La Procura di Milano, con una decisione che ha fatto scalpore, ha sancito nei giorni scorsi che le aziende del food delivery, Uber Eats, Foodora, Deliveroo e Glovo, entro 90 giorni dovranno assumere i loro 60.000 fattorini con un contratto di lavoro coordinato e continuativo. In aggiunta le società sono state multate per 733 milioni, solo per quanto riguarda le sanzioni sul mancato rispetto del Testo unico sulla sicurezza sul lavoro.
Sulla vicenda i pareri sono molto discordanti. Se c’è chi plaude all’iniziativa della Procura milanese, il ministro Andrea Orlando e la CGIL, c’è chi, tra i giuslavoristi solleva qualche dubbio.
Il rischio che si risolva tutto in una bolla di sapone
Il rischio più grande è che i rider assunti siano poi licenziati subito dopo. A dirlo ai microfoni di Adnkronos è stato Roberto Pessi, giuslavorista e prorettore alla Didattica della Luiss Guido Carli. “L’ipotesi che possa essere applicato il lavoro subordinato agli oltre 60.000 riders attivi nel nostro Paese, è un’ipotesi deflagrativa – dice il professore -. Considerando anche l’elevato importo dell’ammenda comminata alle imprese di delivery, vale a dire 773 milioni di euro, cifra superiore al fatturato globale delle imprese”. Il rischio è che la Procura, forzando la mano con le assunzioni, decreti, di fatto, la morte di queste aziende.
Il rischio del ricarico dei costi
“C’è anche la questione del ricarico dei costi, vale a dire della percentuale che spetta alla piattaforma sulle consegne – osserva Pessi -. Se questo ricarico viene aumentato e va a incidere sui costi del ristoratore e alla fine sulla spesa del consumatore, potrebbe esserci un drastico calo della domanda, e in una situazione di difficoltà, la società di delivery potrebbe anche cessare l’attività”. La soluzione sarebbe trovare un accordo tra le parti perché affidarsi solo alla magistratura “comporta dei rischi per l’occupazione“. Nessun contratto collettivo nazionale di lavoro è applicabile ai riders. “Come è stato per altri lavori ‘fluidi’ va identificato un contratto ad hoc – conclude Pessi -, appellandosi alle eccezioni previste dal Jobs Act sulla disciplina del rapporto di lavoro subordinato“.
Il ministro Orlando si complimenta con la Procura di Milano
Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Andrea Orlando, ha contattato telefonicamente con procuratore della Repubblica di Milano, Francesco Greco, e il Comandante dei Carabinieri per la Tutela del Lavoro, generale Gerardo Iorio. Come riportato dal sito del Ministero del Lavoro il ministro Orlando ha voluto complimentarsi per il brillante lavoro investigativo nell’inchiesta sulle società di food delivery e ringraziare per l’attività svolta a tutela del lavoro e dei lavoratori.
Landini: “Tutele contrattuali ai riders”
Il segretario generale della CGIL Maurizio Landini, in una nota sul sito del sindacato, ha definito la decisione della Procura di Milano: “Una bella notizia per la ‘coesione’ del nostro Paese”. Il numero uno della CGIL afferma che “Le persone che di lavoro fanno i rider devono essere assunte e avere tutte le tutele contrattuali e di sicurezza che derivano dall’applicazione di un vero contratto nazionale di lavoro”. E rimanda al testo costituzionale e alla sacralità del lavoro. “Del resto – aggiunge Landini – questi sono i nostri principi Costituzionali: l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro e non sullo sfruttamento”. Da ultimo chiede l’attivazione di tavoli ad hoc presso il Ministero del Lavoro. “Pertanto – conclude il segretario generale della Cgil – chiediamo che si riattivino i tavoli di confronto con le imprese e la loro associazione presso il ministero del Lavoro. Non c’è più tempo da perdere”.
Ichino: “Un giudice non può risolvere le problematiche dei riders”
Il professore Pietro Ichino, nella sua newsletter, esprime un’opinione che si distanzia dalla decisione della Procura di Milano. “Tutti, a proposito del lavoro dei rider, parlano di schiavismo – scrive Ichino -; ma nessuno considera che questa forma di organizzazione del lavoro ha consentito a decine di migliaia di lavoratori immigrati un accesso facile a un’attività redditizia, che per la collettività si è rivelata preziosa nel corso della crisi pandemica”. Il prof. dell’Università di Milano si chiede se quei lavoratori avrebbero trovato un impiego se quest’ultimo fosse stato assoggettato “alla vecchia disciplina del lavoro subordinato, con il suo orario di lavoro predeterminato, la sua retribuzione per il 90 per cento fissa, le altre sue rigidità”. Ichino considera il lavoro dei platform workersuna questione spinosa per la quale è necessaria un “adattamento del diritto del lavoro all’evoluzione tecnologica, che non può essere risolta con un meccanico e indifferenziato assoggettamento del rapporto alla disciplina del vecchio rapporto di lavoro subordinato del secolo scorso”. Il rischio è mettere fuori-legge “un modello di organizzazione del lavoro reso possibile dalle nuove tecnologie, che invece richiede una disciplina adatta alle sue caratteristiche”.
