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Bruxelles

Perché non convincono parole e azioni di Conte su Mes. L’analisi di Polillo

Conte disattende il voto del Parlamento sul Mes, i 5 stelle sul tema cambiano bandiera, viene eletta Von der Leyen a Bruxelles, la maggioranza giallo-verde di squaglia. Esiste una qualche relazione tra questi fatti? Il commento di Gianfranco Polillo

A quanto pare, sulla complicata vicenda del Mes (le nuove regole del Fondo Salva Stati), Giuseppe Conte ha cambiato la versione dei fatti. All’inizio aveva negato che non “ancora” c’era stato “alcun voto” da parte sua, durante il Consiglio europeo del 20 e del 21 giugno scorso. Pronta risposta degli ambienti di Palazzo Chigi alle critiche di Matteo Salvini. Cosa che risponde al vero. Salvo precisare che in quel consesso non era prevista una votazione formale, ma solo l’assenso rivolto all’Eurogruppo di proseguire nei lavori, mancando ancora alcuni elementi di dettaglio. Analizzato il comunicato di quell’incontro (Dichiarazione del Vertice euro, 21 giugno 2019) la tesi del presidente del Consiglio si era dimostrata insostenibile. E quindi il cambiamento di posizione.

Ed ecco allora la nuova teoria: “Il delirio collettivo sul Mes è stato suscitato da leader dell’opposizione, lo stesso che qualche mese fa partecipava ai tavoli discutendo di Mes, perché abbiamo avuto vertici di maggioranza con i massimi esponenti della Lega”. Dove, come e quando non è dato sapere, se non ricorrendo a qualche retroscena giornalistico che lascia il tempo che trova. Il fatto comunque è acclarato. Lo stesso Matteo Salvini ammette che quegli incontri vi furono. Quindi: tutti sapevamo. Compreso lo stesso Luigi Di Maio ipercritico nei confronti del Mes, al punto da richiedere un vertice sul fattaccio. Non per indebolire il Presidente del consiglio, confessa imbarazzato, ma solo per definire la posizione che il Governo dovrà assumere sul voto finale, previsto in dicembre.

Conoscere non significa, tuttavia, convenire. Il dissenso almeno della Lega era manifesto. E di questa posizione si ha pubblica evidenza. Il 19 giugno, nell’Aula di Montecitorio, si svolge un ampio dibattito proprio in vista del vertice europeo, che si terrà a due giorni di distanza. Ampia relazione del presidente del Consiglio, che affronta quasi tutti i nodi dell’imminente riunione. Dai risultati elettorali appena conseguiti, alla richiesta italiana di poter disporre di “un portafoglio economico di prima linea”, alla prospettiva dei futuri asseti istituzionali: “Proprio quello delle nomine dei vertici istituzionali europei – afferma testualmente – sarà il tema centrale che affronteremo al prossimo Consiglio europeo. Su di esso è in corso in Europa, sin dalle scorse settimane, un confronto sia a livello intergovernativo, tra Capi di Stato e di Governo e membri del Consiglio europeo, sia parlamentare, nell’ambito dei gruppi politici del Parlamento europeo”. E via dicendo. Sui quali, salvo il problema spinoso della scelta del vertice europeo, anticipa quale dovrà essere la posizione del Governo italiano.

Sul Mes parla, invece, solo alla fine del suo intervento, limitandosi, tuttavia, a una semplice descrizione del lavoro svolto. Vi sono anche accenni ellittici alla necessità di una “logica di pacchetto”. Vale a dire la contestuale soluzione dei vari problemi economici e finanziari (a partire dal completamento dell’Unione bancaria) che da tempo sono stati riposti in un cassetto. Al di là di qualche generico auspicio, non è chiara, tuttavia quale dovrebbe essere la posizione della delegazione italiana. U

n elemento di ambiguità che è colto dalla maggioranza parlamentare, al punto che i due capi gruppo (Lega e 5 stelle) decidono di presentare una risoluzione ben più stringente. L’unica che sarà accolta dall’Assemblea e nella quale si invita lo stesso Conte ad “ad opporsi ad assetti normativi che finiscano per costringere alcuni Paesi verso percorsi di ristrutturazione predefiniti ed automatici”. E per quanto riguarda specificatamente il Mes, a “non approvare modifiche che prevedano condizionalità che finiscano per penalizzare quegli Stati membri che più hanno bisogno di riforme strutturali e di investimenti, e che minino le prerogative della Commissione europea in materia di sorveglianza fiscale”.

Tutto inutile. A Bruxelles, Giuseppe Conte non terrà minimamente conto del vincolo parlamentare. Un piccolo grande mistero, che lo stesso Conte dovrebbe svelare. In assenza non resta che formulare alcune ipotesi. Il clima di quei giorni era concitato. L’Europa era alla ricerca di un candidato alla presidenza della Commissione. Grandi manovre e moria di predestinati. Fino al colpo di genio di Angela Merkel che propone, Ursula von der Leyen. Il 2 luglio l’investitura. Il 16 l’elezione da parte del Parlamento (già presieduto da David Sassoli, ch’era stato eletto il 3 luglio): 338 voti a favore, 327 contrari, 22 astensioni. Ed il voto determinante dei 5 stelle che spacca la delegazione italiana. E mette in moto la crisi, che porterà, in Italia, alla fine della maggioranza giallo-verde.

Esiste una qualche relazione tra questi diversi elementi? Conte che disattende il voto del Parlamento ed i 5 stelle che, all’improvviso, cambiano bandiera? Cattivi pensieri che, come diceva il grande Andreotti, spesso colgono nel segno. Ma se così fosse, il decorso successivo della crisi diverrebbe intellegibile. Altro che colpo di sole subito dal “capitano”. Su una votazione così qualificante, in qualche modo preparata nelle settimane precedenti, non c’era maggioranza che poteva tenere. E del resto il reincarico allo stesso Conte rappresenterebbe un’ulteriore conferma.

Resta solo da spiegare perché, a distanza di mesi, si manifesti sul Mes quel “delirio collettivo”, appena evocato dal presidente del Consiglio. Anche in questo caso valgono i dati di contesto: una manovra economica, che si regge solo grazie a degli spilli; i vecchi Commissari europei che lasciano i loro incarichi per far posto ai nuovi venuti; il giudizio della Commissione sulla legge di bilancio dell’Italia; le prossime scadenze del Parlamento europeo, che il 27 novembre sarà chiamato a votare sulla nuova Commissione, ormai al completo. Almeno così si spera. Tutto si tiene? In genere, una simile espressione non è tra le più felici. Presuppone un organicismo non condivisibile. Ma, a volte, anche gli errori di metodo servono a capire.

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