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Tim, Vivendi, Elliott. Perché Di Maio e Salvini hanno dato l’ok a Gentiloni su Cdp

La nuova maggioranza parlamentare ancora non si palesa, ma su Tim sta nascendo una sorta di Grande Coalizione. Il governo a guida Pd ha avuto, infatti, il via libera da Movimento 5 Stelle e centrodestra per far entrare a gamba tesa la Cassa depositi e prestiti contro i francesi di Vivendi e a favore di…

La nuova maggioranza parlamentare ancora non si palesa, ma su Tim sta nascendo una sorta di Grande Coalizione. Il governo a guida Pd ha avuto, infatti, il via libera da Movimento 5 Stelle e centrodestra per far entrare a gamba tesa la Cassa depositi e prestiti contro i francesi di Vivendi e a favore di fatto – secondo molti osservatori – del fondo Elliott (qui l’approfondimento di Start Magazine con fatti, indiscrezioni e approfondimenti), anche se secondo fonti finanziarie dell’Agi l’intervento di Cdp non è in sostegno di Elliott. E all’Ansa fonti finanziarie dicono che la posizione di Vivendi rispetto al possibile ingresso di Cdp nel capitale di Tim è questa: “Ogni azionista è benvenuto se porta valore aggiunto e l’ingresso della Cdp non viene considerato un’operazione ostile anche perché se lo fosse sarebbe un messaggio negativo per tutti gli investitori stranieri che investono sull’Italia”.

I RAPPORTI FRA GOVERNO E TIM

D’altronde le tensioni fra esecutivi a guida Pd, compreso quello presieduto da Matteo Renzi, non sono mancate negli ultimi tempi. Fin da quando il colosso francese di Vincent Bolloré nominò come ad dell’ex Telecom Italia, Flavio Cattaneo, senza chiedere troppi assensi preventivi, anzi, all’ex segretario Pd quando era a Palazzo Chigi. I rapporti fra governo Gentiloni e Tim sono migliorati solo di recente, quando in particolare il nuovo amministratore delegato, Amos Genish, ha illustrato prima delle elezioni del 4 marzo il progetto di separazione societaria della rete Tim in una società sempre controllata dall’ex Telecom Italia al 100%. Primo passo di un iter non ben definito ma ritenuto positivo dall’esecutivo per bocca del ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda. Una posizione, quella di Genish, contrario a cedere il controllo della rete, ribadita anche ieri in un‘intervista al quotidiano Les Echo.

LA DANZA DI CALENDA SULLA RETE

Lo stesso Calenda, dopo qualche giorno e dopo l’esito del voto, ha lodato i progetti del fondo Elliott che punta a trasformare Tim in una sorta di public company e, soprattutto agli occhi dei critici di Vivendi, è pronta a conferire la rete in una società in cui ci sia anche Open Fiber e pure Cdp; una sorta di modello Terna, dunque da quotare in Borsa, anche per la rete di tlc.

IL VIA LIBERA DEI 5 STELLE

Uno scenario gradito, di fatto, anche ai partiti vittoriosi il 4 marzo. Emblematico il post di ieri su Facebook di Stefano Buffagni, deputato pentastellato, sottolineato oggi dal Corriere della Sera: “Il nostro Stato deve tornare a farsi rispettare dai cugini d’oltralpe…; per questo è fondamentale riprendere, da mano straniera, la nostra infrastruttura tecnologica e di telecomunicazioni perché l’interesse pubblico è sovrano in un’Italia a 5 stelle”.

In effetti la prospettiva che si evince dai piani del fondo Elliott combacia per molti aspetti anche con i programmi del Movimento 5 Stelle, se si legge il manifesto elettorale del partito ora guidato da Luigi Di Maio: “Il Movimento 5 Stelle s’impegna affinché l’infrastruttura di rete e la relativa gestione siano a maggioranza pubblica​“, è scritto nel capitolo sulle Telecomunicazioni del programma M5S: “Vogliamo creare le condizioni – hanno scritto i Pentastellati prima delle elezioni politiche – per unire le porzioni di rete attualmente detenute dai principali soggetti operanti nella realizzazione, gestione e manutenzione della rete in fibra ottica in un’unica infrastruttura”. Come? “Attraverso l’unione tra la Open Fiber pubblica e la principale infrastruttura di rete del nostro Paese”.

Il Movimento 5 Stelle punta sul “superamento della rete in rame (100 Mbps simmetrici) e verso la costituzione di un soggetto che fa la rete ma non offre i servizi (non verticalmente integrato)”. In settimana, poi, è stata la deputata M5S, Mirella Liuzzi, a invocare un ruolo maggiore sia di Cdp che di Open Fiber anche nel campo dell’innovazione digitale, con un’impostazione molto simile a quella di Davide Casaleggio, come sottolineato da Start Magazine.

I SI’ DI SALVINI E BERLUSCONI

L’iniziativa del governo Gentiloni, deluso tra l’altro per l’atteggiamento quanto meno atarassico, ma di fatto pro Vivendi, da parte dei fondi di Assicurazioni Generali e Unicredit (qui l’articolo di Start Magazine con fatti e indiscrezioni), non poteva non trovare l’assenso anche del centrodestra. E’ notorio quanto siano poco cordiali negli ultimi tempi i rapporti fra Silvio Berlusconi e Bolloré (come testimonia indirettamente anche l’accordo commerciale stretto la scorsa settimana da Mediaset con Sky). Quindi il via libera di Forza Italia alla mossa governativa di Cdp in Tim non desta sorpresa.

Così come era scontato il via libera di Matteo Salvini. Il maggior partito del centrodestra, a Lega, da tempo si batte per la funzione pubblica da rete di Tim, oltre ai cavi sottomarini della controllata Telecom Sparkle, e dunque lo scenario di una società unitaria della rete con un ruolo per la Cdp (modello Terna) è gradito in casa della Lega, come già sottolineato da Start Magazine in questo articolo dei giorni scorsi.

CHI CRITICA

Chi, al momento, critica la mossa di Gentiloni è stato Daniele Capezzone, nella scorsa legislatura presidente della commissione Finanze della Camera: “Pessima iniziativa di Cdp su Tim: con soldi del risparmio postale degli italiani, scorribande da stato imprenditore, sgambetto a una cordata e ammiccamenti a un’altra, manovre su testa piccoli azionisti, niente mercato”.

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