Lo scorso 12 ottobre la Casa Bianca ha pubblicato “la strategia di sicurezza nazionale dell’amministrazione Biden-Harris”.
La strategia di sicurezza nazionale del presidente Joe Biden delinea come gli Stati Uniti perseguiranno i propri interessi vitali, un mondo libero, aperto, prospero e sicuro. “Sfrutteremo tutti gli elementi del nostro potere nazionale per superare i nostri competitor strategici; affrontare le sfide comuni; e modellare le regole di questo percorso”.
Il 16 ottobre il presidente cinese Xi Jinping ha aperto il XX Congresso nazionale del Partito Comunista – alla ricerca di uno storico terzo mandato alla guida del Pcc che trasformerà la Cina in una vera e propria autarchia – con un breve discorso di “soli” 104 minuti (il precedente era durato oltre 3 ore) nel quale ha difeso il modo in cui il suo governo ha gestito le questioni più urgenti per il Paese: le misure contro la pandemia di Covid-19 (caratterizzate da un controllo totale della popolazione attraverso durissimi lockdown – mentre si svolge il congresso del Pcc circa 140 città con decine di milioni di abitanti sono in lockdown), la “stabilizzazione” di Honk Kong e soprattutto la sua strategia su Taiwan.
Il segretario del Pcc Xi Jinping ha esplicitato gli obiettivi di Pechino su Taiwan ed ha ribadito la sua minaccia: “il Pcc non ha mai promesso di rinunciare all’uso della forza per la riunificazione.” Taiwan è una parte inalienabile del territorio della Repubblica Popolare, da riunificare anche con la forza, se necessario”, pur non avendola mai controllata.
“Risolvere la questione di Taiwan è un affare del popolo cinese e spetta al popolo cinese decidere, insistiamo sulla prospettiva di una riunificazione pacifica con la massima sincerità e i nostri migliori sforzi, ma noi non prometteremo mai di rinunciare all’uso della forza e ci riserveremo di prendere tutte le misure necessarie soprattutto in risposta alle forze esterne. Perché la riunificazione completa della nostra madrepatria deve essere realizzata e sarà sicuramente realizzata”.
Riguardo ad Hong Kong, “è passata dal caos alla stabilità, mettendo l’amministrazione della città nelle mani dei patrioti abbiamo rafforzato e attuato il modello – un Paese, due sistemi – aiutando Hong Kong a entrare in una nuova fase.”
La strategia di sicurezza del presidente Biden è ovviamente radicata sugli interessi statunitensi ma prevede anche un grande impegno nel rafforzare le alleanze: “proteggere la sicurezza del popolo americano, espandere le opportunità economiche e realizzare e difendere i valori democratici al centro dello stile di vita americano.”
Nel perseguimento di questi obiettivi, gli Usa si impegnano a:
- investire nelle fonti e negli strumenti sottostanti al potere e all’influenza americana;
- costruire la più forte coalizione possibile di nazioni per migliorare la nostra influenza collettiva per modellare l’ambiente strategico globale e risolvere le sfide condivise;
- modernizzare e rafforzare le Forze Armate in modo che siano equipaggiate per l’era della competizione strategica.
La nuova strategia Usa definisce “competizione strategica” la sfida più grande che l’Occidente sta affrontando sin dalla caduta del muro di Berlino: “vogliamo un mondo libero, aperto, prospero e sicuro da minacce e rischi provenienti da potenze che sovrappongono una governance autoritaria ad una politica estera revisionista.” “Competeremo efficacemente con la Repubblica Popolare Cinese, che è l’unico avversario con l’intento e, sempre più, la capacità di rimodellare l’ordine internazionale, e indeboliremo una Russia profondamente pericolosa. La competizione strategica è globale, ma eviteremo la tentazione di vedere il mondo esclusivamente attraverso una lente competitiva e coinvolgeremo i Paesi alle loro condizioni. Per preservare e aumentare la cooperazione internazionale in un’epoca di competizione, perseguiremo un approccio a doppio binario. Su un binario, lavoreremo con qualsiasi Paese, compresi i nostri competitor, disposti ad affrontare in modo costruttivo le sfide condivise all’interno dell’ordine internazionale basato sulle regole per rafforzare le istituzioni internazionali. Dall’altra parte, approfondiremo la cooperazione con le democrazie al centro della nostra coalizione, creando un reticolo di relazioni forti, resilienti e che si rafforzano reciprocamente che dimostrano come le democrazie possono offrire risultati per il loro popolo e il mondo.”
