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Egitto Germania

Come si arma l’Egitto (grazie alla Germania)

È bizzarro che la Germania si presenti come mediatrice, al pari della Francia, in merito alla questione libica e nello stesso tempo armi l’Egitto. Sarebbe opportuno che Angela Merkel evitasse di dare lezioni morali ad altri paesi europei. L'analisi di Giuseppe Gagliano

 

Come egregiamente illustra la storia, e in modo particolare la storia dell’industria militare, quando vi sono situazioni di elevata instabilità politica o a maggior ragione quando sono in corso delle vere proprie guerre su scala regionale o su scala globale, il riarmo diventa una priorità fondamentale per gli Stati indipendentemente dalle loro caratteristiche specifiche sul piano giuridico e politico.

È questo il caso dell’Egitto che attraverso la sua azienda navale Alexandria Shipyard, ha reso noto che in partnership con la ThyssenKrupp Marine Systems tedesca produrrà la prima fregata egiziana. Questa partnership è il risultato dell’accordo siglato nel 2018 tra Germania ed Egitto per la produzione di sei fregate per un giro d’affari complessivo di 2 miliardi di euro.

Tuttavia la partnership tra Egitto e Germania non deve destare nel suo complesso alcuna sorpresa perché si è concretizzata anche nel settore della produzione di petrolio e gas nella regione del Delta del Nilo ed in particolare in relazione al blocco di esplorazione di Damanhour. Ebbene, questa cooperazione ha avuto modo di attuarsi il 10 febbraio del 2020 tra il ministro del Petrolio egiziano Tarek al-Molla — nello specifico la Egyptian Natural Gas Holding Co e l’azienda tedesca Wintershall DEA — per un investimento di 43 milioni di dollari di cui 11 milioni saranno destinati alla perforazione di 8 pozzi. Ora, al di là della necessità di soddisfare i fabbisogni interni l’obiettivo finale dell’Egitto nel contesto della politica estera economica è quello di poter diventare un polo regionale rilevante per il commercio e per l’esportazione di gas verso l’Europa come dimostra il ruolo che giocherà il giacimento di Zohr.

Fino a qui i nudi fatti di cronaca. Ma diventa inevitabile formulare alcune considerazioni sulle motivazioni di questa scelta. In prima battuta, questo accordo è il risultato della grande rilevanza che ha avuto — e che ha — la casta militare in Egitto.

In secondo luogo questo accordo conferma un dato di fatto ormai acquisito e cioè che l’Egitto rimane il maggior importatore di armi tedesco tra i Paesi arabi.

In terzo luogo, il rafforzamento del sea power dovrebbe consentire di scoraggiare gli attacchi delle navi nemiche e cioè di scoraggiare le iniziative terroristiche che si servono di navi per trasportare i terroristi da un paese all’altro.

In quarto luogo, l’Egitto deve da un lato consolidare la sua sicurezza sia sullo scacchiere Mediterraneo che su quello del Mar Rosso. Infatti l’attuale instabilità libica come quella del Sinai ma soprattutto la necessità di difendere i suoi vitali interessi economici nel Mediterraneo — e cioè il giacimento di gas di Zohr — in funzione anti-turca implicano una rafforzamento complessivo del dispositivo militare sia marittimo che terrestre. Non è infatti un caso che l’Egitto abbia posto in essere l’esercitazione Qader 2020 proprio con lo scopo di salvaguardare i suoi sia nel Mediterraneo che nel Mar Rosso.

Due sono gli scopi infatti di tale esercitazione aereo-navale: in primo luogo quello di limitare e/o contenere la politica di proiezione di potenza turca in Libia, e in secondo luogo proprio quello di salvaguardare i giacimenti di gas naturale a Zohr.

Tuttavia l’Egitto vive una situazione di grave instabilità politica certamente strumentalizzata dalla fratellanza musulmana. È infatti dal 20 settembre che in Egitto vi sono state manifestazioni ampie contro un governo definito corrotto perché ritenuto direttamente responsabile delle pessime condizioni di vita nelle quali versa il popolo egiziano. In particolare, il 23 settembre queste manifestazioni hanno assunto un carattere violento determinando uno scontro frontale con le forze dell’ordine, le quali per sedare queste rivolte hanno utilizzato anche i gas lacrimogeni che ha indotto i manifestanti a incendiare e/o a danneggiare i veicoli militari.

Indipendentemente dalle scontate quanto prevedibili strumentalizzazione da parte della fratellanza musulmana, il popolo egiziano vive una grave crisi a livello economico poiché si vede privato delle sue risorse economiche fondamentali a vantaggio del rafforzamento del potere economico e politico della casta militare.

La questione della fratellanza musulmana è, non dimentichiamocelo, una questione cruciale non solo per l’Egitto ma soprattutto per l’attuale presidente egiziano. Infatti il presidente Abdel Fatah al-Sisi, dopo aver incarcerato il suo predecessore Mohammed Morsi e aver arrestato e perseguitato la Fratellanza musulmana in Egitto, sostiene Haftar proprio per impedire che la Libia possa cadere sotto l’influenza dei Fratelli musulmani.

Tre considerazioni infine: la prima riguarda il fatto che il presidente egiziano dovrebbe in primo luogo pensare a soddisfare le esigenze economiche della sua popolazione piuttosto che quelle della sua casta militare. Un popolo affamato prima o poi trova il modo per cambiare, anche attraverso l’uso della violenza, il regime politico che lo affama e lo sfrutta.

In secondo luogo, l’Egitto farebbe bene non solo a conformarsi agli standard nella produzione di armamenti ma innanzitutto agli standard occidentali relativi ai diritti umani. Ma considerando la storia dell’Egitto moderno e la sua intrinseca natura autoritaria c’è da dubitare che tutto ciò possa avvenire. Non dimentichiamoci infatti che per l’Egitto, come per tutti i paesi arabi, i valori della cultura occidentale sono solo relativi e non hanno, né possono avere, una dimensione universale.

Infine, per quanto sul piano storico la cosa non possa destare alcuna sorpresa, appare quantomai bizzarro che la Germania si presenti come mediatrice, al pari della Francia, in merito alla questione libica e nello stesso tempo armi l’Egitto. Sarebbe opportuno che Angela Merkel evitasse di dare lezioni morali ad altri paesi europei. Le respingiamo al mittente.

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