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Industria Verde

Cosa si dice (e si mormora) sul piano Ue di aiuti all’industria verde

Il piano della Commissione europea di aiuti all'industria verde non è piaciuto a tutti. Per la Germania è ok, ma Italia e Spagna sono preoccupate per i rischi di distorsione del mercato unico. Vestager e Dombrovskis hanno delle riserve. Per il Ppe si tratta di una mossa tardiva e insufficiente.

 

I governi d’Europa hanno paura che i 369 miliardi di dollari in sussidi all’industria verde contenuti nell’Inflation Reduction Act possano spingere le aziende europee a spostare i loro investimenti negli Stati Uniti, lasciando il Vecchio continente senza una sufficiente capacità manifatturiera in tutti quei settori fondamentali per l’economia di domani.

Una prima risposta alla legge americana la Commissione l’ha data – si chiama Green Deal Industrial Plan, ed è stato presentato mercoledì -, ma non è stata accolta benissimo. Al di là della Germania, che attraverso il ministro dell’Economia Robert Habeck si è detta soddisfatta, il piano ha infatti lasciato scontenti molti altri paesi membri dell’Unione. A cominciare dall’Italia, preoccupata dalle conseguenze dell’allentamento della normativa europea sugli aiuti di stato.

IL PIANO PER L’INDUSTRIA VERDE NON CONVINCE… GLI INDUSTRIALI

Nemmeno nel mondo industriale il Green Deal Industrial Plan è piaciuto a tutti.

SolarPower Europe, associazione che riunisce le imprese europee della filiera fotovoltaica, ha criticato ad esempio la “mancanza di messa a fuoco” del piano sulle tecnologie specifiche. “Non tutte le tecnologie per lo zero netto sono sulla stessa barca, né in termini di importanza strategica, né per l’impatto che stanno subendo per l’Inflation Reduction Act”, ha detto il direttore Dries Acke, rimproverando l’impostazione a suo dire troppo generica della Commissione.

La Cina controlla da sola circa l’80 per cento della supply chain globale dei dispositivi per l’energia solare, dai componenti di base ai pannelli finiti, arrivando a detenere quote anche del 95 per cento in alcuni segmenti.

– Leggi anche: Cosa farà Enel in Sicilia per sfidare la Cina

LA CRITICA DEL PPE

Il Partito popolare europeo –  il gruppo più grande al Parlamento europeo, di cui fa parte anche il partito della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen – ha definito il piano di Bruxelles tardivo e insufficiente rispetto all’Inflation Reduction Act, che è legge già dallo scorso agosto. Il Green Deal Industrial Plan, oltre a essere ancora soltanto una proposta incompleta, non prevede nuovi finanziamenti ma riutilizza risorse già stanziate.

GLI STATI MEMBRI SCETTICI

Alcuni stati membri dell’Unione, come l’Italia e la Spagna, temono che il rilassamento delle regole sugli aiuti di stato andrà a loro svantaggio, favorendo invece la Germania e la Francia. Potendo infatti contare su maggiori risorse e possibilità di spesa, Berlino e Parigi potranno sostenere le rispettive aziende con molti soldi. Roma e Madrid, però, non potranno garantire le stesse somme alle loro imprese; queste ultime potrebbero così finire per trovarsi in una situazione di svantaggio competitivo rispetto alle rivali tedesche e francesi, pur operando tutte nello stesso mercato unico.

Dei 672 miliardi di euro in aiuti di stato che la Commissione ha approvato nel 2022, il 77 per cento ha riguardato Germania (per il 53 per cento) e Francia (24 per cento) messe insieme. L’Italia è valsa il 7 per cento.

Anche altri paesi, come i Paesi Bassi e la Svezia, hanno detto di temere per la nascita di una “corsa ai sussidi” che potrebbe finire per frantumare il mercato europeo comune.

LE CAUTELE DI VESTAGER E DOMBROVSKIS

Il tema è della salvaguardia del mercato interno è caro anche ai commissari di orientamento liberista – come il lettone Valdis Dombrovskis, al Commercio, e la danese Margrethe Vestager, alla Concorrenza – che guardano con un certo scetticismo all’idea di un massiccio intervento statale nell’economia.

Vestager ha riconosciuto che un utilizzo eccessivo degli aiuti di stato potrebbe svantaggiare i paesi con le minori capacità finanziarie. Anche Dombrovskis ha menzionato il rischio di “aumentare le divergenze economiche e sociali e le discrepanze regionali nell’Unione”. “Qualsiasi modifica alle regole sugli aiuti di stato”, ha aggiunto, “dovrebbe essere fatta con la massima attenzione, concentrandosi sull’efficienza dei processi, sulla semplificazione e sulla prevedibilità”.

LA LETTERA A DOMBROVSKIS

La settimana scorsa i ministri delle Finanze di Austria, Danimarca, Estonia, Finlandia, Irlanda, Repubblica ceca e Slovacchia hanno mandato una lettera a Dombrovskis per esprimere la loro contrarietà ai “sussidi permanenti o eccessivi non mirati” in risposta alla politica industriale degli Stati Uniti.

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