La società statunitense di semiconduttori Intel vuole ottenere ulteriori aiuti pubblici da 4-5 miliardi di euro per la costruzione di una fabbrica di microchip a Magdeburgo, nella Germania dell’est. Il governo tedesco si era già impegnato a sostenere il progetto, la cui realizzazione è stata ora posticipata, con sussidi da 6,8 miliardi.
I NUOVI CALCOLI DI INTEL PER LA GERMANIA
Per giustificare la richiesta di una somma (molto) maggiore di quella già concordata, la società ha citato la volatilità dei prezzi dell’energia in Europa e l’aumento dell’inflazione, che ha fatto crescere i costi dei materiali e dei lavori.
Nei calcoli iniziali di Intel, la fabbrica in Germania avrebbe avuto un costo di 17 miliardi di euro, che adesso sarebbe però cresciuto a 30 miliardi. L’azienda vorrebbe che gli aiuti statali arrivassero a coprire circa il 40 per cento della somma, come è consuetudine per i progetti legati al Chips Act: è il piano dell’Unione europea da 43 miliardi per sviluppare un’industria dei semiconduttori sul territorio comunitario e rappresentare il 20 per cento della manifattura mondiale di questi componenti entro il 2030 (attualmente vale circa l’8 per cento).
COSA FARÀ INTEL IN ITALIA?
Stando alle fonti di Bloomberg, Intel potrebbe decidere di rimandare anche i suoi piani per l’Italia, dove dovrebbe – nell’ottica di un’ampia espansione manifatturiera nel Vecchio continente – aprire un impianto di collaudo e confezionamento dei chip (l’ultima fase della filiera) a Vigasio, in Veneto. L’investimento ha un valore stimato in 4,5 miliardi, che il governo potrebbe coprire con fondi pubblici fino al 40 per cento della somma totale.
NESSUNA MODIFICA AI PIANI PER LA FRANCIA E L’IRLANDA
Bloomberg scrive che le trattative tra l’azienda e le autorità italiane stanno proseguendo. E aggiunge che i progetti di Intel in Irlanda (l’espansione di un sito produttivo di microchip) e in Francia (un centro di ricerca) non sembrano invece aver subìto modifiche sostanziali.
– Leggi anche: Biden frena Intel in Germania e in Italia?
VOLKSWAGEN FRENA SULLE BATTERIE IN EUROPA
Mentre il governo della Germania è impegnato a gestire l’affare Intel, la casa automobilistica tedesca Volkswagen (lo stato della Bassa Sassonia ne è azionista con l’11,8 per cento) ha sospeso i piani per una fabbrica di batterie per i veicoli elettrici nell’Europa orientale: darà la priorità al Nordamerica, dove potrebbe ricevere incentivi da 9-10 miliardi di euro grazie all’Inflation Reduction Act, la legge statunitense per la manifattura locale di tecnologie pulite da 369 miliardi di dollari.
GESTIRE L’IRA
L’Unione europea teme che l’Inflation Reduction Act, con i suoi sussidi generosi e facilmente accessibili, convincerà le aziende a concentrare investimenti e presenza industriale negli Stati Uniti, lasciando il Vecchio continente sprovvisto di una forte base manifatturiera nei settori cruciali per la transizione ecologica. Washington, peraltro, ha elaborato anche un programma di stimolo ai semiconduttori – indispensabili per la transizione digitale – più voluminoso di quello europeo, da oltre 50 miliardi di dollari.
Di recente la Commissione europea ha presentato la sua risposta all’Inflation Reduction Act, il Green Deal Industrial Plan, che però non è stato accolto benissimo dagli imprenditori, che chiedono procedure burocratiche più snelle. La settimana prossima la Commissione dovrebbe pubblicare una normativa specifica di sostegno all’industria verde, il Net Zero Industry Act.
ANCHE NORTHVOLT VUOLE I SUSSIDI AMERICANI
Volkswagen ha detto di non avere ancora preso una decisione sulla posizione della fabbrica di batterie, spiegando di voler prima valutare bene le condizioni offerte dallo schema europeo. Thomas Schmall, a capo dell’unità di Volkswagen dedicata ai componenti, ha però dichiarato che il progetto nordamericano procede più spedito.
Anche i dirigenti di Northvolt, azienda svedese di batterie che rifornisce Volkswagen, hanno ripetuto varie volte che potrebbero costruire la loro nuova fabbrica non in Germania ma negli Stati Uniti, dove riceverebbero sussidi superiori agli 8 miliardi di dollari.
TUTTE LE AZIENDE CHE GUARDANO AGLI STATI UNITI
Tesla ha ridimensionato i suoi piani per le batterie in Germania per focalizzarsi sugli Stati Uniti.
Air Liquide, società francese di gas industriali, dice di non voler perdere l’opportunità della legge anti-inflazione. Linde, tedesca ma attiva nello stesso ramo, stima investimenti da 30 miliardi di dollari in dieci anni sul territorio americano.
La società elettrica spagnola Iberdrola investirà più risorse in America che in Europa. Così farà pure Ecocem, impresa irlandese di cemento a basse emissioni. Enel ha stanziato 600 milioni di euro per espandere l’impianto di pannelli solari di Catania, ma circa 1 miliardo di dollari per costruire una struttura simile negli Stati Uniti.
Il colosso chimico tedesco BASF chiuderà diversi stabilimenti in Germania perché il gas costa troppo, tagliando 2600 posti di lavoro. Lanxess, stessa nazionalità e stesso comparto, ha anticipato che si concentrerà sugli Stati Uniti.
Ford licenzierà 3800 persone in Europa, ma aprirà una fabbrica di batterie nel Michigan da 3,5 miliardi di dollari per 2500 nuovi occupati. Anche Holcim, Airbus e ArcelorMittal hanno mandato messaggi poco incoraggianti all’Unione europea.