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Chery

Mon Chery, l’auto elettrica cinese corteggiata dal governo Meloni

Il colosso cinese a forte vocazione internazionale (ha già esportato 2 milioni di vetture in tutto il mondo) guarda all'Italia dai tempi della Fiat di Marchionne. Tutto su Chery

Da Fiat, Lancia e Alfa Romeo a Chery. Sarà cinese il prossimo grande produttore di auto del nostro Paese. Una vera e propria rivoluzione dalla portata storica, non solo industriale, ma anche ideologica, considerate alcune sparate nemmeno così lontane nel tempo di diversi esponenti del governo, come per esempio Matteo Salvini, leader leghista, che ancora nel 2020, nel pieno della pandemia, manifestava davanti all’ambasciata cinese a Roma a favore di Hong Kong.

Il relativo post su Facebook, con parole di fuoco indirizzate a Pechino (“L’ambasciata cinese non si azzardi a paragonare la Cina all’Italia. A Pechino non esistono partiti alternativi a quello comunista, l’opposizione è imbavagliata, a Hong Kong vengono arrestati perfino i ragazzini con inaudita violenza”), ancora visibile su Google, nel frattempo è stato rimosso. Ma la nota, riportano le agenzie, era vergata anche dall’allora responsabile del dipartimento Esteri del partito, Giancarlo Giorgetti, attuale ministro dell’Economia.

Ancora lo scorso anno, sempre Salvini malignava: “Mi viene il dubbio che, siccome all’Europarlamento hanno trovato qualcuno guarda caso di sinistra che aveva le valigie piene di denaro contante dei paesi islamici, chissà se fra un po’ non ne troveranno anche altre piene di denaro contante che arriva dalla Cina, per votare certe leggi che sono anti-italiane anti-europee e favoriscono solo il gigante Oltreoceano (che in realtà per l’Italia oltreoceano non è, ndr)”.

Alla fine gli accordi con i produttori cinesi di auto elettriche li ha però fatti all’Italia. Da mesi infatti si parla di contatti con Byd, il marchio che ha superato nel 2023 Tesla in auto a batteria sfornate dai propri impianti mentre per il momento la scelta sarebbe ricaduta su Chery (o così almeno, come vedremo, spera il nostro governo: la corteggiata ancora nicchia). Quel che è certo è che Chery aveva già messo in conto da tempo di sfruttare il nostro Paese per sbarcare nel Vecchio continente.

L’ACCORDO CON LA MOLISANA DR

I suoi motori e le sue vetture, del resto, percorrono da anni le strade italiane, anche se nessuno lo sa visto che lo fanno sotto un altro marchio, quello di dr Automobiles Groupe. Negli stabilimenti molisani c’era stato recentemente l’onnipresente Matteo Salvini ad apporre l’imprimatur sovranista: “La dr Automobiles Groupe è un’azienda straordinaria perché già fare impresa in Italia è cosa notevole vista la burocrazia, farlo in Molise vale doppio”, aveva affermato il ministro dei Trasporti al termine di una visita alla sede di Macchia d’Isernia. “Questo vale per la dr Automobiles o per la Molisana, perché qua ci sono costi notevoli di trasporto, di logistica, di trasferimento del prodotto ai consumatori”, aveva spiegato il segretario dl Carroccio.

Tuttavia non si può dire che le auto sfornate dall’ex pilota Massimo Di Risio (da qui l’acronimo), fondatore e presidente del Gruppo dr Automobiles, siano totalmente italiane. Fin dal 2006, data di nascita del marchio, quando ancora la distribuzione era frutto di un accordo con i supermercati Iper,  l’obiettivo di Di Risio era quello di assemblare auto, con leggere modifiche estetiche, provenienti dalla Cina, prodotte dal colosso asiatico da Chery Automobile con quartier generale a Wuhu.

AUTO PROVENIENTI DA WUHU E DA HEFEI

Nello stabilimento italiano le componenti vengono assemblate per metterle a punto e commercializzarle con il proprio marchio. Che proprio per questo non possono essere definite realmente italiane. L’auto del debutto, per esempio, la dr 5 altra non era che la cinese Chery Tiggo riadattata per il mercato italiano. La dr 1, city car a 5 porte dal prezzo economico e dotazioni ridotte era invece strettamente imparentata con la Riich M1 venduta in Cina sempre da Chery.

Anche la seconda generazione della famigerata Chery QQ (la prima generazione è stata quella accusata dagli americani di plagio della Matiz, come si vedrà a breve) è stata commercializzata in Italia e in alcuni Paesi europei proprio da dr Automobiles sotto la denominazione dr Zero. In questo caso interni ed esterni vennero realizzati dall’italiana Torino Design.

