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Recovery Plan

Pnrr, ecco quanto Bruxelles paga di interessi per finanziare i Recovery plan nazionali

La Commissione europea ha raccolto 4 miliardi emettendo un’obbligazione a 30 anni al tasso del 3,42%.Bruxelles è stata costretta a pagare ben 87 punti base in più rispetto all’analogo titolo tedesco e 2 punti in più rispetto a quello francese. L'analisi di Liturri.

Abbiamo detto più volte che la Commissione Ue per finanziare i singoli Recovery Plan nazionali non trova il denaro sotto l’albero nel campo dei miracoli, come credeva Pinocchio. Deve andare sui mercati e sollecitare gli investitori internazionali con rendimenti interessanti.

Martedì è accaduto un evento significativo. La Commissione infatti ha raccolto 4 miliardi con un discreto successo (domanda pari a 18 volte l’offerta) emettendo un’obbligazione a 30 anni al tasso del 3,42%. Tale rendimento deve essere confrontato con quello dei titoli di pari scadenza emessi da Germania e Francia ed il confronto è impietoso, per un titolo con il rating tripla A come quello emesso dalla Commissione.

La Commissione è stata costretta a pagare ben 87 punti base in più rispetto all’analogo titolo tedesco e 2 punti in più rispetto a quello francese.

Insomma, l’ennesima dimostrazione che lo spread di cui si dovrebbe parlare non è quello del Btp, ma quello dei bond UE che in questo momento fanno la gioia degli investitori che chiedono ed ottengono un premio al rischio superiore a causa della scarsa liquidità di quei titoli e dell’assenza di continuità nelle emissioni (il NextGenUE è un programma limitato nel tempo, ricordiamolo). E, non a caso, accorrono numerosi all’albero della cuccagna.

Questa emissione offre l’occasione per alcune riflessioni.

LA QUESTIONE DEI BTP

Innanzitutto il confronto con emissioni di Btp di pari durata. Lo scorso 14 giugno il Tesoro ha pagato il 4,54%, quindi 113 punti base in più. Ma proprio oggi, emettendo un Btp trentennale con vita residua 26 anni, il Tesoro ha spuntato il 4,45%, raccogliendo complessivamente 2,5 miliardi.

Allora la domanda è: circa 100 punti base di maggior tasso di interesse valgono il costo del mostro burocratico che abbiamo messo in piedi per avere i fondi del PNRR? Quanto valgono tutte le condizioni a cui abbiamo dovuto sottostare per conseguire quel (presunto) risparmio? Quanto vale l’incertezza che viviamo ormai da gennaio scorso, quando abbiamo presentato la richiesta di pagamento dei 19 miliardi della terza rata e, dopo 7 mesi, la Commissione solleva ogni giorno un rilievo diverso, prima gli stadi di Firenze e Venezia, poi le ristrutturazioni degli studentati, poi le pompe di calore, poi le concessioni portuali…? Quanto vale non sapere effettivamente il costo di quei debiti verso la Commissione, che certamente non ci applicherà il 3,42% ma applicherà spese, margini e commissioni? Quanto vale aver dovuto obbligatoriamente spendere quei soldi a favore di spese gradite dalla Commissione e non anche dal governo italiano, che anzi ha dovuto svuotare i cassetti dei ministeri per prendere tutti i fondi, a prescindere dall’effettiva utilità della spesa?

LA STRATEGIA DELLA COMMISSIONE PER L’EMISSIONE DI TITOLI

Ma dubbi sorgono anche sulla strategia di emissioni dei titoli adottata dalla Commissione. Infatti è noto che i rimborsi degli Stati cominceranno dal 2056, quindi teoricamente non avrebbe senso per la Commissione emettere titoli con scadenza inferiore, perché alla loro scadenza, la Commissione potrebbe rimborsarli solo emettendo nuovi titoli, non avendo flussi di rimborso da parte degli Stati membri. Allora perché la Commissione ha emesso su scadenze lunghe (come i 30 anni) solo 31 (35 con gli ultimi 4) miliardi su emissioni per ben 367 miliardi a partire dal giugno 2021? Ma vi è di più. Mentre la prima emissione a 30 anni spuntò nel giugno 2021 il tasso del 0,73%, da allora la Commissione ha dormito ed è tornata ad emettere trentennali solo nel corso del 2022, quando ormai l’ondata dei rialzi dei tassi era partita ed è stata costretta a pagare tassi superiori al 3%, fino al 3,42% di qualche giorno fa. Perché la Commissione, che conosceva sin dall’inizio il profilo di lungo termine dei propri investimenti, non ha conseguentemente adeguato da subito le scadenze delle emissioni? È ragionevole pensare che non lo ha fatto semplicemente perché gli investitori avrebbero voltato le spalle e rifiutato di impegnarsi su scadenze così lunghe ai tassi bassi del 2021. Basti pensare alle perdite che stanno subendo oggi coloro che hanno in portafoglio i 6 miliardi emessi allo 0,73%!

L’altra notizia è che la Commissione prevede di dimezzare le emissioni nel corso del secondo semestre 2023. Dopo gli 80 miliardi del primo semestre, il piano prevede soli 40 miliardi. Evidentemente non prevedono significativi esborsi a favore degli Stati membri e questo dovrebbe suonare come campanello d’allarme per il nostro Paese che ha una rata da 19 miliardi ormai pendente da 7 mesi e si appresta a richiedere una quarta rata da 16, con scarsa probabilità che sia pagata nel 2023.

Ultimo, ma non meno importante, aspetto è quello del costo per interessi crescente a carico del bilancio UE. Comprenderete bene che pagare lo 0,73% o il 3,42% significa moltiplicare per cinque la spesa ed il bilancio UE non era affatto preparato a tale evenienza e sta correndo affannosamente ai ripari, tagliando altre voci di spesa.

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