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Chery

Tutto su Chery, il terzo marchio cinese che debutterà in Europa (partendo dall’Italia)

Il Suv full electric Omoda sarà il primo modello con il quale il marchio cinese sbarcherà in Italia. Al momento quasi nessuno conosce Chery, ma in realtà è già presente da tempo nel nostro Paese... 

BYD, Nio e ora Chery. Sono le Case cinesi, ignote ai più, che gli europei a breve conosceranno bene perché, giunte da lontano e sospinte fin qui dall’ebbrezza del Vecchio continente per la transizione ecologica, stanno per irrompere nel nostro mercato, forti dei loro agguerritissimi modelli elettrici.

COME MAI CHERY HA SCELTO L’ITALIA

Chery, in particolare, ha scelto l’Italia e la Spagna come Paesi di primo sbarco: una decisione particolare, dato che entrambe le nazioni mediterranee difettano ancora di una infrastruttura adeguata, che di fatto rallenterà il passaggio verso l’elettrico. Ma non deve sorprendere nemmeno più di tanto visto che Chery, già partner della italiana (molisana) DR, è di fatto già presente, anche se con una quota infinitesimale, sulle nostre strade. Ma adesso la dirigenza cinese opererà direttamente nel Bel Paese, senza rebranding e con una propria catena di distributori.

LA QUERELLE STORICA CON GM

“Siamo stati in testa alle esportazioni di veicoli a combustione interna per molti anni e lo stesso vale per i veicoli a nuova energia”, ha dichiarato Zhu ShaoDong, Vice direttore generale di Chery International suonando la carica per la conquista di nuovi Paesi. Attualmente il marchio è presente in più di 80 nazioni e ha già prodotto, secondo i dati forniti, oltre dieci milioni di veicoli. Del resto, fin da quando è stata fondata, nel 1997, l’azienda di Wuhu ha subito guardato all’estero, oltre che al mercato interno. E all’estero, nei primi anni 2000, s’è fatta conoscere soprattutto per una lunghissima querelle giudiziaria con la statunitense Chevrolet, divisione di GM, che l’accusava di aver copiato la sudcoreana Daewoo Matiz di cui era divenuta di recente la proprietaria.

chery qq
Un fotogramma della trasmissione della BBC “Top Gear”

E in effetti la Chery QQ somigliava fortemente alla Matiz, con una sola differenza: il prezzo. Per acquistarla bastava l’equivalente di 4.800 euro, quanto si sborsa insomma per un buon motorino. Fu anche bonariamente presa in giro dai due noti giornalisti britannici del settore, Jeremy Clarkson e James May nel loro special di Top Gear dedicato alla Cina, inserita tra le vetture “clone” dell’allora corsaro mercato asiatico.

Un approccio corsaro rispetto ai marchi occidentali che veniva caldeggiato dal governo stesso che, non dimentichiamolo, detiene partecipazioni in ogni azienda nazionale e che veniva tollerato ovviamente dalla magistratura cinese, a digiuno di tutta quella parte del codice civile che riguarda la tutela di marchi e brevetti internazionali, tant’è che tutto finì in una bolla di sapone.

Ma l’aspetto più curioso della vicenda, che la differenziò dai tanti episodi analoghi di quegli anni in cui il mercato dell’auto cinese si riempì di cloni più o meno riusciti di affermati marchi occidentali (per farvene un’idea vi rimandiamo sempre alla puntata di Top Gear), è che, all’epoca, il 20% della Chery Automobile apparteneva a una joint-venture cinese fra la stessa GM e la Saic, dato che le leggi in vigore fino al dicembre 2021 imponevano ai marchi occidentali di apparentarsi con quelli nazionali per distribuire e produrre in loco. Come a dire: se il partner occidentale si fosse lamentato, avrebbe rischiato di perdere il proprio accesso al mercato cinese…

LA CINA SEMPRE PIU’ VICINA

Ora però la Cina non ha più bisogno di simili mezzucci per accrescere la propria presenza sul mercato: si è mossa con sufficiente lungimiranza da poter dominare il mondo delle auto EV, tanto più che l’Ue, benché voglia mettere al bando a breve l’intera industria che produce motori endotermici, non ha un piano industriale altrettanto valido e, comunque, resta carente di tutti quei materiali essenziali per la produzione delle batterie. Materiali che si trovano in Cina o in Africa, in miniere acquisite da tempo da Pechino. Parallelamente, la qualità delle sue auto è cresciuta enormemente, tanto che la Suv full electric Omoda, con la quale il marchio cinese sbarcherà in Italia, ha senz’altro tutte le carte in regola per competere con le rivali occidentali ma anche asiatiche, posizionandosi sulla medesima strada di BYD, che arriverà in Europa puntando anch’essa su Suv completamente elettrici. E l’Occidente, come ai tempi dei cloni più spudorati, resta a guardare. Anzi, inizierà a comprare le vetture cinesi…

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