Sabato il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha fatto sapere che “quindici attori internazionali e nazionali” hanno presentato delle manifestazioni di interesse per Acciaierie d’Italia, la società siderurgica in amministrazione straordinaria che gestisce lo stabilimento ex-Ilva di Taranto. Alcune di queste aziende si sono mostrate intenzionate ad acquisire “l’intero asset produttivo”; altre solo delle parti.
Il 20 giugno era l’ultimo giorno utile per la presentazione delle manifestazioni. Il bando era stato aperto a fine luglio dai commissari di Acciaierie d’Italia – Giancarlo Quaranta, Giovanni Fiori e Davide Tabarelli -, i quali “sono riusciti a garantire la manutenzione degli impianti, ripristinare la piena funzionalità dell’altoforno 4” e a “programmare la riapertura di un altro altoforno”, prevista per metà ottobre, ha detto Urso. La produzione attesa è di 4 milioni di tonnellate di acciaio all’anno.
LE AZIENDE INTERESSATE, FORSE, ALL’EX-ILVA
Tra le aziende che hanno manifestato interesse per Acciaierie d’Italia non comparirebbero però la giapponese Nippon Steel (già impegnata negli Stati Uniti con la complessa operazione di acquisizione di Us Steel) né l’italiana Arvedi. Il gruppo italiano Marcegaglia, invece, sarebbe interessato solo ad asset specifici, ha scritto Il Sole 24 Ore.
Non è chiara neanche la posizione delle società che in passato hanno visitato gli impianti di Acciaierie d’Italia, come l’ucraina Metinvest, la canadese Stelco e le indiane Vulcan Steel e Steel Mont.
È UN BUON MOMENTO PER VENDERE ACCIAIERIE D’ITALIA?
Le aziende interessate all’ex-Ilva “nei prossimi mesi definiranno piano industriali tra loro concorrenziali e noi sceglieremo quello che sarà migliore per garantire il rilancio della siderurgia nazionale”, ha dichiarato Urso, sostenendo che lo stabilimento potrà diventare “il più grande sito siderurgico green d’Europa”.
Il piano industriale di Acciaierie d’Italia punta a una produzione di sei milioni di tonnellate di acciaio entro il 2026 e – dalla seconda metà del 2027 – alla sostituzione di due altiforni con altrettanti forni elettrici ad arco, meno inquinanti.
– Per approfondire: Acciaio green, l’ex Ilva ha bisogno del nucleare?
Il momento, comunque, non è dei più propizi per la vendita di Acciaierie d’Italia: la domanda di acciaio in Europa è fiacca e i prezzi sono bassi a causa principalmente del surplus produttivo in Cina, che viene riversato all’estero e danneggia la profittabilità degli stabilimenti nel Vecchio continente.
Ieri il Financial Times ha scritto che le aziende siderurgiche europee hanno chiesto alla Commissione di fare qualcosa per contrastare l’aumento delle esportazioni cinesi di acciaio, che saturano il mercato globale e fanno scendere i prezzi di vendita in Europa al di sotto dei costi di produzione. Secondo il gruppo tedesco Salzgitter, questa ondata di “esportazioni di acciaio cinese sovvenzionato e sottocosto” rappresenta una minaccia alla sostenibilità dell’industria siderurgica europea e agli investimenti nelle tecnologie a basse emissioni.
Si prevede che nel 2024 la Cina esporterà più di cento milioni di tonnellate di acciaio, il massimo dal 2016. Solo una piccola parte di questi volumi raggiunge direttamente l’Europa per via delle contromisure commerciali introdotte nel 2018, ma il settore accusa comunque l’impatto per via dell’aumento delle importazioni da altri paesi: nei primi quattro mesi dell’anno, infatti, le importazioni di acciaio piatto nell’Unione europea sono cresciute del 30 per cento. Le acciaierie del continente, intanto, faticano a operare per via dei costi alti dell’energia e della domanda scarsa.
Per proteggere il settore siderurgico nazionale dalle triangolazioni cinesi, a luglio gli Stati Uniti hanno imposto dei dazi del 25 per cento sull’acciaio proveniente dal Messico che non sia stato fuso e colato in Nordamerica. L’industria europea chiede alla Commissione di fare qualcosa di simile, anche considerato che le misure di salvaguardia commerciale in vigore scadranno tra due anni.