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L’offerta di Baku Steel è vantaggiosa per l’ex Ilva e l’Italia?

Baku Steel è la favorita per l'acquisto dell'ex Ilva e i commissari di Acciaierie d'Italia volano in Azerbaigian per visitarne gli impianti. Ma la società azera ha le capacità industriali per rilanciare il sito di Taranto? E cosa c'entra il rigassificatore? Fatti, commenti e dubbi.

“Nelle prossime ore, verosimilmente già nella prossima settimana, sapremo a chi sarà assegnato quello che potrà diventare il più grande impianto siderurgico green d’Europa”, ha dichiarato venerdì scorso il ministro delle Imprese Adolfo Urso riferendosi ad Acciaierie d’Italia, la società in amministrazione straordinaria che gestisce l’ex Ilva di Taranto. “In queste ore siamo alle prese con quello che è l’aspetto più significativo di quella che è stata la crisi industriale del nostro paese”.

BAKU STEEL È LA FAVORITA PER L’EX ILVA

Come riportato da Domani, qualche giorno fa i commissari Giancarlo Quaranta, Giovanni Fiori e Davide Tabarelli si sono recati in Azerbaigian per visitare gli impianti della compagnia siderurgica Baku Steel, considerata la favorita nel processo di acquisizione di Acciaierie d’Italia.

LE TRE OFFERTE PRINCIPALI

Delle dieci offerte di acquisto presentate, quelle relative all’acquisizione di tutti gli asset della società sono solo tre: una è quella della compagnia siderurgica indiana Jindal Steel, la seconda è quella del fondo d’investimento statunitense Bedrock Industries e l’ultima, appunto, è quella di Baku Steel.

Tra queste, l’offerta di Baku Steel è la più alta: circa 1 miliardo di euro, tra impianto e magazzino; Jindal Steel ha offerto 80 milioni più il valore di magazzino, mentre Bedrock si è limitata al magazzino, con la parte cash pari a zero.

QUAL È IL PROBLEMA CON BAKU STEEL?

Nonostante la somma, l’offerta di Baku Steel è problematica per almeno tre motivi.

Il primo è che nel 2024 l’Azerbaigian ha prodotto 350.000 tonnellate di acciaio, stando ai dati di World Steel Association. Nello stesso anno l’ex Ilva ha prodotto circa due milioni di tonnellate, un volume bassissimo per lo stabilimento ma comunque parecchio superiore all’intero output azero. Ci si chiede, dunque, se Baku Steel abbia le capacità industriali ed economiche per rilanciare l’ex Ilva – il precedente proprietario era il colosso indiano-lussemburghese ArcelorMittal, peraltro – e per realizzarne il piano industriale, che punta a una produzione di sei milioni di tonnellate di acciaio entro il 2026 e alla sostituzione di due altiforni con altrettanti forni elettrici ad arco, meno inquinanti.

Il secondo aspetto “critico” della proposta di Baku Steel sta nel fatto che è legata alla realizzazione di un rigassificatore galleggiante nel porto di Taranto. L’infrastruttura dovrebbe servire a rifornire di combustibile l’acciaieria, per “aggirare” il problema degli alti prezzi dell’energia nel nostro paese. Su questo, Domani ha scritto però che “il rigassificatore potrebbe essere il vero obiettivo degli azeri, che così facendo potrebbero controllare altri 5 miliardi di metri cubi di gas importato in Italia”.

L’Azerbaigian è già uno dei nostri principali fornitori di gas naturale (che attraversa il Trans-Adriatic Pipeline, o Tap) e anche di petrolio greggio. Senza contare che, a seguito del distacco dalla Russia, i rigassificatori per il gas liquefatto sono diventati cruciali per la sicurezza dell’approvvigionamento energetico nazionale.

La proposta di Baku Steel è problematica, infine, per motivi geopolitici: l’Azerbaigian è in buoni rapporti politici ed economici con la Russia; Taranto è un’importante postazione militare per la Marina italiana. Se l’ex Ilva verrà davvero venduta a Baku Steel, “è importante sapere che non verrà venduta a una società privata qualsiasi ma de facto al governo azero”, ha scritto su X Gianclaudio Torlizzi, consigliere del ministro della Difesa: “Che piani ha in mente Baku su Italia? Intende venderci gas? Acquisire altri asset?”.

A proposito del rigassificatore, l’analista ha fatto notare che “in un altoforno il prezzo del gas è assai meno importante del minerale, carbone e rottame”.

JINDAL STEEL È LA SCELTA GIUSTA PER L’EX ILVA?

Una proposta di acquisto forse più solida per l’Ilva potrebbe essere quella di Jindal Steel. Nonostante la somma inferiore, la società indiana ha un più ampio progetto di investimento da 2 miliardi di euro che fa leva sul forno elettrico ad arco, una tecnologia a più basse emissioni rispetto all’altoforno ma che non permette di ottenere acciai della stessa qualità. O meglio: in teoria, un’acciaieria “elettrica” potrebbe produrre le stesse tipologie di acciaio dell’altoforno attraverso il processo di riduzione diretta, che però necessita di idrogeno pulito a basso prezzo.

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