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Nucleare e metalli: tutti i piani dell’Arabia Saudita con gli Usa

L'Arabia Saudita sta cercando la collaborazione degli Stati Uniti per lo sviluppo di piccoli reattori modulari, una nuova tecnologia per l'energia nucleare. Tra Riad e Washington potrebbe nascere anche un accordo sui metalli in Africa. Tutti i dettagli.

L’Arabia Saudita ha detto di essere interessata ai piccoli reattori modulari, una nuova tipologia di impianti per l’energia nucleare più piccoli e meno potenti di quelli tradizionali, ma teoricamente più economici, più veloci da costruire e anche più sicuri: non si sono ancora affermati sul piano commerciale, però.

I SAUDITI ARRIVANO IN RITARDO

L’Arabia Saudita, il più grande paese produttore di petrolio del Medioriente e il primo esportatore al mondo, vuole ridurre il peso del greggio sia nella sua economia che nel suo mix energetico: per questo sta puntando su nuove e più pulite fonti – come il nucleare, appunto – per generare elettricità per il consumo interno e l’esportazione.

Il ministro dell’Energia Abdulaziz bin Salman ha riconosciuto recentemente che il regno è “un ritardatario” nell’energia nucleare. Al momento l’Arabia Saudita non possiede centrali attive – sta costruendo però un reattore -, ma ha intenzione di studiare tutte le tecnologie per l’energia atomica, inclusi i piccoli reattori modulari. Per raggiungere l’obiettivo vorrebbe ottenere la collaborazione degli Stati Uniti, dove hanno sede diverse aziende di impianti modulari come NuScale, TerraPower e X-energy.

A fine settembre, per favorire lo sviluppo del settore e un’eventuale cooperazione con gli americani, le autorità saudite hanno rescisso dei vecchi protocolli sui processi nucleari (chiamati Small Quantities Protocol) e cominciato a implementare le linee guida sul monitoraggio con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica: sono state pensate per evitare la degenerazione del nucleare civile verso scopi militari e dunque prevenire la proliferazione degli armamenti.

La notizia dell’adesione saudita agli standard internazionali è stata accolta con favore dalla segretaria all’Energia degli Stati Uniti, Jennifer Granholm, che ha dichiarato che Washington è impegnata a “sostenere i più alti standard di non-proliferazione del mondo”.

GLI OBIETTIVI DELL’ARABIA SAUDITA SULL’ENERGIA PULITA

Nonostante gli investimenti nelle fonti pulite e l’obiettivo di raggiungimento delle zero emissioni nette al 2060, l’Arabia Saudita non ha comunque intenzione di rinunciare agli idrocarburi. Come ha specificato il ministro Abdulaziz, Riad continuerà “a occuparsi di petrolio e di gas”, che continueranno a far parte del sistema energetico nazionale anche se la quota degli idrocarburi sul totale potrebbe diminuire.

Oltre al nucleare, i sauditi vogliono aumentare di molto le installazioni di capacità eolica e solare, stanno valutando lo sfruttamento dell’energia geotermica (un’altra fonte rinnovabile) e stanno sviluppando progetti di cattura del carbonio (in modo da compensare le emissioni del settore oil & gas).

I METALLI VERDI IN AFRICA

Al di là del nucleare e delle altre clean tech, l’Arabia Saudita ha l’ambizione di diventare un fornitore di metalli rilevante a livello globale e alternativo alla Cina. Stando alle autorità saudite, il sottosuolo del paese contiene ricchissimi giacimenti non sfruttati di uranio e rame; il regno, inoltre, vuole dotarsi di raffinerie di litio per le batterie.

Secondo il Wall Street Journal, Riad e Washington stanno discutendo su un accordo per l’approvvigionamento di metalli critici per la transizione energetica in Africa. Il Congo, in particolare, vale il 70 per cento della produzione mondiale di cobalto, un metallo necessario alle batterie delle auto elettriche. La Cina, oltre a possedere la maggior parte delle miniere congolesi, vale da sola più del 70 per cento della raffinazione globale di cobalto.

A luglio l’Arabia Saudita, attraverso una nuova joint venture mineraria, è diventata azionista di minoranza dell’unità di Vale (grande compagnia estrattiva brasiliana) dedicata ai progetti sul nichel e sul rame. Nello specifico, il 10 per cento dell’unità di Vale sarà di proprietà di Manara Minerals, una joint venture formata dal Public Investment Fund e dalla compagnia mineraria statale Ma’aden; il 3 per cento, invece, andrà invece alla società di investimento statunitense Engine No. 1.

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