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Cingolani Gas

Tutte le contraddizioni di Cingolani su batterie, nucleare e idrogeno. L’analisi di Silvestrini

Che cosa non condiviso del programma del ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani. L'intervento di Gianni Silvestrini, direttore scientifico di Kyoto Club e di QualEnergia, nell’ambito del dibattito avviato da Start Magazine sulle linee guida del ministro Cingolani

 

L’audizione del ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani di martedì 16 marzo alle commissioni riunite Ambiente e Attività produttive di Camera e Senato ha fatto scalpore più che per la relazione, che conteneva diversi spunti interessanti, per le successive dichiarazioni.

Partiamo da una prima clamorosa contraddizione.

“Occorre puntare decisamente sulla mobilità elettrica sviluppando una tecnologia degli accumuli che permetta di costruire una filiera nazionale delle batterie e incrementando, a tal fine, la ricerca nazionale”, dice Cingolani nella presentazione.

Una dichiarazione ineccepibile, rimessa in discussione però dallo stesso ministro con un curioso e incomprensibile ribaltamento di posizioni.

“Tra 10 anni probabilmente avremo il green hydrogen, le automobili andranno a fuel cell e anche i camion andranno a fuel cell perché sarà una tecnologia consolidata; le batterie semmai le avremo superate già, perché hanno un problema di dismissione”.

Imbarazzante punto di vista, in controtendenza rispetto alle strategie e ai colossali investimenti delle principali case automobilistiche.

Herbert Diess, amministratore di Volkswagen, è stato drastico. Per non fare la fine di Nokia, Volkswagen taglierà le risorse dedicate all’idrogeno e concentrerà le risorse sulle auto a batteria. E, coerentemente, VW ha alzato l’obiettivo delle vendite di auto elettriche al 2030 in Europa dal 35% ad oltre il 70%.

Questa transizione è facilitata dal crollo dell’89% nell’ultimo decennio del prezzo delle batterie al litio. Ed è bene ricordare che i sistemi di accumulo saranno fondamentali nella diffusione delle rinnovabili e che milioni di auto elettriche rappresenteranno un formidabile sistema decentrato di accumulo a servizio della rete.

Il ministro cita, tra le ragioni dell’abbandono delle batterie, i problemi del loro smaltimento. Ma anche in questo campo la realtà è diversa. Molte esperienze sono già in atto e altre stanno per partire. Ad esempio, l’azienda Li-Cycle si appresta a costruire uno stabilimento da 175 milioni di dollari a Rochester, dove una volta c’era il complesso Kodak, puntando a recuperare il 95% di litio, cobalto e nichel.

E sono decine le iniziative in giro per il mondo, Europa inclusa.

Un’altra dichiarazione del ministro che ha fatto discutere riguarda la fusione nucleare, una fata morgana che continua ad allontanarsi nel tempo. Potremmo citare la battuta “ci vogliono altri 30 anni”, che si sente ripetere a partire dagli anni Settanta del secolo scorso. Sappiamo che sono in corso diversi filoni di ricerca, e qualcuno di questi potrebbe anche anticipare le tempistiche del progetto internazionale Iter che prevede la generazione di energia elettrica a metà secolo.

Il fatto è che l’Italia, come decine di altri paesi, ha preso l’impegno di divenire carbon neutral entro il 2050. Sembra dunque logico investire risorse in tecnologie che possono accelerare il processo di decarbonizzazione nel breve e medio termine, come le rinnovabili, la mobilità elettrica, i sistemi di accumulo, gli elettrolizzatori per produrre idrogeno dall’acqua.

E parlando di idrogeno, un vettore energetico che svolgerà un ruolo importante nel medio e lungo periodo (e su cui però riscontriamo un’eccessiva enfasi), veniamo ad un’altra criticità.

In più occasioni Cingolani ha parlato anche di idrogeno Blu, la soluzione proposta da Eni che parte dal reforming del metano per poi catturare e seppellire nell’Adriatico l’anidride carbonica prodotta. Un progetto che era stato inserito nella prima versione del Recovery Plan, scartato nella seconda versione ma che potrebbe riapparire in quella finale.

Lo stesso ministro ha riconosciuto che l’idrogeno Verde prodotto dalle rinnovabili dovrebbe risultare competitivo alla fine del decennio. E non è un caso che la maggior parte dei progetti europei puntino sugli elettrolizzatori. Un trend visibile anche nel resto del mondo, come ci ricorda il recente progetto dell’Arabia Saudita per produrre idrogeno con un mega-impianto alimentato da 4 GW eolici e solari da realizzare entro il 2025.

C’è una logica in questa scelta. Se l’idrogeno Verde sarà la soluzione vincente, anche l’Italia dovrebbe attrezzarsi sul fronte degli elettrolizzatori. Per di più, nel breve periodo il problema dell’idrogeno non sarà legato alla produzione ma alle criticità sul fronte del consumo.

Per finire, un tema importante, quello degli impegni climatici.

Il ministro ha dichiarato che la riduzione delle emissioni climalteranti al 2030 potrà arrivare sicuramente al 55% e puntare al 60%, un’affermazione impegnativa che va salutata con favore, ma che richiede un cambio di passo incredibile nelle azioni del governo.

E’ importante dunque il percorso da seguire.

Nel Piano Nazionale Energia Clima (Pniec) varato da poco più di un anno si prevedono riduzioni delle emissioni al 2030 del 37% rispetto ai livelli del 1990. E non dimentichiamo poi gli scenari al 2050 contenuti nella “Strategia Italiana di lungo termine sulla riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra” pubblicata con poco clamore nel gennaio 2021, che evidenziano la necessità di un raddoppio della produzione elettrica e chiariscono il ruolo centrale del fotovoltaico, con una potenza compresa tra 200 e 250 GW, cioè dieci volte gli attuali valori.

Ecco, ci aspettiamo che Cingolani, nel rivedere rapidamente il Pniec alla luce dei nuovi obiettivi europei (passati dal -40% a -55% di riduzione delle emissioni climalteranti al 2030), lo raccordi con chiarezza e coerenza con le evoluzioni previste nello scenario a metà secolo.

In altra sede il ministro ha parlato di una produzione da rinnovabili pari al 72% dei consumi elettrici alla fine del decennio, un obiettivo estremamente ambizioso ma per l’appunto coerente con le trasformazioni che ci aspettano. Ma ricordiamo che la quota di elettricità verde, dal 2014 in poi, ha oscillato su valori compresi tra il 33 e il 36%. Cioè negli ultimi anni abbiamo viaggiato con il freno a mano tirato.

Serve dunque un cambio di passo deciso rispetto al passato, altrimenti questi obiettivi, necessari per affrontare l’emergenza climatica, rimarranno scritti sull’acqua.

Il Piano di ripresa e resilienza potrà sicuramente giovare a questa accelerazione, anche dal punto di vista di una reindustrializzazione Green del paese.

Ma intanto, contiamo che le misure annunciate dal ministro, ad iniziare dalle semplificazioni autorizzative, aiutino a far ripartire subito la corsa.

 

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