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Meloni

Tutti i tormenti del governo Meloni, anzi dell’Italia

Le contrapposizioni vecchio-nuovo e avanti-indietro determinano movimenti scomposti e rallentati di un'Italia storicamente incapace di assecondare i tempi senza subirli ma senza nemmeno cercare insensatamente di ostacolarli. Il corsivo di Battista Falconi

 

Le dinamiche sociali dal punto di vista storico possono essere descritte, con una certa attendibile approssimazione, come: un primo periodo di lunga contrapposizione dell’“alto contro il basso”, cioè delle classi più abbienti, detentrici di diritti, arbitri, abusi, privilegi e ricchezza che coartavano quelle inferiori; poi un periodo di “destra contro sinistra”, in cui queste istanze sono state trasformate in progetti politici trasversali, per cui anche nella sinistra paladina dei lavoratori e dei poveri erano e sono molto spesso presenti degli appartamenti in stile alta borghesia, mentre a destra le istanze sociali e liberali si mescolano in modo talvolta contraddittorio, basti pensare all’esperienza del fascismo che nasce socialista e repubblicano, diventa poi monarchico e amico del grande padronato durante il regime per ritornare, nella fase della Rsi, alle originarie pulsioni sepolcrine.

Se oggi dovessimo definire su quale asse spazio-temporale si delineano le grandi contrapposizioni, dovremmo senz’altro usare quella di “avanti contro indietro”: gran parte delle maggiori problematiche che vedono contrapporsi ideologie e posizioni politiche opposte, talvolta irriducibili, rientrano in questa nuova dinamica. Facciamo qualche esempio a caso.

Nella dimensione comunitaria, europea e globale molto si gioca sulla capacità di cogliere le contingenze che le istituzioni cercano di trasformare in opportunità, anche normative, per imprimere sviluppo alle economie e alle società. Il PNRR ne è la dimostrazione e in questo momento è oggetto di più attenzione: l’Italia, in particolare ma non solo, sembra scontare dei ritardi dovuti all’incapacità diffusa – degli ultimi tre esecutivi al livello di vertice ma poi delle amministrazioni locali, delle imprese, di tutti gli stakeholder – di gestire in tempi rapidi processi di progettazione, implementazione e rendicontazione di particolare impegno e rilievo. Lo scaricabarile in atto dimostra quanto abbiamo un problema di management, di leadership, di burocrazia.

Guardiamo poi alla dinamica previdenziale. Viviamo in società spesso invecchiate, gravate da oneri insostenibili per le pensioni delle quali oltretutto, secondo un dato pubblicato dal Sole-24 ore, il 46% ha scopo assistenziale. Questo ci rimanda alla politica del reddito di cittadinanza e dei sostegni sociali elargiti anche ai giovani, che vengono tirati per la giacchetta come fannulloni o risorse inutilizzate: abbastanza probabile che entrambe le cose siano vere. Sta di fatto che le frasi del ministro dell’Agricoltura sul tornare a lavorare i campi anziché stare sdraiati sul divano, per riprendere la metafora di Michele Serra, la dice lunga sulla convinzione che ci sia un paese reale incapace di prendere in mano il proprio destino e che punta alla ricerca di sussidi per tirare avanti con il minimo sforzo. Un paese che non investe nel futuro, che non ha fiducia né coraggio, né fantasia come invece dimostrano gli imprenditori del Nordest che si sono divisi in questi ultimi giorni tra elezioni regionali del Friuli-Venezia Giulia e Vinitaly, dove la presenza di politici faceva invidia a Bruno Vespa.

Una realtà e una retorica che si contrappongono a chi vede invece nelle piazze e nelle loro minoranze rumorose il polso di un paese impegnato contro una casta politica indifferente, incapace. In questo momento le mobilitazioni italiane sono abbastanza periferiche, mentre quelle internazionali appaiono molto vitali: quella francese e la spagnola si sono mobilitate proprio sul tema delle pensioni ma anche quella israeliana è andata, come le altre due, nel segno del non cambiare. Ancoriamoci al passato-presente. In Italia è probabilmente Maurizio Landini l’animatore movimentista più efficace in questo momento, senz’altro più di tutti leader delle opposizioni, inclusa Elly Schlein. Questo però, come osservava Vittorio Macioce di recente, deve preoccupare tutti, maggioranza inclusa, perché la mancanza di una dinamica energica, robusta e naturalmente corretta tra chi governa e chi si oppone determina – come abbiamo visto anche nel caso dello stimatissimo governo Draghi – delle patologie democratiche.

