oltre a bitcoin, dogecoin e tether, il gruppo terroristico ha ricevuto moltissimi soldi anche tramite altre vie, più o meno legali, e non solo dall’Iran. Tutti i dettagli

 

Razzi, droni, parapendii, ma anche cellulari con fotocamere e connessioni internet per trasmettere tutto in mondovisione. Come ha fatto Hamas a procurarsi i soldi per tutta questa moderna tecnologia? Per il Wall Street Journal, in parte con le criptovalute.

Le sollecitazioni pubbliche dei suoi affiliati, come le brigate al-Qassam – l’ala militare di Hamas guidata da Marwan Issa e Mohammed Deif -, a donazioni in bitcoin (oggi sempre meno utilizzato) risalgono almeno al 2019, ma anche altre valute sono legate a questi gruppi. Tra queste il dogecoin, la criptovaluta spesso promossa da Elon Musk, e le stablecoin tether e USDC che, essendo ancorate al dollaro statunitense, non soffrono della volatilità che colpisce altri token.

QUANTI SOLDI HA RACCOLTO HAMAS IN CRIPTOVALUTE

Secondo il Wsj, “durante l’anno precedente agli attentati, tre gruppi militanti – Hamas, Jihad islamica palestinese (Pij) e il loro alleato libanese Hezbollah – hanno ricevuto grandi quantità di fondi attraverso le criptovalute”.

Nel dettaglio, il Pij ha ricevuto 93 milioni di dollari in criptovalute tra l’agosto del 2021 e il giugno di quest’anno e Hamas circa 41 milioni di dollari in un periodo di tempo simile. Sabato scorso i militanti del Pij si sono uniti ad Hamas per attaccare in Israele.

Nonostante non sia chiaro come sia stato utilizzato quel denaro, nel 2022 le autorità statunitensi hanno sanzionato l’ufficio investimenti di Hamas, che secondo loro aveva un patrimonio di 500 milioni di dollari.

L’IMPOSSIBILITÀ DI CONTROLLARE LA FINANZA DECENTRALIZZATA

Le transazioni in criptovaluta, osserva il quotidiano economico statunitense, evidenziano come gli Stati Uniti e Israele abbiano faticato a interrompere l’accesso di questi gruppi – considerati tutti e tre organizzazioni terroristiche dal governo Usa e, dunque, soggetti a sanzioni che ne limitano l’accesso al sistema bancario internazionale – ai finanziamenti esteri.

Ma quello delle criptovalute è un pozzo senza fondo, una specie di buco nero difficile da controllare. Ancora ieri la polizia israeliana ha dichiarato di aver congelato altri conti in criptovalute utilizzati da Hamas per sollecitare donazioni sui social network. Come spiega il Wsj, questi tipi di moneta digitale consentono agli utenti di bypassare le banche trasferendo istantaneamente i token tra i portafogli digitali, che normalmente sono conservati presso una borsa di criptovalute.

L’anno scorso, un rapporto del dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti affermava che “le lacune nei controlli sulla criminalità finanziaria presso tali borse di criptovalute possono consentire ai gruppi terroristici di utilizzarle in modo improprio”. Anche lo Stato Islamico e Al Qaeda hanno ricevuto donazioni così e le Nazioni Unite stimano che le criptovalute costituiscano il 20% del finanziamento globale del terrorismo.

Solo lo scorso luglio il National Bureau for Counter Terror Financing di Israele ha richiesto il sequestro di tutte le criptovalute detenute su 67 conti di clienti di Binance, la più grande borsa di criptovalute del mondo.

ERA TUTTO SOTTO GLI OCCHI DI TUTTI?

Sebbene, per gli esperti, Hamas sia considerato uno dei più sofisticati utilizzatori di criptovalute nell’ambito della finanza del terrore – alcuni di loro partecipano anche all’attività di mining -, l’invito del gruppo terroristico a donare per il suo finanziamento non era poi così discreto.

Almeno dal 2019, infatti, le brigate al-Qassam hanno iniziato a chiedere ai sostenitori sul proprio canale Telegram di donare bitcoin: “La realtà del jihad è il dispendio di sforzi ed energie, e il denaro è la spina dorsale della guerra”, aveva scritto il gruppo in un post, allegando un indirizzo di portafoglio che, stando al Wsj, quell’anno ha ricevuto circa 30.000 dollari in bitcoin.

Come afferma Elliptic, un fornitore di analisi blockchain, la sollecitazione di donazioni attraverso canali di social media o siti dedicati fornendo un singolo indirizzo di portafoglio di donazione in criptovaluta è probabilmente la forma più comune di finanziamento del terrorismo basato sulle criptovalute. Secondo loro, organizzazioni terroristiche come lo Stato Islamico, al-Qaeda e al-Qassam hanno raccolto collettivamente più di 3 milioni di dollari da campagne pubbliche di raccolta fondi.

Il grafico di Elliptic Investigator mostra come i gruppi estremisti ricevono fondi da diverse fonti.

Per Elliptic, alcuni gruppi, tra cui al-Qassam, hanno sospeso le loro campagne a causa dell’aumento dei rischi, mentre altri hanno offuscato le loro attività accettando solo donazioni in criptovalute con garanzia di privacy.

NON SOLO CRIPTOVALUTE E IRAN

Ma il finanziamento di Hamas, come affermano ricercatori citati dal Wsj, non avviene solo tramite le criptovalute. A foraggiare la macchina da guerra sono anche i contanti che arrivano a Gaza dall’Egitto, per non parlare dei circa 100 milioni di dollari all’anno provenienti regolarmente dall’Iran.

Inoltre, per Andrea Molle, politologo, professore di Scienza Politica e direttore del master in Studi Internazionali presso la Chapman University, il maggior benefattore di Hamas è diventato col tempo il Qatar, che dai 400 milioni di dollari donati nel 2012 è arrivato oggi a quasi 1 miliardo. Ufficialmente “per aiuti e lavori di ricostruzione nella Striscia di Gaza”, ma che in realtà sono andati sicuramente in parte a “finanziare il terrorismo”, oltre che a “rendere Gaza una fortezza” con una “rete di tunnel sotterranei che renderà l’attuale intervento israeliano molto difficile e sanguinoso”.

“Purtroppo – prosegue Molle – la dura realtà è che Hamas riceve la maggior parte dei suoi fondi tramite canali umanitari. In parte si tratta di denaro che arriva dai palestinesi espatriati in Europa e Nordamerica e da donatori privati residenti nel Golfo Persico. Sono molti gli enti di beneficenza islamici operanti in Occidente che raccolgono denaro che viene poi indirizzato verso gruppi che, sulla carta, offrono servizi sociali ma che sono controllati da Hamas”.

“Il secondo canale principale – ha aggiunto il professore – è quello degli aiuti statali, o di organizzazioni internazionali, come l’Unione europea. Si tratta di fondi molto ingenti che sappiamo essere, almeno in parte, intercettati da Hamas e altre organizzazioni terroristiche”.

Infine, Molle afferma che “oltre a Iran, Arabia Saudia e Qatar, è noto che l’Egitto, i paesi del Golfo, il Sudan, l’Algeria e la Tunisia hanno da sempre offerto la loro entusiastica assistenza ad Hamas”. La Russia, invece, per quanto avvantaggiata da una situazione di destabilizzazione globale, secondo lui, non sembrerebbe essere coinvolta nei finanziamenti, mentre non è chiaro il ruolo della Cina.

Back To Top