“D’Alema e il mal d’aereo. Ora fa il consulente del bancarottiere” è il titolo di apertura di oggi del quotidiano La Verità. L’articolo di Giacomo Amadori racconta di come l’ex presidente del Consiglio sia stato assunto come consulente dalla compagnia Aeroitalia. In effetti, non c’è male. Un inquisito per corruzione internazionale aggravata che presta le sue conoscenze e la sua competenza, in qualità di advisor, per l’amministratore delegato della compagnia aerea, Gaetano Intrieri, già consulente dell’ex ministro dei Trasporti, Danilo Toninelli.
A testimoniare il nuovo incarico di D’Alema è un video dell’agenzia di stampa specializzata Avionews, che documenta la partecipazione dell’ex leader della sinistra alla festa organizzata a Alghero per il milionesimo passeggero della compagnia.
Amadori chiede se sia opportuno che a curare le relazioni estere di una compagnia aerea sia un politico sotto indagine per corruzione internazionale. Dell’opaca trattativa di fornitura militari con la Colombia si sta occupando la magistratura che ha raccolto tra le prove anche l’intercettazione di una telefonata in cui D’Alema affermava: “Noi stiamo lavorando perché? Perché siamo stupidi? No, perché siamo convinti che alla fine riceveremo tutti noi 80 milioni di euro. Quindi si può fare un investimento, però non appena noi avremo questi contratti divideremo tutto, sarà diviso tutto. Questo non è un problema“. A questa obiezione Intrieri risponde di non sapere nulla. In questi mesi non ha mai letto nessuno dei tanti articoli o visto le trasmissioni televisive o ascoltato gli approfondimenti radio che hanno trattato l’argomento. Né lui, né il presidente di Aeroitaliana, il francese Marc Bougarde.
Intrieri tiene inoltre a precisare che il compenso di D’Alema è assai modesto, al politico Aeroitalia riconosce per la sua attività di advisor una parcella di 5 mila euro mensili lordi più una eventuale “success fee” di 20 o 30 mila euro. Intrieri spiega di confidare molto nelle relazioni internazionali dell’ex premier per iniziare a volare sulla Francia, anche se appare curioso prendere un politico italiano per aprire un fronte a Parigi, avendo un presidente francese. Del resto, l’altro paese su cui D’Alema ha una forte tessitura di rapporti, la Cina, è fuori dalla portata della flotta Aeroitalia, che dispone solo di aerei di medio raggio, in grado di raggiungere tuttalpiù Europa e Medio Oriente.
IL PRECEDENTE ALITALIA E IL RUOLO DI D’ALEMA
Ma per gli appassionati di aviazione il nome di D’Alema non è nuovo. Fu durante il suo breve governo (1998-2000) che finì davvero la storia di Alitalia. Sì perché la compagnia di bandiera che ha chiuso le ali il 14 ottobre 2021 in realtà aveva iniziato a morire quando fallì l’alleanza con Klm. Ma riavvolgiamo il nastro per chi non seguì la vicenda.
Nel 1997 Alitalia e Klm avevano un concluso un accordo di partnership rivoluzionario per il settore dell’aviazione commerciale. Per la prima volta due compagnie di bandiera si sedevano intorno a un tavolo per fondere le due società. I due ceo, Domenico Cempella per Alitalia e Leo Van Wijk per Klm, a novembre del 1999 creavano due joint venture per il trasporto passeggeri e per il trasporto cargo, con cui mettevano a fattor comune costi e ricavi e pianificavano a breve la fusione societaria, con quotazione sui mercati di Milano e Amsterdam. Fino ad allora si erano verificate solo acquisizioni internazionali, ma nessun “merger of equals”.
Architrave di questo accordo era lo sviluppo dell’aeroporto di Milano Malpensa, che doveva integrarsi con quello di Schiphol e Fiumicino, creando una rete di collegamenti incentrate su questi tre scali. La nascita di un nuovo hub a Malpensa, in realtà, non nasceva dalle due compagnie, ma era un progetto della Commissione Europea che, nel 1994, lo aveva incluso tra i 14 progetti prioritari del Trans European Transport Network. Per dare ossigeno al nuovo aeroporto l’Italia previsto una nuova distribuzione dei voli su Milano. Qui occorre fare un po’ di attenzione. Primo provvedimento fu del governo Prodi, quando l’allora ministro dei Trasporti Claudio Burlando decretò nel luglio del ‘96 che a Linate sarebbero rimasti solo quei collegamenti da 2 milioni di passeggeri annui, in sostanza solo il volo su Roma. Nel ’97 Burlando individuò nel 25 ottobre 1998 la data del trasferimento dei voli da Linate a Malpensa. Iniziarono presto però a levarsi le voci contrarie, in particolare le cancellerie europee, sensibili agli interessi delle loro compagnie di bandiera, pressarono la Commissione europea per rimandare l’avvio. Dopo un confronto pepato tra Prodi e il commissario inglese Neil Kinnock decisero di scaglionare il trasferimento in due momenti, spostando inizialmente solo il 60% dei voli, in attesa di terminare alcune opere infrastrutturali.
E qui entrò in scena il nuovo governo D’Alema. Tiziano Treu, che prese il posto di Burlando, a ottobre del 1999 scrisse a Bruxelles che il completamento dell’operazione Malpensa sarebbe avvenuto in due tranche, il 15 dicembre e il 15 gennaio 2000. Il politico prodiano non aveva fatto i conti però con le frizioni interne all’esecutivo, il ministro dell’Ambiente, Edo Ronchi, in accordo con quello della cultura, Giovanna Melandri, diede una valutazione negativa per l’impatto ambientale. Obiezioni però che D’Alema ritenne di poter far rientrare partorendo un equivoco dpcm il 13 dicembre, due giorni prima del trasferimento. Nel dpcm il premier confermava infatti la prima fase del trasloco di lì a 48 ore, ma senza specificare la data del completamento (quella che Treu aveva previsto 30 giorni dopo, il 15 gennaio 2000). “Ogni ulteriore decisione sarà subordinata ad una verifica dell’efficacia delle misure adottate e della situazione degli ambienti territoriali interessati”. Una incertezza che scatenò l’ira delle compagnie estere e dei loro governi, tanto che il giorno dopo D’Alema fu obbligato a una clamorosa marcia indietro, annullando tutto, decretando di fatto la fine dell’alleanza italo-olandese, con la rottura unilaterale decretata pochi mesi dopo.
Nefasta la decisione di D’Alema, l’uomo che ora fa l’advisor e vanta le sue abilità nelle relazioni internazionali, non saper governare quel passaggio industriale trovando una intesa con Bruxelles. “Siamo alla commedia dell’arte”, scrisse all’indomani del dietrofront Federico Rampini su Repubblica.