La contrapposizione passato-presente-futuro, statica-dinamica, avanti-fermi-indietro determina movimenti scomposti, imprevedibili, nel momento in cui si chiede alla gente di decidere. Perdono così consenso leader di successo, come Sanna Marin in Finlandia, sulla quale si è diffuso sarcasticamente Marco Travaglio. Figure che piacciono per un certo periodo vengono rapidamente abbandonate. Per altro la sconfitta dell’ex primo ministro finlandese la dice lunga, anche per tornare al problema dello Stato Sociale, tipico del “vecchio contro nuovo”, su quanto persino negli Stati dove il sistema di welfare funziona meglio, il consenso popolare tenda a muoversi in direzioni diverse.

Un elemento su quale il governo e l’attuale maggioranza sembrano tenere la testa girata all’indietro verso il passato è quello identitario. Sul piano linguistico, basti pensare la proposta di Fabio Rampelli, in realtà ispirata a una legge già vigente in Francia, di vietare con tanto di sanzioni i forestierismi nel linguaggio ufficiale della pubblica amministrazione.

La contraddizione per la quale ci sia poi in carica un governo con un ministero del Made in Italy è evidente ed è stata sollevata più volte, con sarcasmo. Ma anche le normative e le posizioni assunte in ambito agroalimentare rispondono alla stessa logica: sulle farine da insetti, sull’etichettatura dei vini richiesta dell’Irlanda e sulla cosiddetta carne sintetica (con gli OGM protagonisti silenti). Al di là delle specifiche questioni, sembra di dedurne una sorta di difesa della cosiddetta “sovranità alimentare”, come indica peraltro il nome ufficiale del ministero.

Ciò che stride è però la mancanza di un disegno chiaro a livello non solo italiano ma anche comunitario e globale, che cerchi di distinguere i destini di due mondi ancora troppo lontani, anche a tavola: quello di chi deve invertire sulle tecnologie di qualunque tipo per abbassare i costi e gli impatti ambientali delle produzioni agroalimentari, per consentire a masse di persone in preoccupante crescita di mangiare sempre meglio con sempre minore spesa diretta e indiretta; e la quota di mondo minore che, potendosi permettere la scelta della qualità, ha il diritto e il dovere di tutelare le proprie tradizioni qualitative.

Di nuovo, la contrapposizione vecchio-nuovo, avanti o indietro, determina movimenti scomposti e rallentati. Non si riesce nell’impresa, tutt’altro che semplice, di affrontare la globalità nel suo complesso, ricavarne un senso e cercare di indirizzarsi su percorsi di mediazione.

Poi ci sono tutte le altre vicende che vedono l’Italia in una posizione di sostanziale frizione con l’Europa: fonti rinnovabili, energie alternative, nucleare (indicativa la perplessità di Cottarelli sui Cinque Stelle: “Per ora rimango”), idrogeno, biocarburanti, benzina sintetica, case green, efficientamento energetico. In sostanza, l’Europa indica il cosiddetto progresso sostenibile, compatibile, verde che, in nome di una superiore esigenza di salvaguardia del nostro pianeta dai cambiamenti climatici, in realtà sembra affermare una ideologia ecologista che talvolta rimanda a presupposti di carattere religioso, più che biologico. Per quanto riguarda l’Unione Europea, a margine, viene da dare comunque ragione ad Alessandro Sallusti secondo il quale le querelle derivate dalla preoccupazione di Bruxelles e Strasburgo per la probabile alleanza tra popolari e conservatori potrebbe mettere fuori gioco i socialisti.

E poi naturalmente i flussi migratori che appaiono sostanzialmente irrefrenabili. Ci troviamo davanti a centinaia di milioni di persone in procinto di partire ed è così da decenni, con un’intensità sempre maggiore. Se un marziano ci osservasse rimarrebbe sgomento nel vedere come non riusciamo ad affrontare questo problema, certamente non semplice da risolvere, in modo strutturale, utilizzando cioè quanto tutte le posizioni in campo richiedono: investimenti nelle terre di origine per migliorare le condizioni delle popolazioni che per loro sfortuna lì sono residenti; controllo e contrasto dei flussi illegali; gestione comune dei movimenti interni all’Europa; soccorso, assistenza e accoglienza a coloro che arrivano perché possano vivere in moto dignitoso.

