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Il sottoutilizzo di antivirali nuoce gravemente alla pandemia

È già successo una volta con gli anticorpi monoclonali ma ora, se non si interviene subito, c’è il rischio che la storia di sprechi e decessi che si potevano evitare si ripeta con gli antivirali. Fatti, numeri e commenti

 

Nonostante i pazienti Covid in terapia intensiva siano in diminuzione, stanno aumentando, seppur in misura minore rispetto alla scorsa settimana, i ricoveri in area medica e anche il numero dei decessi soprattutto negli over 70.

A fornire i dati, con il suo monitoraggio settimanale dell’andamento pandemico, è la Fondazione Gimbe che identifica due possibili fattori in questi numeri in risalita: oltre al declino della copertura offerta dal booster, un altro responsabile sarebbe il sottoutilizzo dei farmaci antivirali, le pillole anti Covid Molnupiravir di Merck e Paxlovid di Pfizer.

TUTTI GLI OSTACOLI DEGLI ANTIVIRALI

La pillola di Merck era stata autorizzata dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) il 22 dicembre 2021 ed è stata distribuita alle regioni il 4 gennaio, quella di Pfizer ha iniziato a essere consegnata un mese dopo.

In entrambi i casi il trattamento, per risultare efficace, deve essere iniziato entro 5 giorni dall’insorgenza dei sintomi, il che significa che la tempestività è tutto.

Un paziente, in Italia, però non può semplicemente recarsi in farmacia con la ricetta del medico di base e acquistare gli antivirali ma, essendo soggetti al registro di monitoraggio dell’Aifa, dovrà essere indirizzato dal suo medico in una farmacia ospedaliera o nei centri ospedalieri specializzati.

Tutto questo allunga molto la trafila e non è in linea con la rapidità necessaria a far sì che le cure diano esito positivo, che in parole povere vorrebbe dire minor numero di ospedalizzazioni e decessi.

COSA NE PENSANO RASI, PALÙ E CAVALERI

Gli stessi esperti, da Guido Rasi, ex Dg di Ema e consulente del commissario all’emergenza Francesco Figliuolo al presidente dell’Aifa, Giorgio Palù, hanno evidenziato già nei mesi scorsi dei gravi problemi nella gestione dell’utilizzo di questi fondamentali farmaci.

Tra l’altro, come sottolineato dal capo della strategia vaccinale dell’Ema, Marco Cavaleri, “gli antivirali orali ed endovenosi mantengono la loro efficacia contro la variante Omicron”, al momento la più diffusa.

“L’iter prescrittivo e la distribuzione presso le sole farmacie ospedaliere non credo facilitino la rapidità dell’intero processo”, ha detto il 22 marzo Rasi a Quotidiano Sanità. “Sicuramente questo non aiuta a semplificare le cose e non accorcia i tempi. Abbiamo avuto i due mesi dell’approvazione del farmaco per poter organizzare il tutto. Si potevano formare i medici di famiglia, indicare loro in maniera precisa qual era la tipologia di pazienti a cui prescriverlo, quali le modalità d’uso e le controindicazioni. Non si capisce – dice l’esperto – quale sia stato l’impedimento […] Ugualmente non vedo perché non si debba affidare la loro distribuzione capillare alle farmacie territoriali”.

Per Palù, “gli antivirali come il Paxlovid sono un presidio indispensabile per curare la malattia già in atto. Come i monoclonali potranno essere usati anche per la profilassi nelle persone gracili, esposte al contagio. Non sostituiscono i vaccini che prevengono l’infezione e la malattia”, ma insieme ai vaccini “giocano un ruolo sinergico nel limitare l’insorgenza di nuove varianti e nel favorire la transizione alla fase endemica”.

L’esperto, parlando dei monoclonali, altra arma contro il virus andata sprecata in molti casi, aveva detto che se fossero stati utilizzati di più “avrebbero potuto salvare molte vite”. Ora, lo stesso Rasi ha detto che, senza un cambio di marcia, il rischio che le pillole anti Covid scadano e debbano essere buttate è reale.

IL MONITORAGGIO AIFA

Come indicato dal report Aifa del 25 marzo 2022 sul monitoraggio degli antivirali per il Covid, finora sono stati avviati 3.857 trattamenti con Paxlovid (in 42 giorni), 11.840 con Molnupiravir (in 83 giorni) e 5.100 con Remdesivir (in 83 giorni).

IL PARERE DI CARTABELLOTTA (GIMBE)

“Numeri troppo esigui, rispetto alle indicazioni di questi farmaci, raccomandati per tutti gli adulti non ospedalizzati per Covid-19 e non in ossigeno-terapia per Covid-19 con insorgenza di sintomi da non oltre 7 giorni e in presenza di condizioni cliniche predisponenti che rappresentino dei fattori di rischio per lo sviluppo di COVID-19 grave”, commenta la Fondazione Gimbe.

“Il sottoutilizzo di questi farmaci – sottolinea il suo presidente, Nino Cartabellotta – è da imputare alla mancata abilitazione dei medici di famiglia alla loro prescrizione, oltre che all’erogazione esclusiva nelle farmacie ospedaliere e non in quelle territoriali”. Parere perfettamente allineato con quello di Rasi.

“Considerato che l’accordo 2022 per la fornitura di Paxlovid ammonta a 600 mila trattamenti completi (per un totale di 400 milioni di euro), in assenza di un adeguato modello organizzativo in grado di garantire la necessaria tempestività della prescrizione, si rischia concretamente che le scorte rimangano inutilizzate come già accaduto per gli anticorpi monoclonali”, afferma Cartabellotta, che sembra fare eco alle parole di Palù e Rasi.

COME RISPONDE SPERANZA

Adesso forse qualcosa potrebbe cambiare. Proprio ieri il ministro della Salute, Roberto Speranza, è tornato sulla questione affermando che “ora che abbiamo più dosi a disposizione, perché le dosi in una prima fase sono arrivate in Italia in un numero molto limitato, stiamo lavorando alla territorializzazione: l’idea è quella di arrivare a consentire la prescrizione anche ai medici di medicina generale proprio per favorire un accesso più capillare. Proprio nella giornata di ieri su questo ha iniziato a lavorare il Comitato tecnico-scientifico dell’Agenzia italiana del farmaco”.

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