MA RUSSIA E CINA SONO IN GUERRA CONTRO LE DEMOCRAZIE E L’OCCIDENTE NON È PRONTO
Gli Stati Uniti e soprattutto l’Europa faticano a metabolizzare che Russia e Cina non fanno distinzione tra pace e guerra e stanno attivamente sfidando l’Occidente, contro il quale si considerano in guerra.
Per la dottrina militare russa, la guerra è una attività strategica governata da obiettivi politici, che include attività diplomatiche, economiche e militari, come mezzo di risoluzione permanente delle controversie politiche.
Sia per la Cina che per la Federazione Russa, la guerra è lo scontro tra visioni politiche e la transizione all’uso della forza per risolvere tali controversie politiche.
Stiamo già combattendo nella Terza Guerra Mondiale, una guerra ibrida che coinvolge tutto il pianeta, che lo riconosciamo o meno. Ci siamo dentro da molto tempo ma evitiamo di ammetterlo, soprattutto noi europei che negli ultimi anni abbiamo conquistato il monopolio delle ipotesi sbagliate come fattore trainante degli affari internazionali e per la sottovalutazione delle reali intenzioni del Presidente Putin. Di quali altri indicatori abbiamo bisogno per comprendere che siamo (ci hanno trascinato) in guerra, oltre alla feroce invasione militare dell’Ucraina che sta portando avanti la Russia con il preventivo assenso e costante supporto della Cina? Quali altre minacce di uso di armi nucleari deve farci il presidente Putin? Di quante altre dichiarazioni del presidente Xi Jinping, “che riunificherà Taiwan alla madrepatria anche con la forza”, per far comprendere al mondo libero che entrambi i regimi non fanno distinzione tra pace e guerra nella loro sfida all’Occidente?
La Russia e la Cina non guardano solo alla sopravvivenza del loro sistema politico, ma all’espansione del loro modello autocratico portata avanti con qualsiasi mezzo, anche con la forza militare. Entrambe si considerano in guerra con l’Occidente e mettono in atto azioni che hanno come obiettivo principale quello di distruggere la coesione sociale delle democrazie liberali e la credibilità delle nostre istituzioni per far sì che il nostro modello di governo democratico sia visto come un fallimento.
È il loro comportamento che rappresenta una sfida alla pace e alla stabilità internazionale, in particolare scatenando o preparando guerre di aggressione, minando attivamente i processi politici democratici di altri Paesi, facendo leva sulla tecnologia e le catene di approvvigionamento per la coercizione e la repressione, al fine di l’esportare il loro modello illiberale di ordine internazionale.
Non tutti i governi europei hanno ben compreso che la minaccia è molto più ampia della guerra in Ucraina.
Cina e Russia stanno compiendo uno sforzo sistemico per cambiare il modo in cui il mondo è stato strutturato dopo la caduta del muro di Berlino.
L’ordine internazionale basato sulle regole, che ha garantito la stabilità mondiale, la nostra e la loro prosperità economica per generazioni, è sotto attacco e sta vacillando. È necessario difenderlo e la gravità di questi accadimenti dovrebbe essere evidente a tutti i leader occidentali.
In questo pericoloso scenario, caratterizzato da sconvolgimenti geopolitici e dal deterioramento della sicurezza internazionale, con uno spettro sempre più ampio di minacce e sfide – rappresentate dalla Russia del presidente Vladimir Putin, e dall’ascesa economica e militare di una Cina sempre più assertiva – la difesa dello status quo non è più sufficiente per assicurare la pace e la stabilità strategica globale.
GLI STATI UNITI COSTRETTI A VARIARE LA PROPRIA STRATEGIA DI SICUREZZA NAZIONALE, DA SUPREMAZIA E DOMINIO A STRATEGIA DI DETERRENZA
Circa 25 anni fa, la Cina effettuò alcuni test missilistici a ridosso dell’isola di Taiwan per dissuaderla dall’allearsi con l’Occidente e dal puntare all’indipendenza, nel tentativo di dimostrare che la Cina poteva chiudere lo spazio aereo e marittimo di Taiwan. In risposta, gli Stati Uniti dispiegarono due portaerei nelle acque adiacenti a Taiwan in una dimostrazione di superiorità che costrinse la Cina a fare marcia indietro. Se oggi la Cina dovesse ripetere gli stessi test missilistici, è altamente improbabile che gli Stati Uniti rispondano come hanno fatto nel 1996.
Se le portaerei statunitensi si avvicinassero troppo alla terraferma cinese, si rischierebbe un incidente con altissimi rischi di affondamento se colpite da missili DF-21 e DF-26 che la Cina nel frattempo ha sviluppato e schierato.
Gli eventi che stanno stravolgendo i paradigmi della sicurezza globale (pandemia, cambiamento climatico, ritiro dall’Afghanistan, guerra in Ucraina, guerra ibrida globale, crisi energetica, recessione economica, crescita tecnologica e militare cinese, ecc.) portano a chiedersi se l’era della supremazia tecnologica e militare degli Stati Uniti sia finita.
