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Semiconduttori

Microchip, perché a Taiwan e in Olanda Powerchip e Asml sbuffano contro gli Usa

Microchip, perché a Taiwan e in Olanda Powerchip e Asml sbuffano contro gli Usa

“Le manovre degli Stati Uniti sui semiconduttori non sono giuste o buone per noi. Ma è difficile riuscire a dirlo esplicitamente”. Lo ha detto, in un’intervista a La Stampa, Frank Huang presidente e amministratore delegato di Powerchip, una delle più grandi società produttrici di microchip taiwanesi, dopo il colosso TSMC.

LE RESTRIZIONI AMERICANE ALL’EXPORT DI MICROCHIP IN CINA

Le “manovre” a cui fa riferimento Huang sono le restrizioni imposte dagli Stati Uniti all’esportazione in Cina di tecnologie per la manifattura di chip avanzati, quelli cruciali per lo sviluppo economico-industriale e militare. L’azione di Washington è internazionale: sia perché vi partecipano altre due nazioni alleate (il Giappone e i Paesi Bassi, sede di importanti aziende del settore); sia perché le restrizioni interessano tutti i dispositivi contenenti o sviluppati con tecnologie americane, anche se fabbricati altrove.

L’industria dei semiconduttori, e in particolare quella taiwanese, si trova dunque in difficoltà. Come spiega Huang, “il rapporto con gli Usa è vitale, ma la Cina è il nostro mercato principale. Spediamo più chip lì che in qualsiasi altro posto”. Da una parte, insomma, ci sono i legami politici e dall’altra quelli economici: governi e aziende sono stati forzati a scegliere.

GLI STATI UNITI HANNO OBBLIGATO TSMC?

A La Stampa Huang dice anche che gli Stati Uniti, che vogliono recuperare capacità manifatturiera di microchip, hanno “premuto a lungo” TSMC, di fatto costringendola, ad aprire due fabbriche in Arizona: l’investimento della compagnia ammonta a 40 miliardi di dollari, sostenuto con fondi pubblici.

“Lì i prezzi [di produzione, ndr] sono doppi rispetto a qui. [I microchip] saranno infinitamente meno profittevoli di quelli taiwanesi”, ha dichiarato Huang, mettendo a confronto il contesto statunitense con quello taiwanese.

I PIANI DI POWERCHIP PER L’ESTERO

Powerchip sta valutando di partecipare alla costruzione di una fonderia (ovvero una fabbrica di semiconduttori) in India e sta discutendo con il Giappone sui chip per le automobili. Quanto all’Italia, Huang ha detto a La Stampa che “ha tanti ingegneri”; all’Europa, però, “manca una vera catena di approvvigionamento sui semiconduttori, questo la espone a molti rischi”.

Come gli Stati Uniti, anche l’Unione europea vuole dotarsi di maggiore capacità manifatturiera di chip attraverso un piano di stimolo da 42 miliardi di euro, l’European Chips Act. Il piano americano, chiamato CHIPS Act, vale 280 miliardi di dollari in tutto, di cui 52,7 destinati alla produzione nazionale di chip.

Intel, statunitense, che sembrava prossima a investire nell’apertura di stabilimenti per i semiconduttori in Germania e in Italia, potrebbe decidere di rivedere i suoi piani.

– Leggi anche: Intel, Volkswagen e non solo: tutte le aziende che puntano ai sussidi Usa

LE PROTESTE DI ASML

Non è solo Huang a lamentarsi per le restrizioni americane alle vendite di microchip in Cina: anche Peter Wennink, amministratore delegato di ASML – ha sede a Veldhoven, nei Paesi Bassi, ed è la compagnia tecnologica più grande d’Europa – aveva fatto commenti simili.

“Dobbiamo solo aspettare che i governi e i politici continuino a parlare e arrivino a una soluzione ragionevole” sui controlli alle esportazioni, aveva detto qualche mese fa.

Ad ASML era già stato proibito, dal 2019, di vendere in Cina macchine che utilizzano la tecnologia di litografia ultravioletta estrema (EUV), un processo che consente di produrre semiconduttori su scale ridottissime). Adesso non potrà esportare nemmeno la maggior parte dei sistemi di litografia ultravioletta profonda (DUV) senza aver prima ottenuto una licenza specifica dalle autorità.

Per ASML la Cina rappresenta un importantissimo mercato di vendita, il terzo per dimensioni dopo Taiwan e Corea del sud. Nel 2022 l’azienda ha registrato vendite Cina per 2,16 miliardi di euro, pari al 14 per cento del fatturato totale, e il paese vale il 18 per cento del suo portafoglio ordini.

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