La Russia è attualmente la principale fornitrice di gas naturale dell’Unione europea, con una quota del 40 per cento sul totale importato a livello comunitario e un flusso dal volume annuo di 155 miliardi di metri cubi. L’invasione dell’Ucraina ha indotto però i paesi membri dell’Unione a lavorare per distaccarsi quanto prima possibile dagli idrocarburi russi (l’Italia, ad esempio, sta puntando molto sull’Africa). Bruxelles potrebbe inoltre decidere di estendere il blocco agli acquisti energetici da Mosca (finora limitato al carbone) anche al petrolio e al gas: la mossa avrebbe un impatto fortissimo sulle finanze del Cremlino, le cui rendite dipendono dalle vendite di combustibili fossili all’estero, e un contraccolpo altrettanto importante sull’economia europea, vista la situazione di dipendenza.
L’ANALISI DI NICOLAZZI
Su Limes Massimo Nicolazzi, professore di Economia delle risorse energetiche all’Università di Torino, ha scritto che “il problema è che loro [i russi, ndr] non possono fare a meno di noi; ma anche noi (qui intesi come Europa) sembra che non possiamo fare a meno di loro. Il 40% del gas, il 27% del petrolio e il 46% del carbone che importiamo viene dalla Russia; e soprattutto non è immediatamente sostituibile”.
“Embargare il fossile russo sarebbe ‘la’ sanzione; e però è anche un’autosanzione. All’embargo contro il petrolio russo hanno sin qui entusiasticamente aderito solo paesi che non importano petrolio russo”, come gli Stati Uniti.
“Già oggi soffriamo pesantemente per i prezzi dell’energia e per il ripartire della spinta inflattiva”, spiega Nicolazzi, “e inconsciamente col passare del tempo li associamo entrambi all’invasione dell’Ucraina e alla guerra in corso. In realtà nel post-Covid i due fenomeni si sono manifestati per problemi strutturali dei mercati e delle economie di riferimento, e la guerra a guardare i numeri vi ha sin qui poco o nulla influito. Il prezzo del gas a dicembre è arrivato a sestuplicare da inizio anno; e l’inflazione americana è arrivata al 7% tra ottobre e novembre; molto prima dunque del 24 febbraio”.
LA RUSSIA SOSTITUIRÀ L’EUROPA CON LA CINA?
La Russia sembra destinata a perdere quote nel mercato energetico europeo, se non a perdere del tutto l’accesso. Nell’immediato, così come l’Europa non potrà sostituire gli idrocarburi con quelli di altri fornitori, così Mosca non potrà sostituire il mercato europeo con altri altrettanto voluminosi. La Russia, comunque, sta lavorando per dotarsi di maggiori capacità di esportazione di gas naturale in Cina, che vi sta puntando parecchio per sostituire la capacità a carbone e rispettare l’impegno per l’azzeramento netto delle emissioni di gas serra entro il 2060.
Nel 2021 la Russia ha esportato in Cina 16,5 miliardi di metri cubi di gas via tubi e in forma liquefatta. Non si tratta di volumi estremamente impressionanti. Al di là dell’aspetto dimensionale, comunque, il mercato cinese non si rivelerà per la Russia redditizio quanto quello europeo perché, dopo lunghe trattative sui prezzi, Mosca ha accettato di vendere il combustibile a Pechino con un forte sconto.
Per l’Europa, inoltre, la Russia è una sorgente indispensabile di gas, una condizione che ha garantito al Cremlino una certe leva politica sul Vecchio continente. Mentre non lo è per la Cina, poiché possiede tanti fornitori alternativi: il Turkmenistan (soprattutto) e il Kazakistan via tubature; il Qatar e (volendo) l’Australia e gli Stati Uniti via metaniere. Pechino presta molta attenzione alla sicurezza energetica e difficilmente si metterà nelle condizioni di passare dalla dipendenza attuale dalle rotte marittime (controllate dagli Stati Uniti) a una dipendenza futura dai giacimenti russi.
MANCANO GLI IMPIANTI (PER ORA)
Lo scorso febbraio, un paio di settimane prima dell’invasione dell’Ucraina, Russia e Cina hanno annunciato un accordo sul gas naturale per 48 miliardi di metri cubi all’anno in tutto.
Di questi, 10 miliardi verranno spediti dalla Russia alla Cina attraverso una “rotta nell’estremo oriente”. Vale a dire che passeranno per l’isola di Sachalin all’interno del gasdotto Sachalin-Chabarovsk-Vladivostok. La tubatura possiede attualmente una capacità di 8 miliardi di metri cubi all’anno, ma Gazprom intende portarla a 30.
I restanti 38 miliardi di metri cubi annui, invece, riguardano la condotta Forza della Siberia, entrata in funzione alla fine del 2019, che tuttavia al momento non dispone di questa capacità: dovrebbe raggiungerla nel 2025; ora arriva a 14 miliardi.
La Russia potrebbe dotarsi di ulteriori 50 miliardi di metri cubi annui di capacità di esportazione verso la Cina con l’avvio (eventuale: l’infrastruttura non c’è ancora) di Forza della Siberia 2, un gasdotto che attingerà alle stesse riserve nella penisola Yamal che riforniscono il Vecchio continente.