Accelera il programma Tempest, il sistema di combattimento aereo del futuro d’iniziativa britannica cui hanno aderito il nostro paese e la Svezia nel 2019.
Lo scorso 21 dicembre il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini (Pd), ha sottoscritto insieme ai suoi omologhi di Regno Unito e Svezia, un MoU (Memorandum of Understanding) che disciplina una collaborazione paritaria tra i tre Paesi nell’ambito del programma.
Non solo. L’Italia – sottolinea il ministero della Difesa – ritiene auspicabile “l’opportunità di valutare nel tempo una possibile convergenza dei due programmi” Tempest e il concorrente franco-tedesco-spagnolo Fcas.
Start ha approfondito la questione con il generale Vincenzo Camporini, ex capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica militare.
Perché solo lunedì il ministero della Difesa ha reso noto con un comunicato stampa che il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha sottoscritto l’accordo il 21 dicembre, trapelato sull’Agenzia Nova il 2 gennaio?
Andrebbe chiesto al ministero della Difesa. È chiaro che qualcosa è dovuto all’equivoco che c’è stato nel piano di investimenti pubblicato [il Dpp 2020-2022] in cui si è indicato il Tempest come un programma prioritario ma senza indicare le risorse finanziarie da dedicarvi. Può darsi che questo sia stato uno dei motivi. Ma ripeto è una mia illazione. Il ministro Guerini ha rassicurato tutti quanti, in particolare il partner inglese, che inizialmente, a quanto mi risulta, era rimasto abbastanza sorpreso da quanto letto sulla documentazione.
Già quest’estate il sottosegretario alla Difesa Angelo Tofalo aveva auspicato una convergenza con il programma rivale franco-tedesco-spagnolo Fcas, possibilità ora rimarcata anche nella nota della Difesa. Tuttavia alcuni esperti del settore ritengono questa una possibilità remota. Cosa ne pensa?
Condivido questa opinione. La possibilità è estremamente remota per gli approcci diversi dei singoli Paesi. La Francia ha coinvolto la Germania in questo suo progetto (non dobbiamo dimenticare infatti che il progetto è francese) e la capofila è Dassault. Quest’ultima è un’industria relativamente piccola, perché se guardiamo il numero degli addetti stiamo a circa 16mila dipendenti. Ma condiziona largamente il governo francese, ha una grande capacità di influenza e di lobbying. È stata Dassault a investire in questa operazione escludendo la controparte italiana. Siamo stati trascurati in questo tipo di decisione, con la conseguenza di aver fatto propendere il nostro paese verso il Regno Unito. Regno Unito che, uscito dalla Unione europea, vuole e deve conservare la propria indipendenza tecnologica portando avanti il suo programma. Sono molto scettico sulla possibilità che alla fine metta insieme le due visioni.
In tutto ciò si inserisce il ruolo di Leonardo, che al momento guida il consorzio italiano all’interno del programma Tempest.
Leonardo è una grossa impresa che ha la sua origine in Italia, ma non dimentichiamo che è un’impresa trans-nazionale. La sua quota nell’area industriale britannica è molto elevata. Quota riferita agli aspetti della tecnologia dell’informatica e dell’avionica in generale, quindi particolarmente pregiata. Leonardo sarebbe stata comunque coinvolta nella sua parte Uk nel progetto Tempest. La decisione italiana di unirsi a questa impresa consente di coinvolgere tutta Leonardo nella sua interezza.
Il fatto che l’Italia non abbia previsto una prima tranche di investimento (contenuta in realtà secondo la Difesa all’interno del programma Eurofighter) penalizza il nostro paese all’interno del consorzio?
No. Io credo che si tratti semplicemente di aspetti di tecnica finanziaria che a volte sfuggono a una comprensione immediata ma rispondono a problemi di meccanica finanziaria. La questione non mi turba.
Quali sono i prossimi passi che ci aspettano sul programma Tempest.
È già partita l’azione di concertazione con gli altri partner, Regno Unito e Svezia per la definizione di tutti i requisiti del programma. Si tratta di delineare che cosa si vuole. E quello che si vuole non è solo un nuovo aeroplano. Si tratta di un grande sistema di combattimento in cui c’è anche una piattaforma che vola ma che ovviamente deve coinvolgere tutte le dimensioni operative possibili. È un lavoro estremamente complesso anche perché stiamo parlando di esplorare “pianeti ancora non esplorati”. Richiede quindi competenza, fantasia e buona volontà ed è quello che dovrà essere fatto nei prossimi mesi. Ripeto è un lavoro molto complicato, il che mi suscita qualche perplessità sulle tempistiche annunciate dai nostri colleghi britannici. Si parla di farlo volare entro il 2025. Non credo che ciò risponda a un minimo di fattibilità perché stiamo trattando un qualcosa di completamente nuovo da disegnare dall’inizio”.