Lo scorso ottobre l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha avviato un’istruttoria nei confronti di dr Automobiles per “possibili condotte illecite durante la promozione e la vendita delle autovetture a marchio dr ed Evo”. Per l’Agcm la società molisana ometterebbe informazioni rilevanti sull’origine delle auto, lasciando intendere che siano prodotte interamente in Italia

IL CLONE DELLA MATIZ

In Occidente Chery è un marchio finora del tutto sconosciuto. Gli appassionati di auto ne avranno sentito parlare nei primi anni 2000, quando s’è fatta conoscere soprattutto per una lunghissima querelle giudiziaria con la statunitense Chevrolet, divisione di GM, che l’accusava di aver copiato la sudcoreana Daewoo Matiz di cui era divenuta di recente la proprietaria.

chery qq
La Chery QQ. La somiglianza con la Matiz è innegabile. (Frame tratto dalla trasmissione britannica “Top Gear”)

E in effetti la Chery QQ di prima generazione somigliava fortemente alla Matiz, con una sola differenza: il prezzo. Per acquistarla bastava l’equivalente di 4.800 euro, quanto si sborsa insomma per un buon motorino. Fu anche bonariamente presa in giro dai due noti giornalisti britannici del settore, Jeremy Clarkson e James May nel loro special di Top Gear dedicato alla Cina, inserita tra le vetture “clone” dell’allora corsaro mercato asiatico.

CHERY AMA L’ITALIA

Sono anni che Chery guarda all’Italia per soddisfare la sua vocazione all’export che le ha permesso di vendere nel mondo oltre 2 milioni di veicoli (per lo più a combustione interna) negli 80 Paesi in cui esporta. Nella seconda metà degli anni 2000 trattò direttamente con Fiat che all’epoca pareva interessata a una joint venture per lo sbarco in Cina del gruppo automobilistico di Torino. Joint Venture che però saltò tre anni dopo la firma di un memorandum d’intesa, quando sarebbe dovuta partire realmente.

Recitava il comunicato stampa dell’epoca, datato 7 agosto 2007, integralmente ripreso dalla Stampa: “Situata a Wuhu, nella provincia di Anhui, la costituenda joint venture produrrà e distribuirà vetture Alfa Romeo e Fiat di Fiat Group Automobiles e vetture Chery. Si stima che la JV produrrà 175.000 vetture l’anno.L’avvio produttivo è previsto per il 2009”. Nel 2009, però, fu proprio Fiat a tirarsi indietro.

I NUMERI DI CHERY

Nel frattempo Chery non ha mai smesso di crescere. Soltanto lo scorso anno i suoi 17mila dipendenti hanno sfornato quasi 2 milioni di auto, per la precisione 1.881.000 unità. Risultato ragguardevole se si considera che nella sua storia, iniziata nel 1997, ne hanno prodotte dieci milioni.

Per fare un parallelo, nello stesso periodo Fiat s’è fermata a 1,35 milioni di auto consegnate in tutto il mondo. Ed è ormai noto che solo una parte di quelle vetture è realizzata in Italia, se si pensa alle Topolino e 600 realizzate in Marocco e Polonia e alla 500 ibrida algerina.

CHERY FARÀ AUTO IN ITALIA?

Secondo fonti anonime citate da Reuters il governo italiano avrebbe offerto al  possibilità al marchio guidato da Yin Tongyue di ristrutturare uno stabilimento esistente, così da accorciare i tempi per lo sbarco nel Bel Paese. Ma si parla anche di una gigafactory da costruire ex novo.

L’obiettivo dell’esecutivo di casa nostra è, com’è noto, ritornare a una produzione di auto al di sopra del milione, per la precisione 1,3 milioni, cifra ritenuta indispensabile per la salvaguardia dell’intera filiera.

Il disimpegno di Stellantis nel Paese ha portato il governo nei mesi scorsi a sondare appunto l’eventuale interesse di marchi esteri come Byd e Tesla. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, aveva confermato contatti in corso da almeno otto mesi “con tre gruppi cinesi e aziende occidentali”, indispettendo peraltro il numero 1 di Stellantis, Carlos Tavares, con cui il medesimo governo ha un tavolo per le trattative aperto da agosto.

La principale contendente europea del nostro Paese sarebbe la Spagna che ha proposto ai cinesi di colonizzare una ex fabbrica Nissan nei pressi di Barcellona. Al momento Chery si lascia corteggiare sorniona da tutti i pretendenti del Vecchio continente. Il direttore generale di Chery Europe – Jochen Tueting – ha infatti dichiarato a Reuters che il Gruppo starebbe “esplorando differenti possibilità in Europa per cercare un potenziale asset produttivo per il futuro. In questo momento stiamo discutendo in diverse sedi europee”. Il manager non ha aggiunto altro, citando vari accordi di non divulgazione firmati tra le parti.

Sul finire degli anni 2000, come si è detto, quando era Chery a corteggiare l’Italia e la sua Fiat, furono gli italiani a tirarsi indietro sul più bello. Un quarto di secolo dopo la situazione si è ribaltata. E Roma ovviamente confida che i cinesi non siano ancora offesi…

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