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Anticorpi Monoclonali Sottovarianti

I monoclonali della discordia: lasciati in frigo o volati all’estero

In Italia i monoclonali hanno avuto una strada in salita fin dall’inizio e in tv si grida allo scandalo di enormi quantità di confezioni lasciate in frigo a scadere. Ecco cosa dicono i numeri dell’Aifa e gli esperti

 

Tra i monoclonali disponibili l’unico efficace contro la variante Omicron è il sotrovimab che viene prodotto in Italia nello stabilimento Gsk di Parma ma che parte poi per altri Paesi – Stati Uniti in testa. Alcuni esperti, però, oltre a lamentare la mancanza di questo particolare anticorpo ricordano che gli altri non sono sempre inutili e che, a seconda, dei casi andrebbero usati di più.

NON SOLO OMICRON

Il professor Massimo Andreoni, primario di infettivologia al Policlinico Tor Vergata a Roma, in un’intervista a Repubblica ha detto: “Purtroppo di settantenni ne stiamo vedendo morire tanti di Delta e di Omicron ma tanti ne abbiamo salvati e molti di più potremmo salvarne se si utilizzassero in modo più massiccio gli anticorpi monoclonali e gli antivirali. Solo nel mio reparto li abbiamo utilizzati in 468 pazienti e l’80% li abbiamo salvati”.

IL POTERE DEI MONOCLONALI

“I pazienti anziani o fragili che contraggono il virus devono venire in ospedale, – ha proseguito Andreoni – somministrando gli anticorpi monoclonali in tempo utile si impedisce alla malattia di progredire. I tempi sono importantissimi perché nelle persone fragili la malattia può precipitare rapidamente e infatti molte delle vittime di questi giorni non arrivano neanche ad essere ricoverate in terapia intensiva”.

“Dunque, – conclude il professore – l’invito che mi sento di rivolgere a queste persone è di rivolgersi subito al medico di famiglia che, valutandone la fragilità, li indirizzerà subito in ospedale per la somministrazione del farmaco. I monoclonali sono un’arma potentissima. So che in alcune Regioni vengono utilizzati poco, ed è un gravissimo errore”.

CHE FINE FANNO I MONOCLONALI?

Era fine settembre 2021 quando Giovanni Di Perri, virologo e responsabile del reparto Malattie infettive dell’Amedeo di Savoia, raccontava a La Stampa: “Nel massimo picco della pandemia, con 60 mila ospedalizzazioni in Piemonte, abbiamo usato 350 dosi di monoclonali. Avremmo potuto risparmiare 15 mila ospedalizzazioni e chissà quanti morti si potevano evitare”.

Parole simili giungevano anche dal direttore della clinica di Malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova Matteo Bassetti: “Questa estate, in Italia è stato trattato con gli anticorpi monoclonali solo il 9% dei contagiati sopra i 70 anni. Noi, in Liguria, abbiamo trattato oltre il 30% dei contagiati con più di 70 anni, grazie alla collaborazione tra ospedale e territorio. Siamo arrivati a 600 pazienti trattati in tutta la Liguria, di cui 300 solo al policlinico San Martino”.

Poco tempo dopo, in ottobre, Il Fatto Quotidiano scriveva che i primi lotti scadevano “già il 31 dicembre, gli altri tra gennaio e febbraio”. I monoclonali, infatti, essendo farmaci biologici, scadono a 12 mesi dal confezionamento.

Ed eccoci a gennaio. Qualche giorno fa, il programma Fuori dal coro (Rete4) è tornato sulla questione e, attraverso foto e filmati registrati in alcuni ospedali, ha denunciato quanto già annunciato dal Fatto. I monoclonali che abbondano nei frigo del servizio sono bamlanivimab ed etesevimab.

DALL’OFFERTA DI ELY LILLY ALLO STOP DELLA FDA

A maggio, bamlamivimab di Eli Lilly, come si legge sul sito dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), è stato sospeso in monoterapia a favore dell’associazione con etesevimab perché inefficace rispetto alle varianti del virus.