Per decenni gli Stati Uniti hanno goduto di una superiorità dominante e pressoché incontrastata in ogni ambito strategico e operativo. Potevano rapidamente dispiegare le proprie forze ed intervenire, da soli o in partnership, in qualsiasi contesto di crisi.
Oggi, ogni dominio è conteso: terra, mare, cielo, spazio e cyberspazio, di conseguenza, negli ultimi due decenni, gli Stati Uniti sono stati costretti a variare la propria strategia di sicurezza nazionale, da una basata sulla supremazia e sul dominio dei Global Commons ad una strategia di deterrenza.
Come hanno riconosciuto nel 2019 il consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Biden, Jake Sullivan, e il suo collega del Consiglio per la sicurezza nazionale, Kurt Campbell, “gli Stati Uniti devono accettare il fatto che la supremazia militare sarà difficile da ripristinare, data la portata delle armi cinesi, e concentrarsi invece sulla dissuasione della Cina dall’interferire con la sua libertà di manovra e dal minacciare gli alleati e i partner statunitensi.”
Mentre la posizione geostrategica dell’America come superpotenza militare globale rimane unica – con capacità di proiezione di potenza che nessuno può eguagliare – rafforzata da più di 50 alleati legati da accordi di difesa collettiva e una rete di basi in quasi tutti i continenti – sia la Cina che la Russia (quest’ultima solo dal punto di vista nucleare) sono ora seri rivali militari e persino paritari in particolari settori. L’arsenale nucleare russo è da tempo riconosciuto come sostanzialmente equivalente a quello americano e, sebbene l’arsenale nucleare cinese sia molto più piccolo, Pechino ha comunque costruito e schierato una quantità di armi nucleari sufficienti a garantire una distruzione reciproca. La designazione di Cina e Russia come “grandi potenze competitrici” da parte del Dipartimento della Difesa (DOD) riconosce che ora hanno il potere di negare il dominio degli Stati Uniti lungo i loro confini e nei mari adiacenti.
Secondo un recente studio del Prof. Douglas Dillon della Harvard Kennedy School, se la Cina dovesse attaccare Taiwan, gli Stati Uniti probabilmente dovranno scegliere tra non intervenire o accettare i rischi di una escalation pericolosissima a livello mondiale. Se la Cina, con un atto di prepotenza, lanciasse un improvviso attacco militare per prendere il controllo di Taiwan, probabilmente avrebbe successo prima che le forze armate statunitensi possano spostare nella regione un numero sufficiente di mezzi e uomini in grado di contrastare l’esercito Popolare di Liberazione (PLA). Se gli Stati Uniti tentassero di intervenire in difesa di Taiwan con le forze attualmente presenti nell’area o che potrebbero arrivare durante l’assalto cinese, non sarebbero in grado di fermare l’invasione di Taiwan. Come hanno scritto l’anno scorso l’ex direttore ad interim della Central Intelligence Agency (CIA), Michael Morell, e l’ex vicepresidente degli Stati Maggiori Riuniti, l’ammiraglio James Winnefeld, la Cina ha la capacità di conquistare Taiwan prima che Washington possa decidere come rispondere, ed intervenire in ritardo potrebbe compromettere, o forse far perdere, una guerra convenzionale contro la Cina.”
LA RUSSIA E LA CINA PONGONO SFIDE DIVERSE
La Russia rappresenta una minaccia immediata per l’Europa e per il nostro sistema socioeconomico libero e aperto, come ha dimostrato la sua brutale guerra di aggressione contro l’Ucraina, violando senza alcuno scrupolo tutte le leggi fondamentali dell’ordine internazionale.
Dal 24 febbraio il suo esercito ha lanciato migliaia di missili contro l’Ucraina (anche ipersonici), ha sganciato una bomba da 525 chilogrammi su un teatro di prosa a Mariupol, usato come rifugio da centinaia di donne e bambini, ha stuprato, torturato ed ucciso migliaia di civili, ha costretto milioni di ucraini a fuggire in altri Paesi. L’esercito della Federazione Russa ha commesso numerosi crimini di guerra, tra cui l’uccisione di centinaia di bambini.
Per anni, Russia e Cina hanno “avvertito” la Nato di allontanarsi da quelli che il Cremlino e Pechino considerano i propri cortili di casa. Il presidente Vladimir Putin ha ripetutamente citato i suoi famigerati avvertimenti al presidente Joe Biden ed alla Ue perché il Cremlino paragona le sanzioni economiche ad azioni di guerra. La Russia ha anche minacciato di ritorsioni gli Stati Uniti e l’Europa per le loro forniture di armi all’Ucraina, in particolare artiglieria pesante, jet da combattimento e missili a lunga gittata, pur utilizzando quegli stessi mezzi contro civili e soldati ucraini.
