Alla sua prima prova in Parlamento riconosco al neo ministro Cingolani un voto di sufficienza. Nell’esposizione del suo programma ha toccato tutti (o quasi) i temi che affronterà nei prossimi mesi cercando di far trasparire (ma non troppo) quale sarà il suo approccio. Non generico, ma neanche troppo preciso tale da generare facili opposizioni alle soluzioni ipotizzate, ha dato l’impressione di avere un minimo di visione di lungo termine, ma senza dare evidenza dei condizionamenti che nel lungo percorso della transizione peseranno nel bilanciamento tra costi e benefici di ogni decisione. In fondo se l’è cavata e, credo, non potesse fare di più, almeno per ora.
Ciò detto, le sfide (a cominciare dalla gestione della ben misera eredità lasciatagli dal suo predecessore che ha fatto della guerra alla plastica la sua cifra caratterizzante) si annunciano assai complesse e richiederanno scelte più chiare e divisive di quelle lasciate trasparire dalle sue parole.
Senza presunzione di esaurire l’elenco, mi limito a quelle che ritengo essere le più rilevanti.
I COSTI DELLA TRANSIZIONE
Ammesso (ma si dovrà pur cominciare a discuterne pacatamente senza stracciarsi le vesti) che continuare ad alzare il target di decarbonizzazione a date molto avanti nel tempo, senza contemporaneamente porsi il problema del come raggiungerlo, abbia un qualche senso politico, ritengo sia giunto il momento che si cominci a discutere pure dei costi impliciti ed espliciti che la svolta “green” comporterà e su chi graveranno, così da iniziare a mettere mano a strumenti efficaci di ammortizzazione. Pensiamo alla mobilità elettrica: ora che abbiamo perso anche l’unico campione nazionale dell’automotive, come il Governo pensa di riuscire a garantire gli attuali livelli occupazionali? Il nostro paese, ancora ben posizionato nella componentistica legata al motore termico, come dovrà reagire ai cambiamenti che si preannunciano nel mercato europeo, e non solo, perché non vadano in fumo competenze e posti di lavoro? Lo stesso si potrebbe dire nel settore delle caldaie, dei sistemi di illuminazione e così via. La Germania ha già costituito un fondo per il sostegno economico ai lavoratori in esubero a causa della produzione di veicoli elettrici, altri paesi europei hanno in programma intensi programmi di reskilling anticipato rispetto alle nuove produzioni green. In Italia ancora nulla di ciò è in agenda, non se ne parla proprio. I Sussidi Ambientalmente Dannosi non potrebbero essere usati a questo scopo? Non è anche questo un aspetto rilevante della “transizione”?
LA GOVERNANCE
Il tema è stato citato, ma non negli aspetti problematici e nelle soluzioni che il governo intende approntare per risolverla in modo efficiente. Innanzitutto, il Ministro neppure cita le Regioni che condividono con il Governo la responsabilità del permitting e delle V.I.A. della gran parte degli impianti da realizzare, oltre che quella programmatoria. Come si pensa di ripartire tra le 20 regioni gli obiettivi stabiliti a livello nazionale, a cominciare dalla produzione di energia da fonte rinnovabile? E a quali meccanismi di riequilibrio si pensa per far fronte alle divergenze politiche che sicuramente si porranno avverso obiettivi molto sfidanti a livello statale? Ma pure a livello interministeriale la governance non è chiara: basti pensare al tema delle autorizzazioni paesaggistiche, prerogativa delle Sovrintendenze, annosa questione che sfugge a qualsiasi governo, pur volenteroso di semplificare procedure non sempre trasparenti: come si pensa di risolvere il problema? Altri Governi in passato hanno provato a introdurre l’istituto del silenzio-assenso per i pareri paesaggistici, ma senza successo. Cingolani nulla dice. Forse non lo reputa un problema. Beato lui.
VISIONE INTEGRATA DELLE POLICY
In Italia formulare delle politiche chiarendo il contesto in cui impatteranno, esplicitando le modalità di implementazione e valutando gli impatti anche economici che ne risulteranno in altri settori non è usuale, semplicemente perché quest’approccio non fa parte del modus operandi della nostra burocrazia, anche quella più illuminata. Il Pniec è stato un primo tentativo in questa direzione, non scevro di possibilità di miglioramento. Alcuni strumenti (analisi costi/benefici, valutazioni d’impatto ecc.) nel settore pubblico sono scarsamente usati, se non, talvolta, del tutto ignoti. Spesso, più semplice e usuale, ci si riduce a compilare elenchi di progetti, più o meno validi, da sfoderare in occasione di insorgenti opportunità di finanziamento. Ma, anche in questo caso, solitamente, le proposte non sono a un livello di progettazione tale da rendere le opere cantierabili e conseguentemente i progetti non idonei per l’impiego delle risorse economiche che nel tempo si rendono disponibili. Non esiste un rating sulla qualità progettuale, le opere sono frammentate per renderle più facilmente finanziabili…Un esempio per tutti: le opere necessarie per la riduzione del rischio idrogeologico: un disastro tutto italiano a cui non si è trovata ancora una soluzione sistemica efficace. Il ministro cita come esempio virtuoso la ricostruzione del ponte Morandi, ma è vero piuttosto l’esatto contrario: quell’opera si è potuta realizzare in tempi record in virtù delle numerose deroghe alla normativa vigente in materia di appalti. E’, piuttosto, l’emblema di una patologia, non di un’eccellenza!
Si può capire che la fretta non consente un lavoro di fino, ma per l’uso del Recovery Fund o il Pnrr il rischio di fare un lavoro sconclusionato è alto. Alcuni esempi?
Il primo riguarda la transizione digitale, costretta a fare i conti con la diffusione del 5G, la quale dipende dalla rimozione degli assurdi limiti di potenza imposti dalla normativa vigente alle stazioni di trasmissione radio. L’iniziativa della modifica normativa è posta in capo al ministero di Cingolani, ma stranamente questa non è stata neppure citata tra le cose da fare. Perché?
E poi, una proposta per la realizzazione di una smart grid riveste maggiore “interesse pubblico” di una rete di teleriscaldamento? Non sarebbe utile finalmente chiarire quali chiavi di lettura e quali strumenti di analisi saranno adottati per l’inclusione di tipologie di progetti nella redazione di un piano che s’intende adottare come strategico per la conversione del sistema Italia?
Infine, posso capire che parlare d’idrogeno sia diventato molto “sexy” e alla moda, ma solo immaginare una tale quantità di biomassa da fare dell’idrogeno tra dieci anni un fattore chiave del rinnovamento dell’intero sistema trasportistico non fa sorridere per la sua patente ingenuità?
Mi fermo qua, anche se altro ci sarebbe da dire per la rilevanza che la transizione ecologica avrà sul nostro avvenire.
Rifiuto la logica del fare in fretta purché sia, perché è da decenni che in nome della fretta non si cambia approccio nel governo della cosa pubblica e dei suoi processi e perché dal “governo dei migliori” è legittimo aspettarsi un cambio di passo. Speriamo che il tempo mi dia torto, e assegni al neo Ministro una lode: sarei il primo a esserne felice. Sarebbe anche il segno di un paese che cambia e il cambiamento è vita.
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