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India

Difesa, industria e terre rare: come si muoverà il Giappone di Kishida sulla Cina

Le sfide del Giappone con la Cina. Il punto di Giuseppe Gagliano

 

Il Giappone terrà le elezioni per la Diet Lower House (simile alla Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti) il 31 ottobre. Secondo le previsioni dei maggiori analisti asiatici, il Partito Liberal Democratico al potere (LDP) perderà alcuni seggi, ma manterrà la maggioranza.

Sotto il profilo della politica estera, l’attuale primo ministro all’inizio del suo mandato veniva considerato inaffidabile nei confronti della politica di proiezione di potenza cinese; solo in un secondo momento ha scelto invece una strategia certamente più filoamericana e quindi di maggiore contenimento della potenza espansionistica cinese. Ciò significa, da un lato, che l’alleanza USA-Giappone da un lato rimarrà sostanzialmente inalterata; e dall’altro lato che le spese per la difesa probabilmente aumenteranno.

A tale proposito, pare che sia intenzione del Giappone di costruire armi ipersoniche anche a causa della postura cinese  nei confronti di Taiwan.

Un’altra priorità è stata la sicurezza economica: priorità che si spiega con la necessità di ridurre la dipendenza dalle catene di approvvigionamento cinesi, di riuscire a contrastare il furto di proprietà da parte dello spionaggio economico cinese, di frenare la vulnerabilità degli investimenti giapponesi nella Repubblica popolare cinese e soprattutto di gestire la minaccia degli investimenti da parte della Cina in Giappone. Insomma, il Giappone continua – ieri come oggi – ad attribuire un ruolo fondamentale alla guerra economica.

Pensiamo, a tale proposito, che nel 2012 Toyota e Nissan, le due principali case automobilistiche giapponesi, avevano fermato parte delle loro linee di assemblaggio nei loro siti di produzione in Cina. O pensiamo – per fare un altro esempio – ai contrasti relativi all’arcipelago Senkaku-Diaoyu, su cui i due paesi rivendicano la sovranità. O alle richieste di boicottaggio dei prodotti giapponesi che furono fatte durante le manifestazioni anti- nipponiche nel settembre del 2012.

Tuttavia, una delle principali minacce da parte della Cina risiede nella capacità di limitare l’esportazione delle proprie terre rare che – come sappiamo – sono essenziali per la produzione di un’intera gamma di prodotti elettronici quali telefoni cellulari o computer. Tokyo infatti acquista oltre il 60% delle terre rare esportate dalla Cina, che detiene un monopolio globale quasi indiscusso in questo settore (per essere esatti il 90% della produzione mondiale).

Da parte sua, il Giappone non è privo di munizioni: può infatti ridurre i suoi investimenti in Cina e ciò può determinare un effetto significativo sull’occupazione. Non dimentichiamoci infatti che il Giappone ha investito 12 miliardi di dollari in Cina. Inoltre il Giappone può anche fare leva sulle esportazioni, poiché la Cina ha bisogno di componenti elettronici e pezzi di ricambio per i suoi impianti di assemblaggio. Infatti l’economia cinese dipende ancora molto dall’attività di assemblaggio nipponica. A livello di economia globale i mercati finanziari non possono che reagire negativamente ad una guerra economica tra Cina e Giappone poiché questi hanno bisogno di stabilità affinché i loro investimenti siano proficui. Insomma un conflitto commerciale tra Cina e Giappone finirebbe solo per creare un clima di incertezza molto dannoso per le industrie europee ed americane.

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