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Come rilanciare Alitalia?

Il commento dell’editorialista Guido Salerno Aletta sul dossier Alitalia Si riapre il dibattito sul futuro di Alitalia. Anche per il contributo del ministro dei Trasporti Danilo Toninelli, che nei giorni scorsi ha indicato l’obiettivo di mantenere in mani italiane il controllo della compagnia aerea. Purtroppo però il dibattito sul futuro del vettore rischia di essere…

Si riapre il dibattito sul futuro di Alitalia. Anche per il contributo del ministro dei Trasporti Danilo Toninelli, che nei giorni scorsi ha indicato l’obiettivo di mantenere in mani italiane il controllo della compagnia aerea.

Purtroppo però il dibattito sul futuro del vettore rischia di essere guidato ancora una volta dagli interessi di bottega, economici e finanziari, che hanno portato in questi anni al progressivo smantellamento di quella che fu una delle più grandi aziende italiane.

LA GESTIONE COMMISSARIALE DI ALITALIA

La gestione commissariale in poco più di un anno ha portato qualche miglioramento, riuscendo a incrementare i ricavi passeggeri (quelli del primo semestre risultano in crescita del 10,6%) e a ridurre i costi di circa il 10%, intaccando anche quelle voci di spesa ormai fuori mercato rispetto alla concorrenza, come i canoni di leasing (-24,1%) e il prezzo del carburante (-12,1%), condizionati da contratti preesistenti e svantaggiosi.

I NUMERI IN ROSSO

Ma per ammissione degli stessi commissari straordinari, i numeri sono ancora ben lontani dal garantire un bilancio in utile, che in Alitalia manca ormai da 18 anni. Troppo pesante la zavorra ereditata dalle gestioni precedenti: la strumentalizzazione delle disfunzioni aziendali e delle conseguenti perdite è stata finalizzata alla deprivazione di asset aziendali indispensabili.

I RISULTATI PARADOSSALI

A ogni giro, si dava in pasto un pezzo di azienda, con risultati paradossali. I limitati introiti una tantum derivanti dalle dismissioni sono stati immediatamente e ampiamente compensati dai più elevati costi dell’outsourcing. Si è abbandonata la manutenzione diretta degli aeromobili, che ora fa perdere tempo prezioso al loro impiego operativo e soprattutto i bei soldi che faceva incassare essendo svolta anche a favore di terze compagnie. Si è ceduta la gestione diretta del sistema di prenotazioni.

CHE COSA E’ SUCCESSO

A Fiumicino è venuto meno per anni il terminal esclusivo che l’ha fatta dipendere dai servizi di terzi, a prezzi evidentemente vantaggiosi per questi ultimi. A Trieste è stato chiuso l’unico master in diritto internazionale aereo, istituito con fondi europei, che per anni ha formato gli specialisti nella negoziazione dei diritti di traffico. E, ancora, è stata acquisita in leasing a caro prezzo la flotta a medio raggio di Air One, del tutto inutile rispetto all’obiettivo di estendere i collegamenti a lungo raggio; sono stati ceduti e poi riaffittati slot di traffico di grande pregio; si è adottata una politica commerciale che ha puntato a massimizzare il numero di passeggeri trasportati, svendendo a favore dei partner il prezzo all’ingrosso dei biglietti.

LA MAPPA DEGLI ERRORI

Troppi errori: dalla battaglia decennale tra Fiumicino e Malpensa, quando il concetto di hub è divenuto obsoleto per via di aerei completamenti diversi in termini di capacità di trasporto, alla assurda idiosincrasia verso Linate, all’investimento sulla tratta Roma-Milano mentre si stava completando l’alta velocità ferroviaria. Centinaia di piloti sono andati via, a lavorare per la concorrenza, allettati dalle compagnie del Golfo o persino da low cost come Ryanair: la perdita in termini di spese di formazione è incalcolabile. Più che i costi, da Alitalia sono stati esternalizzati i profitti.

CHE COSA FARE

Alitalia non va solo salvata, va ricostruita. E soprattutto va abbandonata la continua ricerca del cosiddetto partner operativo forte, un socio di minoranza sul piano finanziario, che però condiziona pesantemente ogni scelta per difendere la sua rete di traffico. Che sia europeo, come Air France, EasyJet o Lufthansa, oppure extraeuropeo, come è accaduto con Etihad, il conflitto rimane ineliminabile. Vengono in Italia, i partner stranieri, solo per prendersi il nostro traffico di lungo raggio.

