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Tutti gli schizzi su Shell

Terzo trimestre 2021 di Shell: cresce l'utile netto, ma non quanto si aspettavano gli analisti. Intanto, un fondo speculativo spinge per lo scorporo della società. Tutti i dettagli

 

La società petrolifera Royal Dutch Shell ha fatto sapere oggi di aver riportato un utile netto di 4,1 miliardi di dollari nel terzo trimestre del 2021 (luglio-settembre). La somma, raggiunta grazie all’aumento dei prezzi del greggio e del gas, è decisamente superiore ai 955 milioni dell’anno scorso, ma anche ben al di sotto delle aspettative degli analisti, che si aspettavano un utile netto di 5,42 miliardi.

I NUMERI DI SHELL

La perdita netta riportata nel terzo trimestre del 2021 è stata di 447 milioni di dollari. Il flusso di cassa derivato dalle operazioni è invece salito a 16 miliardi, contro i 10,4 dello stesso periodo dell’anno scorso.

LE DICHIARAZIONI

L’amministratore delegato Ben van Beurden ha detto che lo scorso trimestre la società ha “generato un flusso di cassa record, mantenuto la disciplina del capitale e annunciato l’intenzione […] di distribuire 7 miliardi di dollari ai nostri azionisti”.

Stamattina, alla borsa di Londra, le azioni B di Shell sono calate dell’1,6 per cento, a 1,740 penny.

LE PRESSIONI INTERNE

Nonostante i risultati comunicati non siano negativi, Shell si trova in un momento di instabilità interna. Il fondo di investimento speculativo Third Point, legato al miliardario americano Daniel Loeb, ha acquisito una quota rilevantissima della società e sta spingendo per un cambiamento del suo modello di business: più nello specifico, il fondo vuole che Shell si spezzetti in varie aziende diverse.

Il valore di mercato di Shell è di circa 190 miliardi di dollari; la quota di Third Point vale intorno ai 750 milioni.

Come tante altre compagnie petrolifere, Shell si è ritrovata a dover rispondere alle crescenti pressioni di governi e investitori per la decarbonizzazione delle sue operazioni: sta così cercando di distaccarsi gradualmente dai combustibili fossili (il settore nel quale ha tradizionalmente operato) per concentrarsi maggiormente sulle fonti rinnovabili, per aumentare il suo peso nel mercato globale dell’energia elettrica “pulita”.

SPEZZETTARE SHELL

Third Point pensa che queste pressioni abbiano fatto reso “incoerenti” le strategie di Shell per le sue varie divisioni focalizzate sul petrolio, i prodotti chimici, il trading e le rinnovabili. Third Point non specifica in quante aziende Shell dovrebbe dividersi, ma propone di scorporare il ramo dell’energia da quelli delle rinnovabili, del trading e del gas liquefatto.

In una lettera, Daniel Loeb scrive che dentro Shell ci sono tanti azionisti che “la spingono in troppe direzioni diverse”. Per questo, prosegue, la società trarrebbe beneficio da una struttura diversa, che le permetterebbe di tagliare i costi operativi e di investire con maggiore decisione nella decarbonizzazione.

Loeb si è anche lamentato degli scarsi ritorni agli azionisti, che da molti anni sono inferiori al 3 per cento.

Third Point ha già spinto altre aziende verso lo scorporo: ad esempio la compagnia assicurativa britannica Prudential, oppure il produttore statunitense di semiconduttori Intel (vuole che separi l’unità che si occupa di progettare i microchip da quella che li produce concretamente).

LE MOSSE DI SHELL

A settembre Shell ha venduto le proprie attività nel bacino Permiano degli Stati Uniti (l’area ospita grandi campi petroliferi) all’azienda americana ConocoPhillips per 9,5 miliardi di dollari, promettendo ritorni da 7 miliardi agli azionisti.

Shell ha anche utilizzato i fondi a sua disposizione per ripagare i debiti: alla fine del terzo trimestre del 2021 il debito netto della società è sceso a 57,5 miliardi, contro i 65,7 del trimestre precedente. Come molte altre aziende del settore petrolifero, anche Shell sta rinunciando a investire in nuova capacità (nonostante la crescita dei profitti) per concentrarsi piuttosto sulla disciplina fiscale.

GLI OBIETTIVI SULLE EMISSIONI

Shell ha detto di voler dimezzare le proprie emissioni di carbonio entro il 2030, rispetto ai livelli del 2016, su base netta. L’obiettivo riguarda le emissioni Scope 1 e Scope 2, ovvero quelle sotto il suo controllo diretto (le emissioni generate dalle operazioni o dal consumo energetico degli stabilimenti, ad esempio), mentre esclude le Scope 3 (quelle legate all’utilizzo dei suoi prodotti da parte dei clienti).

Le Scope 1 e 2 costituiscono tuttavia solo una piccola parte dell’impronta di carbonio della società: il loro dimezzamento, scrive Bloomberg, si tradurrà una diminuzione delle emissioni complessive dell’azienda del 2,5 per cento appena.

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