Ma le atrocità contro la popolazione ucraina ed i referendum farsa nel Donbass stanno facendo modificare gli equilibri anche in seno all’Onu. Molte non-democrazie si sono unite alle democrazie mondiali nel ripudiare questi comportamenti, purtroppo Cina e India non sono tra questi.
La risoluzione approvata il 12 ottobre scorso dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che con voto palese ha condannato l’annessione illegale da parte della Russia di quattro regioni dell’Ucraina conquistate durante la guerra iniziata lo scorso 24 febbraio, ha visto il voto favorevole di 143 Paesi, quello contrario di 5 e l’astensione di 35, tra questi Cina e India. I cinque voti contrari sono arrivati da Russia, Bielorussia, Corea del Nord, Nicaragua e Siria.
Secondo la strategia di sicurezza nazionale Usa, la Repubblica Popolare Cinese è l’unico vero “competitor strategico” che non nasconde più il proprio obiettivo di rimodellare l’ordine internazionale, utilizzando sempre più il potere economico, diplomatico, militare e tecnologico per perseguire tale obiettivo.
Durante la Guerra Fredda, la Grand Strategy degli Stati Uniti si concentrava sul contenimento del potere dell’Unione Sovietica. L’ascesa della Cina richiede ora che l’America e i suoi alleati sviluppino una strategia che non miri alla vittoria totale su una minaccia esistenziale, ma alla deterrenza, che in Occidente salverà molte più vite e farà sicuramente risparmiare sui costi militari ed economici nel lungo periodo.
L’alternativa è una Cina rafforzata, aggressiva e sempre più disposta a minacciare gli Stati limitrofi e la sicurezza internazionale per raggiungere i suoi obiettivi imperialistici, con un Occidente indebolito che esita a spendere di più per il sostegno militare ed economico all’Ucraina e a Taiwan.
Lo stiamo constatando con la strategia di aiutare l’Ucraina a difendersi dall’aggressione russa attraverso le sanzioni economiche e la fornitura di armi, che sono deterrenza, non escalation.
Per far fronte a questi rischi e contrastare le minacce all’Occidente, i Paesi europei che nel recente passato hanno subito il fascino del gas russo e l’influenza cinese con l’adozione dei loro sistemi cibernetici e con l’adesione all’iniziativa strategica di soft power “nuova via della seta”, stanno implementando le sanzioni e sostenendo l’Ucraina. Tuttavia, non hanno ancora elaborato una strategia comune per assicurare il mantenimento dello spazio di sicurezza indivisibile nel quadro euro-atlantico, la sicurezza dell’Unione europea e dei suoi cittadini nei suoi vari aspetti, la stabilità nelle aree d’interesse strategico nazionale ed europeo; il rispetto delle regole fondamentali per la pacifica convivenza internazionale.
Strategia che in Italia è resa ancora più complessa dalla caduta del Governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi, dalle posizioni filorusse di esponenti politici di primo piano e da un’opinione pubblica bersagliata dalla disinformazione e profondamente preoccupata dai rincari energetici.
Scenario che fa assumere un ruolo strategico al Consiglio Supremo di Difesa (CSD), Organismo di rilievo costituzionale della Repubblica.
Con un Governo espressione (anche) di forze contrarie alle sanzioni alla Russia ed all’invio di armi all’Ucraina, sarà arduo il suo compito di coniugare l’evoluzione delle direttrici politiche in materia di difesa e sicurezza nazionale, coordinate con le linee guida operative adottate nel quadro dell’Alleanza Atlantica.
Una situazione che evidenzia ancora una volta l’assenza di un Consiglio di Sicurezza Nazionale, simile a quello di altre democrazie, dotato di strumenti efficaci di informazione e di decisione negli ambiti ambientale, sanitario, economico, cibernetico, produttivo ed educativo, oltre che militare.
L’efficacia del sistema di Difesa italiana dipende prioritariamente da un’azione integrata a livello interforze e dal coordinamento delle sue diverse componenti con i vertici alleati della Nato, ma anche dal consenso intorno alla decisione politica, da perseguire attraverso la modernizzazione degli Organi dello Stato, dando priorità al ruolo della tecnologia nella sicurezza nazionale e soprattutto coinvolgendo i settori fondamentali del sistema-Paese, indispensabili per tutelare la sicurezza ed il benessere dei cittadini, delle aziende e delle nostre Istituzioni, in Italia e all’estero.