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Ecco come e perché Urso tampona Stellantis

Cosa ha detto il ministro Urso sulle prospettive di Stellantis in Italia, sul ruolo del governo e sul possibile ingresso di nuovi produttori automobilistici (anche cinesi?) al tavolo su Melfi. Tutti i dettagli.

Su Stellantis “il governo ha già dato, nel senso che ha realizzato cose che prima sembravano impossibili. Ora tocca all’azienda adattare il suo piano industriale, finanziario e di internazionalizzazione rispetto a quello che il sistema Italia si aspetta”. Stando a quanto dichiarato oggi dal ministro delle Imprese Adolfo Urso, a margine del tavolo sullo stabilimento di Melfi, “ora è l’azienda”, cioè Stellantis, “che deve dare all’Italia”.

LE PAROLE DI URSO

“Io capisco che Tavares tuteli gli interessi dei suoi azionisti“, cioè Exor (14,2 per cento), la famiglia Peugeot (7,1 per cento) e la banca pubblica francese Bpifrance (6,1 per cento), “ma il governo tutela gli interessi degli italiani e mi auguro che ci sia una convergenza tra gli interessi degli azionisti a massimizzare il loro profitto e gli interessi degli italiani a tutelare e rafforzare una industria cuore del sistema industriale automotive”.

Urso ha detto che il governo di Giorgia Meloni ha già dato il suo contributo: “ha cambiato la politica europea sul settore auto, ha realizzato un piano di incentivi all’innovazione per le imprese compreso il settore auto come Transizione 5.0 e ha realizzato un piano di incentivi per l’auto, rivolto soprattutto alla rottamazione di auto vecchie e inquinanti e all’acquisto delle auto più ecologicamente sostenibili”.

COSA FARÀ STELLANTIS A MELFI?

A detta di Urso, Stellantis ha “ribadito che intende realizzare cinque modelli a Melfi, che era l’impegno che prese Tavares”, l’amministratore delegato, “quando ci incontrammo qui” al ministero delle Imprese. “Oggi è iniziato un percorso per fissare stabilimento per stabilimento gli obiettivi”, ha aggiunto il ministro.

IL GOVERNO MELONI CERCA ALTRI PRODUTTORI AUTO

Urso ha poi ricordato poi come il governo sia aperto ad attirare altri produttori automobilistici in Italia “perché se l’azienda (cioè Stellantis, ndr) ci dice che i due terzi delle sue produzioni saranno destinata all’estero, allora il delta tra produzione in Italia e immatricolazioni in Italia aumenta, è più ampio di quanto si può pensare. Se questo delta non lo riempie Stellantis, noi cercheremo altre aziende disponibili a coprire questo delta”.

Stando alle ricostruzioni giornalistiche e alle passate dichiarazioni di Urso, il governo Meloni ha discusso della possibilità di aprire stabilimenti in Italia con diverse case automobilistiche, sia cinesi (una di queste è BYD, leader nel mercato dei veicoli elettrici) sia statunitensi come Tesla.

Il governo Meloni punta ad avere in Italia una produzione di almeno 1 milione di vetture e 300.000 veicoli commerciali leggeri all’anno: si tratta – a detta di Palazzo Chigi – del volume minimo a garantire la tenuta della filiera nazionale dell’automotive. Durante il tavolo su Melfi, Urso ha detto che “se non c’è un aumento significativo dei modelli [prodotti da Stellantis] quest’anno, i fondi andranno tutti a incentivare l’insediamento di altri produttori in Italia e alla trasformazione del settore”.

“Diverse case automobilistiche che non hanno siti produttivi in Europa sono alla ricerca del posto e del paese dove investire. L’Italia”, ha aggiunto il ministro, “credo che sia il paese che ha le maggiori attrattività in questo momento, proprio perché è l’unico paese produttore di auto in Europa ad avere una unica casa automobilistica. Abbiamo una forza lavoro predisposta e una industria dell’indotto eccellente in Italia e che lavora con produttori esteri. Abbiamo un ecosistema” adatto all’automotive.

DAZI ALLA CINA?

Nonostante i colloqui con i produttori cinesi, Urso ha detto anche di ritenere “verosimile che sulle auto cinesi l’Europa nei prossimi mesi faccia quello che hanno fatto gli Stati Uniti, che vuol dire che si andrà su una strada che tutelerà la produzione europea dalla concorrenza sleale”.

Il ministro faceva riferimento all’inchiesta anti-sovvenzioni sui veicoli elettrici provenienti dalla Cina che la Commissione europea ha avviato lo scorso settembre. “In questo momento i mercati globali”, aveva spiegato la presidente Ursula von der Leyen, “sono inondati da economiche auto elettriche cinesi. E il loro prezzo è tenuto artificialmente basso da enormi sussidi statali. Questo distorce il nostro mercato”.

L’inchiesta potrebbe portare all’imposizione di dazi sui veicoli elettrici importati dalla Cina. Dazi che però BYD, ad esempio, potrebbe aggirare grazie alla sua postazione manifatturiera in Ungheria, dove aprirà il suo primo stabilimento in territorio europeo: l’Ungheria, quindi, potrebbe diventare il punto d’accesso di BYD al mercato europeo delle case automobilistiche cinesi. L’Italia potrebbe servire allo stesso scopo, qualora l’azienda decidesse di investirvi.

Il governo Meloni, in sostanza, considera la Cina sia una concorrente economica da ostacolare, sia un’alleata fondamentale per l’aumento della produzione automobilistica italiana. BYD, però, deve il suo successo all’integrazione verticale: oltre alle auto, è anche una delle principali società produttrici di batterie al mondo e difficilmente, dunque, si rifornirebbe dalle imprese italiane per i componenti delle sue vetture.

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