Ma forse il tema che in Italia più rende chiaro quanto ci sia un problema di incapacità di assecondare i tempi, senza subirli in maniera passiva ma senza nemmeno cercare insensatamente di ostacolarli, è quello storico. I nostri orologi sembrano ancora bloccati con le lancette sugli anni del fascismo e della resistenza, temi trattati sempre con una vis polemica tale che abbiamo assistito di recente a frasi obiettivamente poco felici su via Rasella e sulla rappresaglia delle Fosse Ardeatine, da destra, ma anche alle reazioni scomposte e stereotipate di molti esponenti di sinistra non solo a livello partitico ma, purtroppo, anche a livello storiografico. Su questa parte della nostra storia recente si conferma l’insufficienza degli intellettuali nel fornire all’opinione pubblica, nella misura equilibrata, elementi di ragionevole certezza e di ragionevole dubbio, le due componenti inestricabili di qualunque conoscenza.

Il tema nei prossimi giorni diventerà rovente perché dal 23 al 25 aprile avremo sicuramente una “tre giorni” continuativa, già annunciata dal sindaco Gualtieri a Roma, sul tema dell’antifascismo fondativo della Repubblica. E poi il primo maggio, con il concertone della festa dei lavoratori, darà la stura al solito speaker corner progressista. L’associazione nazionale partigiani italiani ha già fatto sapere che per il 25 aprile non sarà gradita la presenza di Ignazio La Russa, mentre la presidente del Consiglio ha fatto sapere che, ovviamente, sarà all’altare della Patria con il presidente della Repubblica e con le altre principali cariche costituzionali, tra le quali quindi il presidente del Senato non potrà mancare.

Le attuali vicende di cronaca producono un rumore di fondo, fatto di dibattiti e interviste, del quale potremmo disinteressarci e che non lascia traccia permanente nella realtà. Un vociare in cui si confondono le grida allarmistiche e a stento si distingue qualche spunto di moderazione, come quelli lanciati nei giorni scorsi da Luciano Violante, dall’ex presidente del Senato Marcello Pera, ma anche suggestioni come quelle di Piergiorgio Odifreddi, che forse involontariamente ha reso bene l’idea di quante istanze retrograde inficino il disegno progressista dei laici razionalisti nostrani (basti pensare a Slow Food). Nel bailamme emerge il rimpallo di accuse di strumentalizzare vicende marginali come armi distrattive per non concentrarsi sui veri problemi, cioè sulla realtà.

In questo quadro sarebbe auspicabile che il realismo venisse affermato come proprio valore dalla destra di governo, almeno al pari di altri principi condivisibili come l’interesse nazionale. Per farlo pensiamo a cosa è accaduto negli anni scorsi con i terremoti di Abruzzo e Italia Centrale, alle durate dei cantieri, alle cosiddette grandi opere interrotte. E dall’altra parte alla bioetica e all’etica che si esprime nelle richieste sulle famiglie omosessuali, allargate, variegate, in particolare a quella di avere dei figli che denota in modo palese come i bambini siano diventati, o rimasti, un bene di proprietà. Perché anche qui, molto semplicemente, la tecnologia va avanti indipendentemente dal nostro pensiero al riguardo e consente di fare cose che prima non erano possibili. Uno iato totale, si discute se permettere di fare cose possibili e non di ciò che non si fa anche se doveroso. E quindi il Ponte di Messina non è più un oggetto reale ma un mito e uno spettro italiano, tra grandeur mediterranea e cattedrale nel deserto.

Ma la realtà, quella vera o che almeno appare tale, è per l’appunto molto più dinamica e veloce degli osservatori, soprattutto progressisti, che cercano a fatica ed ex post di definirla. È questa la ragione per cui ogni normativa, ogni sistema amministrativo, ogni elaborazione teorica e ogni implementazione pratica sono tardive e insufficienti rispetto alle cose che semplicemente succedono. E che non rincorriamo. Basti pensare al dato evidenziato nei giorni scorsi da Laura Sabbadini del superamento delle donne laiche sulle cattoliche praticanti che ancora vanno a Messa e portano i figli al catechismo, che rappresenta l’interruzione di una trasmissione fondamentale di valori, di un modo di vivere, oltre e prima che delle convinzioni religiose in senso stretto. Ma anche alla decisione del Garante della privacy di “proibire” ChatGpt sulla quale si è ora scatenato un acceso quanto vago dibattito: un tema, quello dell’intelligenza artificiale, sul quale è davvero complicato definire una posizione equilibrata che permetta di cogliere i progressi e tutti i benefici possibili, considerando nel contempo che il mercato dei dati sta davvero diventando il business centrale della modernità.

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