La strada è la contrattazione collettiva anche senza la CGIL
La strada migliore, secondo l’ex sindacalista e parlamentare del PCI, è quella della contrattazione collettiva anche con l’assenza della CGIL. “Almeno Cisl e Uil, se la Cgil non è disposta a entrare in questo ordine di idee – conclude Ichino -, dovrebbero chiedere di riaprire con Assodelivery il discorso sul contratto collettivo nazionale, con l’intendimento di perfezionare quello già firmato con UGL-Rider. Dubito, invece, che possa risolvere correttamente il problema un legislatore à la Di Maio 2019. Ma sono certo che non può risolverlo un giudice penale”. Il rischio sarebbe quello di “soffocare sul nascere questo germoglio di una pianta che, se ben coltivata, può dare frutti molto buoni”.
Cazzola: “Paese ammalato pangiustizialismo”
Giuliano Cazzola, già dirigente Cgil ed esperto di lavoro e welfare, per commentare sul suo blog la sentenza della Procura di Milano ricorda le parole di un suo collega da poco scomparso, il prof. Filippo Sgubbi: “La magistratura entra con frequenza nel merito delle scelte e delle attività imprenditoriali, censurandone la correttezza sulla base di parametri ampiamente discrezionali della pubblica amministrazione e talvolta del tutto arbitrari”. Il punto che vuole cogliere il prof. Cazzola è chiaro, una Procura non dovrebbe decidere di questioni che riguardano il diritto del lavoro. “Una procura penale non solo si intromette in una vicenda di lavoro (regolata dal diritto privato) e arriva persino ad una conclusione che anticipa la sentenza di un giudice”, scrive il professore dell’università eCampus. Cazzola afferma che le procure italiane siano affette da “pangiustizialismo”, che non rispondono “a nessuno” e pretendono “di avere l’ultima parola anche al posto dei giudici di merito”. Un altro punto sui pone l’attenzione il prof. Cazzola riguarda natura del mestiere del rider con “caratteristiche proprie e diverse, ma che custodisce al proprio interno interessi differenti difficilmente riconducibili ad una fattispecie omogenea”.
I rischi dal chiedere “Troppi diritti”
Il professore, premettendo che i lavorati della gig economy hanno diritto a fruire di tutele adeguate, cita il libro di Alessandro Barbano “Troppi diritti” (Mondadori 2018). “Barbano sosteneva che vi sia in Italia una vera e propria ideologia del dirittismo, con radici intellettuali e politiche orientate a sinistra ma capace di infiltrarsi anche nelle altre culture politiche. La subcultura del dirittismo è alla base del “rifiuto” di certi lavori considerati esempi moderni di sfruttamento – scrive Cazzola -. Per non parlare dell’invidia sociale – anch’essa imbevuta di dirittismo – che è divenuta la protagonista del vivere civile e dei rapporti tra le persone e che induce a considerare un “privilegiato” a spese degli altri chi è riuscito a guadagnarsi un “posto al sole”.
L’analisi di Galbusera, già ai vertici della Uil
“E’ francamente insostenibile, oltre che incomprensibile, negare ad un rider il diritto a svolgere un’attività autonoma – ha commentato Walter Galbusera, già segretario confederale della Uil – Perché non trattare i ciclo fattorini (alcuni dei quali si sono peraltro già motorizzati), come i tassisti ricorrendo alla determinazione delle tariffe in funzione del tempo e delle distanze percorse? E non sarebbe altrettanto ragionevole promuovere tra i riders cooperative di soci dipendenti che sarebbero in grado di tutelare meglio i propri associati?” L’alto profilo dei magistrati impegnati su questa materia – ha aggiunto Galbusera, ora presidente della Fondazione Kuliscioff – “attribuisce di per sé un valore politico a questa vicenda che non riguarda solo la libertà di contrattazione delle parti sociali, ma apre un fronte imprevisto con il Parlamento ed il Governo che pure ha tra i suoi obiettivi, nell’ambito della EU Next Generation, anche il tema assai impegnativo ma difficilmente rinviabile della riforma della giustizia, a partire da quella civile, cui appartiene il diritto del lavoro”. Ha concluso Galbusera – Perché non cogliere l’occasione di cedere un pezzo di sovranità all’Ue per costruire una legislazione comune europea in materia di giustizia del lavoro che dia una ragionevole certezza ai lavoratori e alle imprese?