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Turchia Siria

Tutte le ultime cose turche di Erdogan fra Russia, Ucraina e non solo

La Turchia di Erdogan al centro delle ultime novità geopolitiche. Ecco come e perché. L’articolo di Marco Orioles

Cos’hanno in comune le guerre in Ucraina e in Siria? Due conflitti così diversi e distanti nello spazio e nel tempo hanno tuttavia un punto di contatto nell’identità degli attori impegnati nella gestione della difficile fase dei negoziati propedeutici alla loro risoluzione.

Due appuntamenti diplomatici: Teheran e Istanbul.

Questa è una realtà che si è potuto osservare bene negli ultimi giorni nel contesto di due appuntamenti diplomatici strettamente interconnessi: il vertice a Teheran tra i Presidenti di Russia, Turchia e Iran e l’incontro di Istanbul in cui lo stesso Erdogan ha guidato una mediazione di successo per sbloccare il grano ucraino rimasto impigliato nelle maglie della guerra.

Al di là delle rispettive differenze e delle realtà belliche che ne costituiscono lo sfondo, i due eventi mostrano con chiarezza l’odierna multipolarità del sistema internazionale, in cui attori spregiudicati come Russia, Turchia e Iran fanno il bello e il cattivo tempo senza che l’Occidente svolga alcun ruolo significativo.

Questa è una realtà che emerge bene dalle analisi condotte negli ultimi giorni da Lucio Caracciolo e Stefano Pontecorvo e apparse sul quotidiano Repubblica: due lunghi commenti da cui prenderemo spunto per approfondire il tema.

L’accordo di Istanbul prima notizia positiva dal 24 febbraio.

L’accordo tra Russia e Ucraina che ha dato luce verde al trasporto di grano, cereali e fertilizzanti dal Mar Nero non significa affatto, scrive Caracciolo, che “un armistizio sia alle viste”.

Siamo tuttavia di fronte alla “prima notizia davvero positiva dal 24 febbraio a oggi” che offre una parziale compensazione al fallimento dei negoziati diretti e mai effettivamente decollati tra Russia e Ucraina.

In più, aggiunge il direttore di Limes, l’accordo di Istanbul prospetta “un cessate il fuoco di fatto nelle acque prospicienti i porti interessati”. Un risultato senz’altro straordinario che spinge Caracciolo a domandarsi se “questo barocco formato negoziale non possa diventare modello per un cessate il fuoco almeno parziale”.

Sono questi i motivi che hanno spinto il Segretario generale Onu Guterres a lasciarsi andare in dichiarazioni oltremodo speranzose: “il patto che due parti coinvolte in un sanguinoso conflitto siano state in grado di negoziare un accordo di tale genere è senza precedenti”.

Il trionfo di Erdogan.

A questo punto Caracciolo non può fare a meno di rimarcare come da questa intesa ne esca “trionfante la Turchia, Paese Nato che ormai si muove da elettrone libero, con l’opportunismo e la sicumera della grande potenza che sta ritrovando se stessa”.

Ankara in particolare, osserva ancora il direttore di Limes, “si ostenta … unica potenza in grado di mediare tra Russia e Ucraina. Specie per quanto riguarda la strategica area del Mar Nero, di cui Ankara è sentinella grazie al controllo degli Stretti e nelle cui acque non accetta di essere sfidata da nessuno, tanto meno dalla flotta russa”.

L’alleanza informale Russia-Turchia-Iran all’insegna del pragmatismo.

Per quanto concerne invece il summit di Teheran tra Raisi, Putin e Erdogan, Stefano Pontecorvo (già diplomatico d’Italia a Islamabad ed ex Alto Rappresentante civile della Nato in Afghanistan) vi ravvisa “una dimostrazione da manuale di pragmatismo in politica estera da parte dei leader di Iran, Russia e Turchia”.

Tre Paesi, prosegue Pontecorvo, che avvertono “la comune necessità di allargare spazi di manovra politici troppo stretti rispetto alle agende perseguite. E che possono puntellarsi a vicenda, in un’alleanza informale che consenta loro di presentarsi come attori internazionali autonomi e sottolinei il peso regionale e globale di ciascuno”.

La frammentazione del sistema internazionale.

Svolti nel formato negoziale cosiddetto di Astana, che dal 2018 si riunisce periodicamente per attuare un coordinamento con cui gestire la fase terminale del conflitto siriano, gli incontri del terzetto Putin, Erdogan, Raisi costituiscono innanzitutto, rileva Pontecorvo, “la conferma della frammentazione dello scenario mondiale, della natura sempre più aperta delle relazioni internazionali e forse anche del carattere straordinario del momento che stiamo vivendo”.

Il fatto che a sedersi sullo stesso tavolo a prendere decisioni che possono significare la vita o la morte di interi popoli siano “il Presidente di un Paese membro della Nato, Erdogan, il maggiore avversario dell’Alleanza, Putin, e il Presidente di un Paese quale l’Iran in secolare conflitto con l’Occidente deve far riflettere sui futuri scenari politici regionali che si prefigurano volatili e a geometria altamente variabile”.

Ma da tale volatilità non sono immuni nemmeno le relazioni tra i protagonisti del formato di Astana. Come scrive Pontecorvo, “le relazioni russo-turche sono increspate oltre che dalla vicenda libica nella quale Mosca e Ankara sono su sponde opposte, anche da quelle siriane che vedono i russi (assieme agli iraniani) a fianco di Bashar al-Assad, laddove le offensive turche contro i curdi in Siria … sono mal viste da Mosca per l’effetto destabilizzante che esse hanno sul quadro interno siriano”.

La cooperazione russo-iraniana.

Non meno dense di significato rispetto a quelle turco-russe appaiono le relazioni russo-iraniane. Una cooperazione che, rileva l’ambasciatore, “ha i suoi punti di forza nel comune approccio antiamericano e antioccidentale, oltre che nella politica condivisa nei confronti dell’Afghanistan e nella collaborazione tra le rispettive aziende energetiche”.

Un successo politico per il terzetto di Astana (e per Putin).

“Se gli iraniani”, osserva ancora l’editorialista di Repubblica a conclusione della sua analisi, “hanno potuto dimostrare di avere ancora amicizie potenti nel mondo e Erdogan ha potuto nuovamente presentarsi come leader internazionale, Putin ha anch’egli ottenuto un successo politico” derivante dal “sostegno iraniano all’invasione russa dell’Ucraina (e dalla) parallela condanna della Nato”.

“Non è poco”, è la chiusa di Pontecorvo, ”in un momento di influenza occidentale calante e a fronte dei tentativi posti in atto per rilevare Mosca sulla scena internazionale”.

Erdogan protagonista, Occidente marginale?

Ciò che emerge da entrambe le analisi è dunque il rischio di una crescente marginalità dell’Occidente in cruciali scenari di crisi, ma anche nel discusso protagonismo di player come Erdogan che approfittano del disordine internazionale per muoversi come battitori liberi e ottenere prestigio e influenza.

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