Bamlamivimab, tra l’altro, è il monoclonale finito al centro delle polemiche perché inizialmente offerto a titolo gratuito per avviare un trial clinico dalla casa farmaceutica all’Italia che, però, lo aveva rifiutato facendo così indagare la Corte dei Conti sull’Aifa.

Il Fatto scriveva inoltre che, in ottobre, la Lombardia, che ai tempi aveva usato solo 741 dosi, ne aveva inviate 5.200 per un valore di circa 6,5 milioni di euro in Romania, dove imperversavano i contagi.

Poche ora fa la Food and Drug Admistration ha annunciato che “alla luce delle informazioni e dei dati più recenti disponibili”, sono state “riviste le autorizzazioni” proprio dei mix bamlanivimab + etesevimab e casirivimab + imdevimab.

L’attuale indicazione adesso è di “limitarne l’uso solo al paziente che è probabile sia stato infettato o esposto a una variante suscettibile a questi trattamenti”.

COSA DICE IL REPORT AIFA

Secondo quanto affermato da Fuori dal coro, a marzo dell’anno scorso, l’Italia ha acquistato 250 mila monoclonali, 150 mila per un valore di circa 100 milioni di euro secondo Open e HuffPost, e oggi – stando all’ultimo report di monitoraggio pubblicato dall’Aifa – ne sono stati utilizzati 38.305.

Dei circa 40 mila somministrati 17.044 sono della combinazione di bamlanivimab ed etesevimab; 18.509 l’associazione di casirivimab e imdevimab; 1.929 sotrovimab e 823 bamlanivimab da solo.

In cima alla classifica delle regioni che li utilizzano di più ci sono Veneto, Lazio e Toscana, mentre fanalino di coda per la provincia autonoma di Trento, il Molise e la provincia autonoma di Bolzano.

PERCHÉ IN ITALIA SI USANO COSÌ POCO GLI ANTICORPI MONOCLONALI?

È una domanda alla quale il professor Massimo Puoti, Direttore Malattie Infettive dell’ospedale Niguarda di Milano, a ottobre rispondeva così ad HuffPost: “Esistono tutta una serie di difficoltà a trasmettere ai centri che possono erogare questi monoclonali, i pazienti da trattare”.

Primo tra tutti, spiega il professore, la necessità per il paziente di recarsi in ospedale poiché solo un medico può somministrarli, ma ancora più importante “non c’è un’informazione probabilmente sufficientemente capillare dei Medici di Medicina generale e degli altri operatori sanitari che entrano in contatto con i pazienti”.

“Il nodo – afferma Puoli – sta sempre nel passaggio tra l’attestazione della positività del tampone, e delle condizioni a rischio, e la somministrazione”.

A conferma di quanto sostenuto da Puoli, Ivan Gentile, professore ordinario di Infettivologia al Federico II di Napoli in un’intervista a Repubblica ha detto: “Una follia. Certo, ognuno deve fare quello che può, ma qui l’organizzazione è carente”, parlando dello scarso utilizzo di monoclonali da parte della Campania.

CONSEGUENZE IN NUMERI DELLO SPRECO DI MONOCLONALI

“In tutta Italia se ne sono fatti pochi, appena il 9%, ed è una sconfitta, perché se più del 90% della popolazione candidata è rimasta esclusa – ha detto il professore – bisogna ammetterlo: avremmo dovuto e potuto, vista la disponibilità di anticorpi, utilizzarne almeno il 50%, per salvare 3.000 vite ed evitare circa 6.000 ricoveri, con un risparmio, tra l’altro, di oltre 100 milioni di euro. Il calcolo è semplice: un monoclonale costa intorno a 1.000 euro, per una giornata di degenza Covid il Ssn ne spende circa 20.000”.

“Le Asl non si sono organizzate – ha concluso Gentile. C’è un altro risvolto negativo, chiarito dal commissariato di governo: le regioni che avranno utilizzato più anticorpi riceveranno un maggior numero di farmaci antivirali, premio ai virtuosi che esclude gli spreconi”.

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