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Taiwan

Chip, ecco l’accordo fiscale in vista fra Usa e Taiwan per Tmsc che fa infuriare la Cina

Taiwan chiede agli Stati Uniti di eliminare la doppia imposizione per favorire gli investimenti. L'amministrazione Biden e il Congresso sembrano favorevoli: vogliono attirare le aziende di microchip come Tsmc sul territorio americano. Ma c'è un problema: la Cina

 

Joe Biden ha un piano: attirare negli Stati Uniti le più importanti aziende produttrici di microchip al mondo. La più grande in assoluto, nonché la più sofisticata, è la taiwanese Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC). Si è già impegnata a investire 40 miliardi di dollari per l’apertura di due fabbriche di semiconduttori in America, ma mantiene in patria le sue tecnologie più avanzate.

TAIWAN VUOLE CANCELLARE LA DOPPIA IMPOSIZIONE

I funzionari taiwanesi – riporta Bloomberg – sostengono che per stimolare gli investimenti negli Stati Uniti è necessario che l’amministrazione Biden elimini la doppia imposizione. Anche la segretaria del Tesoro, Janet Yellen, pensa che l’assenza di un accordo in merito tra Washington e Taipei rappresenti un “problema molto significativo”, e ha assicurato che il governo cercherà “un modo” per risolverlo.

La posizione di Taiwan è che la doppia imposizione scoraggia gli investimenti taiwanesi proprio in quelle industrie tecnologiche che gli Stati Uniti hanno più interesse a sviluppare. La questione verrà probabilmente affrontata la settimana prossima durante la visita in America di Tsai Ing-wen, la presidente di Taiwan. Una visita che ha già innervosito la Cina, che non considera Taiwan un paese indipendente ma piuttosto una provincia del suo territorio, da riportare sotto il controllo del Partito comunista; di conseguenza, ha definito il viaggio di Tsai negli Stati Uniti una “provocazione”.

COSA VUOLE WASHINGTON DALLE AZIENDE TAIWANESI

Bloomberg scrive che Washington è ben disposta verso le richieste fiscali di Taipei. Innanzitutto, il presidente Biden vorrebbe promuovere il suo CHIPS Act – il piano per la ricerca scientifica, l’innovazione tecnologica e la produzione di semiconduttori: vale 280 miliardi di dollari in tutto, di cui 52,7 destinati alla manifattura domestica di microchip – per aumentare le sue possibilità di rielezione nel 2024. I legislatori americani, invece, vorrebbero che TSMC investisse anche nei loro stati somme paragonabili a quelle già destinate all’Arizona.

LA CINA REAGIRÀ?

C’è un problema, però. Pur essendone i principali sostenitori a livello internazionale, gli Stati Uniti non riconoscono formalmente Taiwan – hanno relazioni diplomatiche con la Cina -, e dunque non possono stipularvi un vero e proprio trattato per l’eliminazione della doppia imposizione.

Bloomberg scrive che le due parti potrebbero accordarsi su “una sorta di misura a metà” (non un trattato formale, dunque). Ma esiste comunque la possibilità di ritorsioni da parte della Cina, che interpreterebbe la mossa come un attacco alla propria sovranità. Le relazioni tra Washington e Pechino sono peraltro già ai minimi, specialmente dopo l’affare dei palloni aerostatici.

QUANTO PAGANO LE AZIENDE TAIWANESI

Sono anni, in realtà, che Taiwan cerca di ottenere dagli Stati Uniti – da quando alla Casa Bianca c’era Donald Trump – un accordo per l’eliminazione della doppia imposizione. Le aziende taiwanesi pagano un’aliquota fiscale del 51 per cento sui loro profitti negli Stati Uniti (di circa dieci punti percentuali più alta rispetto a quelle per le imprese sudcoreane o australiane) dopo aver fattorizzato le ritenute sui dividendi inviati in patria.

LE PRESSIONI DI TSMC

La segretaria del Commercio Gina Raimondo aveva dichiarato il mese scorso che i rappresentanti di TSMC avevano sollevato con lei la questione della doppia tassazione. Aveva detto in proposito che le grosse aziende manifatturiere di microchip hanno bisogno di avere vicino i loro fornitori, in modo da ridurre tempi e costi di produzione: gli Stati Uniti, di conseguenza, dovrebbero offrire a queste imprese degli incentivi per trasferirsi sul loro territorio.

I PRECEDENTI

Taiwan possiede degli accordi in materia di imposte sul reddito con trentaquattro paesi, inclusi quelli che – come l’America – non vi possiedono relazioni diplomatiche formali, riconoscendo piuttosto la Cina. Come fa notare Bloomberg, questi accordi sono però stati raggiunti in altri tempi, quando i rapporti con Pechino erano diversi e più distesi.

Ci sono tuttavia dei precedenti a cui gli Stati Uniti potrebbero rifarsi per un eventuale accordo fiscale con Taiwan. Nel 2016, ad esempio, i due paesi hanno raggiunto un accordo anti-evasione: da allora, Taipei segnala a Washington i contribuenti americani che possiedono dei conti presso le banche taiwanesi.

NEGOZIATI TRA INTERMEDIARI

Le trattative economiche tra gli Stati Uniti e Taiwan non si svolgono direttamente, proprio per mantenerle separate dalle relazioni diplomatiche formali, ma vengono condotte tra degli intermediari: ovvero tra l’American Institute a Taiwan (che svolge di fatto il ruolo di ambasciata americana sull’isola) e il Taipei Economic and Cultural Representative Office negli Stati Uniti, piuttosto che tra i rispettivi ministeri delle Finanze.

Lo scorso gennaio gli Stati Uniti hanno inviato una delegazione formale presso l’American Institute di Taiwan per avviare dei negoziati commerciali bilaterali, all’interno dei quali potrebbe venire inserito un accordo sulla doppia imposizione.

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