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Mes

Mes: fini, mezzi e incognite (sul debito). L’analisi di Cazzola

Il Mes (Meccanismo europeo di stabilità) visto e commentato dall'editorialista Giuliano Cazzola

Dice il proverbio: la prima gallina che canta è quella che ha fatto l’uovo. La regola vale anche per Matteo Salvini e per le critiche dei suoi accoliti alle modifiche proposte, in sede dell’Eurogruppo, al Fondo Salva-Stati (Mes). Il Capitano non può accusare di questo ‘’tradimento’’ il governo in carica, ma – come gli ha replicato Palazzo Chigi – l’esecutivo di cui era vice presidente del Consiglio e ministro degli Interni. Certo, quando si interpreta il proprio ruolo alla stregua di quello di un saltimbanco che si esibisce in tutte le piazze del Paese (come Zampanò, il protagonista del film ‘’La strada’’ del grande Federico Fellini) e si pretende di dirigere il Viminale attraverso Facebook, non si trova il tempo per occuparsi degli affari di Stato, soprattutto quando il fondo di cui si parla non riguarda i migranti. Tutto ciò premesso, è difficile non dare ragione al mio amico Gianfranco Polillo, quando scrive su Start che “Forse non ci sarà stato un voto (sul testo riformato del Fondo, ndr) da parte del Presidente del Consiglio. Tuttavia il via libera fu dato nell’Euro summit del 21 giugno 2019 in cui, come si legge nel comunicato finale, si discusse delle “modifiche al trattato che istituisce il meccanismo europeo di stabilità Mes”, dando mandato all’Eurogruppo a “proseguire” ulteriormente. E che l’Italia fosse rappresentata da Giuseppe Conte è un fatto incontrovertibile”.

Del resto, la reazione di Giuseppe Conte – che minaccia di porre dei veti su alcune parti del progetto (dimostrando anche lui o di non essere ben informato o di aver sottovalutato l’impatto che quelle misure avrebbero determinato nel dibattito politico del Paese) – dà la sensazione di una marcia indietro, prodotta dagli allarmi strumentali diffusi in Italia e resa possibile, mediante un sostanziale voltafaccia che sarà avvertito come un ulteriore colpo di piccone alla credibilità nazionale, soltanto perché i governi non hanno ancora proceduto alla sottoscrizione dei protocolli concordati. Ma che cosa è il Fondo Salva Stati ora rinominato Meccanismo europeo di stabilità (Mes)? Ne ha fornito una definizione semplice e comprensibile, Giampaolo Galli durante un’audizione delle Commissioni Bilancio riunite. ‘’Il solo fatto che esista questa istituzione è un fattore che tranquillizza i mercati e rende meno probabile il ripetersi di situazioni di crisi. In sostanza, il Mes è un’assicurazione che noi paghiamo, come tutti gli altri, e che non solo ci protegge in caso di crisi, ma anche riduce la probabilità che la crisi si verifichino. Il fatto che finora l’Italia non ne abbia fatto uso – ha proseguito l’ex direttore di Confindustria ora componente dell’Osservatorio di Carlo Cottarelli – non significa che l’assicurazione sia inutile; significa solo che, per fortuna o per merito, non abbiamo avuto sinistri. Quando la macchina stava sbandando, nel 2011, abbiamo sterzato in tempo per evitare il burrone; negli anni successivi abbiamo guidato con una certa prudenza. Una prudenza che tuttavia non è stata sufficiente a mettere in sicurezza i nostri conti pubblici ed è per questo motivo che il funzionamento del Mes e le sue prospettive di riforma ci interessano tanto’’.

Non sto quindi a ripetere i requisiti che uno Stato deve possedere per chiedere l’intervento del Mes; lo hanno già fatto egregiamente la redazione e i collaboratori di Start Magazine. Le criticità (sarebbe meglio parlare di critiche, perché queste ultime sono le osservazioni rivolte allo ‘’strumento’’; le prime riguardano, invece, aspetti del Mes nei cui confronti vengono avanzate delle critiche, a mio avviso, opinabili) sono state individuate nel carattere tecnico del Meccanismo (come se fosse una sorta di Fmi dell’Eurozona) e nella sua autonomia dalla Commissione. Ma il punto che ha sollevato le maggiori perplessità (persino da parte del Governatore Visco) riguarda la questione della ristrutturazione del debito.

In breve, lo Stato che chiede l’intervento del Mes, oltre agli altri requisiti previsti, deve sottoporsi ad una ristrutturazione del debito, se il suo ammontare è ritenuto insostenibile. Ecco allora le preoccupazioni che vanno chiarite: chi decide l’insostenibilità del debito? In che misura sono coinvolti, nella decisione e nell’operazione, gli organi istituzionali di un Paese in difficoltà che si rivolge al Meccanismo? Sembra ovvio che su tale aspetto non possa decidere soltanto un organismo tecnico, imponendo allo Stato le sue prescrizioni. E che ci debba essere un chiarimento a tal proposito nel testo che sarà sottoscritto. Ma basta agitare la coda di paglia nazionale! Le proteste di questi giorni poggiano sulle solite motivazioni opportunistiche: il debito è nostro e lo gestiamo noi; chi tocca il problema del debito lede gli interessi dell’Italia. Si potrebbe rispondere così: uno Stato in difficoltà non è obbligato a chiedere un intervento di salvataggio. Se lo fa, sembra saggio e giusto che le misure di solidarietà siano condizionate a programmi di risanamento e di stabilizzazione dei bilanci (lo ripetiamo: non imposti, ma responsabilmente condivisi); ciò nell’interesse primario del Paese in crisi. È vero: ci hanno spiegato che la sostenibilità del debito pubblico non dipende dalla sua entità e che il rapporto può essere migliorato ampliando il denominatore (il Pil) attraverso un incremento della crescita. Premesso che questo ragionamento è poco più di un caso di scuola, in Italia aumenta l’incidenza del debito sul Pil, e il prodotto non tiene il passo; il suo incremento asfittico non è in grado di riequilibrare, in modo accettabile, il rapporto. Occorrerebbero, poi, anni di robusti saldi primari, al netto della spesa per interessi, che non sono da tempo nell’agenda dei governi. Per concludere, anche in questa materia, i commenti degradano fino a livello delle discussioni dei tanti bar Sport diffusi nella provincia italica: a noi tocca pagare 14 miliardi (il 17% del fondo) e se abbiamo bisogno non ci restituiranno un solo euro. Nessuno ricorda che ogni Stato concorre a finanziare il Mes, in base al peso che ha nella Ue (la Germania verserà una quota di poco inferiore al 27%, essendo ben consapevole che difficilmente chiederà l’intervento del Mes). Alla fine, però, traspaiono, al riparo delle polemiche, quelle che sono le nostre intenzioni nei confronti del debito pubblico: hic manebimus optime.

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