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Germania Italia

Il dissidio tra Italia e Germania

Il Bloc Notes di Michele Magno, blogger di Start Magazine, sulle divergenze tra il nostro Paese e la Germania… Le recenti dichiarazioni sulla situazione italiana del commissario europeo al Bilancio, Gunther Oettinger, sono state certamente inopportune, ma le reazioni che ha suscitato confermano quanto sia ormai profondo e diffuso il sentimento antitedesco che circola nel…

Le recenti dichiarazioni sulla situazione italiana del commissario europeo al Bilancio, Gunther Oettinger, sono state certamente inopportune, ma le reazioni che ha suscitato confermano quanto sia ormai profondo e diffuso il sentimento antitedesco che circola nel nostro Paese. E sono ormai in molti a sospettare che, se in passato la Germania aveva cercato di imporre il suo dominio sul Vecchio continente con i carri armati, oggi vorrebbe raggiungere lo stesso obiettivo con quella che doveva essere una moneta comune. Al tempo stesso, le si imputa curiosamente uno scarso impegno europeista, se non addirittura di voler fare segretamente da sola scaricando i suoi partners. Una demonizzazione che rinfocola antichi stereotipi e radicati pregiudizi.

Dice Mefistofele nel Faust goethiano: “Solo il primo passo è libero; al secondo si è già schiavi”. “Un passo alla volta”, gli fa eco Angela Merkel. Con la sua massima preferita la Kanzlerin ribadisce così un tratto distintivo del carattere tedesco: refrattario alle decisioni impulsive ma aperto all’innovazione. Federico II inizialmente non aveva intuito le potenzialità dell’artiglieria a cavallo, che considerava solo come un inutile spreco di denaro. Ma, di fronte ai vantaggi sperimentati sui campi di battaglia, la trasformò nell’arma vincente dell’esercito prussiano. Un altro Hoenzollern, Guglielmo II, accolse con diffidenza i primi veicoli con motore a scoppio realizzati sul finire dell’Ottocento da Karl Benz e Gottlieb Daimler. Successivamente favorì la nascita di quella che sarebbe diventata una formidabile industria automobilistica.

Insomma: per la cultura teutonica delle regole il futuro non si trova in grembo a Giove, ma -di fronte a un presente per sua natura sfuggente e inafferrabile- deve essere preparato con cura e costruito con ponderazione. Del resto, il paese che oggi offre centinaia di polizze assicurative contro il rischio di un viaggio aereo cancellato all’ultimo minuto, è stato anche il paese di Hegel e Heidegger. E cioè dei pensatori che hanno indagato in pagine memorabili le strutture emotive e psicologiche di quell’angoscia (Angst) che è un dato costitutivo dell’esperienza umana.

Siamo quindi lontani dalla vulgata di una Germania cinica e egoista, di cui si nutre l’Europa intera da quando è stata assalita dalla crisi. La tesi è sempre la stessa: è il dogma del pareggio di bilancio che sta uccidendo il sogno di Robert Schumann e di Altiero Spinelli. E dietro l’austerity imposta da Berlino molti credono di intravvedere l’ombra inquietante di Martin Lutero o quella luciferina di Max Weber, che però la genesi del capitalismo l’aveva imputata all’etica calvinista e delle sette protestanti radicali. Come ha osservato Angelo Bolaffi in un libro che smonta in modo esemplare questi stereotipi (Cuore tedesco, Donzelli, 2013), le cose sono assai più complicate. Beninteso, oggi l’europeismo della Merkel non è più quello fiducioso e romantico dei padri fondatori. Ma il suo antikeynesismo non può essere dedotto -come qualcuno ha avventurosamente sostenuto- da un ottuso vincolo morale, che troverebbe una clamorosa conferma nella coincidenza semantica di debito e colpa -messa in luce già da Nietzsche- nel termine Schuld.

E questo per la semplice ragione che lo Stato sociale in Germania è nato prima (con Bismarck e Lassalle) e si è sviluppato poi (nella Repubblica di Weimar con il Sozialer Rechsstaat, lo Stato sociale di diritto) indipendentemente dalle teorie di Keynes e di Beveridge. Come ricorda maliziosamente Bolaffi, quando la Germania era il “malato d’Europa” (come la bollò The Economist) fu accusata da Paul Krugman di non aver capito che il mondo era cambiato, e che pertanto occorreva privilegiare il valore della flessibilità rispetto a quello della disciplina. Ma non potendo lui-acceso assertore del deficit spending- fare proprie le critiche dei neoconservatori anglosassoni, per i quali le difficoltà dell’economia tedesca derivavano da un welfare troppo generoso, ne attribuì la causa nientemeno che alla rigidità pietista dell’imperativo categorico di Kant: “Quello che i tedeschi veramente vogliono è un quadro chiaro di principi: norme che specifichino […] quando i negozi saranno aperti e che valore ha il marco. Gli americani, invece, sono filosoficamente e personalmente più sciamannati. Essi si adattano con qualunque cosa sembra funzionare […] (Fortune, 19 luglio 1999).

Un’ultima considerazione. In un pionieristico pamphlet sui problemi politici del pieno impiego (1943), Michal Kalecki sostenne che Hitler era stato il più diligente allievo di Keynes, e che il suo “keynesismo militarizzato” aveva rappresentato l’applicazione più conseguente della “Teoria generale”. Questa tesi ha profondamente influenzato i teorici dell’ordoliberalismo e dell’economia sociale di mercato, oggi difesa con tenacia dalla Merkel. Ma, al di là della tragedia del nazismo, il trauma che ha segnato in maniera indelebile la biografia della cancelliera è stato il fallimento del socialismo tedesco, conclusosi con la dissoluzione della Ddr. Una sorta di “keynesismo impazzito”, in cui la mortificazione della libertà dell’individuo (stupendamente descritta nel film del 2006 “Le vite degli altri” di Henckel von Donnersmarck) si associava a un sistema capace di garantire soltanto burocrazia, corruzione e inefficienza economica. “Dare addosso” alla Merkel è uno sport assai diffuso, ma in pochi si interrogano sulle ragioni storiche della sua ossessione per “i conti in ordine”. Ma anche la cancelliera non può sottovalutare il rischio incombente di un “dissidio spirituale” tra Germania ed Europa, per usare una celebre espressione di Benedetto Croce. Per scongiurarlo, occorrerebbe una Germania più europea e non un’Europa più tedesca.

(CHI E PERCHE’ SBUFFA IN GERMANIA SULL’ITALIA E NON SOLO. L’APPROFONDIMENTO DI MENNITTI DA BERLINO)

(TUTTI I BORBOTTI DEI PROF. IN GERMANIA SU ITALIA E FRANCIA. L’ARTICOLO DI TINO OLDANI)

(CHE COSA CELANO LE TENSIONI SU PAOLO SAVONA. L’ARTICOLO DI MICHELE ARNESE)

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