IL FATTORE INFRASTRUTTURA

Alitalia rappresenta un’infrastruttura strategica per l’economia. La sua italianità va intesa come mantenimento della capacità di guidare le matrici di traffico internazionale a favore delle imprese insediate sul nostro territorio, con collegamenti quanto più possibile diretti con il resto del mondo. Non solo con le aree in cui già si intrattengono consistenti relazioni economiche, ma soprattutto con quelle in via di sviluppo.

IL PROLIFERARE DEGLI AEROPORTI

Il proliferare in questi anni di aeroporti nel nord e la recente apertura al traffico civile e cargo di un paio di preesistenti infrastrutture in Sicilia, testimoniano la necessità di sostenere collegamenti rapidi verso i mercati di approvvigionamento e di sbocco. Questi sono assolutamente insufficienti nei confronti dell’intero Sudamerica, dei Paesi balcanici, di quelli dell’Asia centrale e dell’estremo Oriente. Per non parlare dell’Africa, completamente sguarnita. I bacini di traffico turistico vanno letti in profondità, perché il viaggio aereo rappresenta una parte consistente, ma comunque marginale, di un business molto più ricco.

IL FATTORE TURISMO

Un turista giapponese, cinese o americano spende per la permanenza e per gli acquisti di beni di lusso una somma di gran lunga superiore al prezzo del biglietto: è l’intera filiera che va messa insieme. Così come i collegamenti telefonici precedono la formazione dei flussi di traffico aereo, questi sono i presupposti indispensabili per i successivi scambi commerciali.

COME CONSOLIDARE L’EXPORT

È quindi vano parlare di consolidamento dell’export, di conquista dei mercati in via di sviluppo, di intercettare le potenzialità di crescita che si apriranno nei prossimi anni lungo la nuova Via della Seta, se le nostre imprese rimarranno tributarie di collegamenti solo indiretti, e quindi inevitabilmente più costosi, rispetto ai loro concorrenti europei.

IN AUTONOMIA?

Ad Alitalia, e ancor più all’Italia, occorre tornare ad avere la capacità di decidere in autonomia. La perdita, e peggio ancora la condivisione della direzione strategica di una grande impresa, è un danno sistemico: non solo in termini di subalternità rispetto ad altri interessi, ma di competenze professionali dirette ed indirette. Si va dalle consulenze legali a quelle tecniche, commerciali, di analisi economica. È ovvio che le competenze in campo di intelligenza artificiale risulteranno sempre più importanti per l’analisi attraverso i flussi di traffico proprio ed altrui, e soprattutto delle loro dinamiche, dei fenomeni sottostanti.

IL RUOLO DELLE GRANDI AZIENDE

Lo abbiamo visto in altri campi, da quello automobilistico alle tlc, dall’elettronica alla finanza: la perdita di una grande azienda nazionale a favore di aggregazioni con l’estero rappresenta un impoverimento immediato. Tutto si decide a Detroit, a Hong Kong, a Los Angeles, a Londra: «Sentiamo loro che dicono».

I PERICOLI DA EVITARE

Il pericolo non è dunque solo quello di diventare una colonia anche nel trasporto aereo, considerato l’enorme quota di mercato interno già detenuta dai vettori stranieri low cost, ma di essere periferia rispetto a un processo economico che ha dinamiche di crescita molto accelerate anche durante i periodi di crisi: fra il 2007 e il 2017, il trasporto aereo in Italia è salito del 21,8%.

I volumi del traffico internazionale aereo raddoppieranno nei prossimi 20 anni, con un rinnovo completo delle flotte aeree. Ci sono problemi enormi da risolvere in termini ingegneristici per la riduzione dei consumi di carburante e di inquinamento: è questo a cui dobbiamo guardare. Lo spazio di mercato c’è: fare fallire Alitalia, o anche cederla, sarebbe davvero un delitto. E non sarebbe l’ultimo, purtroppo.

Articolo pubblicato su Mf/Milano finanza

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