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Sanità Pnrr

Pnrr, che cosa c’è (e non c’è) per la Sanità

L'intervento del Prof. Michele Poerio, segretario generale Confedir e presidente nazionale Federspev

 

Sono profondamente convinto che Mario Draghi sia uno dei pochi uomini in Italia che può tirarci fuori dalle secche in cui ci siamo arenati e farci riprendere una navigazione relativamente tranquilla in un mare ancora molto agitato.

Condivido, in linea di massima, il suo Pnrr (Piano Nazionale di Rilancio e Resilienza) ma ho varie perplessità sulla parte sanitaria (da vecchio Primario ospedaliero e Direttore di Dipartimento chirurgico che ha convissuto per oltre 40 anni sia con una medicina squisitamente clinico-chirurgica, sia gestionale).

Questo piano individua la casa come “primo luogo di cura”. È notevole, infatti, l’offerta di assistenza domiciliare per anziani, pazienti fragili o affetti da pluripatologie croniche, assistenza che fino ad oggi è stata pressoché assente, a parte qualche timido tentativo in Veneto e in poche altre regioni.

È incontestabile che l’organizzazione della sanità nel nostro Paese sia stata, fino ad oggi, improntata ad una visione prevalentemente ospedalocentrica.

È stata la caotica gestione delle prime fasi della pandemia ad evidenziare l’importanza di disporre di una organizzazione sanitaria territoriale che potesse individuare precocemente i pazienti affetti da Covid-19, isolarli e curarli a casa nella stragrande maggioranza  ed inviando in ospedale i casi più gravi.

Nelle nostre università ogni anno si laureano migliaia di infermieri e tecnici che addestrati adeguatamente sono in grado, diretti dai medici specialisti, di eseguire esami diagnostici e somministrare terapie anche complesse direttamente al domicilio del paziente.

Il Piano punta, essenzialmente entro il 2026, sull’assistenza domiciliare, sulle Case di Comunità, sugli ospedali di Comunità, sulla digitalizzazione (telemedicina e non solo), sul potenziamento del Fascicolo sanitario elettronico, sulla riforma degli IRCCS, sull’aumento delle borse per la medicina generale e le specializzazioni mediche, sugli ospedali “sicuri e sostenibili” e sulla “sostituzione dei macchinari con l’acquisto di oltre 3.000 grandi apparecchiature ad alto contenuto tecnologico”, sul potenziamento della dotazione di posti letto di terapia intensiva (più 3.500 con uno standard di 0,14 posti letto per 1000 abitanti), e semintensiva (più 4.225 posti letto) ma non di posti ordinari la cui dotazione del 3,1 per 1000 abitanti (tra le più basse in Europa) ha determinato la morte di un non indifferente numero di malati.

Ma con quali fondi e senza una radicale rivisitazione dello stato giuridico dei medici dipendenti e dei medici convenzionati?

I fondi previsti per la sanità dal Pnrr ammontano a poco più di 15 mld (8% circa del Fondo europeo) ai quali vanno aggiunti 1,7 mld  del REACT EU e 2,39 del fondo complementare per un totale di circa 20 mld, pochi se si vuole davvero puntare ad una “sanità sicura e sostenibile”.

Gran parte di questi fondi sono, giustamente, assorbiti dalla medicina territoriale fino ad oggi lasciata alla deriva, ma i circa 5,5 mld destinati alla medicina ospedaliera (che con grandi sacrifici e con oltre 350 morti solo fra i medici ha evitato assieme all’encomiabile azione delle forze dell’ordine, un vero e proprio “disgregamento sociale del nostro Paese”), sono assolutamente insufficienti.

Lo stesso ministro della salute aveva, a suo tempo, chiesto 34 mld per gli ospedali (costruiti al 50% in epoca anteguerra) per il loro ammodernamento tecnologico e per l’adeguamento alle normative antisismiche  e antincendio (solo per questo ultimo adeguamento i tecnici hanno stimato una spesa di oltre 14 mld).

Ci avviamo da una sanità ospedalocentrica verso una sanità territoriocentrica? Mi auguro di no!

La perfetta integrazione ospedale-territorio rimane pur sempre l’unica soluzione per una sanità equa ed universale.

Ma non basta potenziare (male) la rete ospedaliera e appena sufficientemente la rete territoriale.

È indispensabile potenziare la dotazione organica soprattutto medica, senza la quale sarà vano ogni sforzo di rilancio e di resilienza soprattutto nel mezzogiorno per il quale non è stato previsto un finanziamento aggiuntivo al fine di cercare di colmare, anche parzialmente, il baratro che divide la sua sanità da quella del centro nord.

Baratro che sarà ulteriormente accentuato dal rilancio nel Def della cosiddetta autonomia regionale differenziata.

A tutto ciò si aggiungano lo scarso finanziamento della ricerca e le penalizzazioni dei ricercatori a tutt’oggi relegati contrattualmente nei comparti invece che nelle aree dirigenziali (e ci chiediamo perché i migliori fuggono all’estero?).

Oggi il Ssn investe nella ricerca circa lo 0,2% del suo sempre sotto finanziato bilancio (negli ultimi 15-20 anni ha subito tagli per circa 37 mld) mentre l’accordo di Lisbona prevede almeno il 3% ( mai realizzato).

Lo stesso identico discorso vale per la prevenzione, cenerentola della medicina, indispensabile per la sostenibilità del Ssn.

Qualcuno ha detto che la montagna di risorse del Pnrr attutirà l’impatto della crisi, certamente non di quella sanitaria!

Quanto scritto finora richiama inevitabilmente la nostra attenzione sul Mes, questo sconosciuto, che con i suoi 37 mld ci consentirebbe di realizzare la vera rivoluzione copernicana della sanità.

Cadranno mai i pregiudizi ideologici che ne impediscono l’utilizzo?

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