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Landini

I sindacati deformano la realtà su economia e lavoro

Come e perché i leader dei sindacati stravolgono la realtà. L'analisi di Giuliano Cazzola

 

‘’E seppure ciò non fosse/ il sognarlo già mi basta’’.  Sono alcuni degli ultimi versi del dramma di Calderon de la Barca ‘’La vita è sogno’’.È la stessa cosa che – sia pure con meno approccio lirico – potrebbero dire i dirigenti sindacali: a loro la realtà occupazionale, economica e sociale del Paese basta immaginarla nei loro incubi ‘’seppure ciò non fosse’’. Del resto godono sempre di una condizione di vantaggio, in quanto possono contare sulla parola d’ordine che apre tutte le porte nell’opinione pubblica: ‘’lo ha detto la televisione’’. Infatti, i talk show credono che per ‘’fare notizia’’ sia necessario esibire gente arrabbiata, disperata: famiglie costrette a mangiare il gatto di casa; aziende sull’orlo del fallimento da bolletta; lavoratori precari e sottopagati; pensionati impegnati nella raccolta differenziata delle immondizie allo scopo di trovare qualunque cosa somigli al cibo.

I leader sindacali (Maurizio Landini è il direttore d’orchestra, Pierpaolo Bombardieri è il primo violino, mentre Luigi Sbarra suona l’oboe) hanno messo in scena una edizione dell’Apocalisse con l’adozione di nuovi effetti speciali per rendere ancora più cupo il dramma.

Ovviamente le nostre sono caricature che – come si sa – svolgono la funzione di deformare con un tocco d’ironia talune caratteristiche delle persone prese di mira. Ma i nostri eroi si prestano parecchio a questo gioco, per la loro incredibile propensione a strafare, a giudicare la realtà circostante con la convinzione che il mestiere del sindacalista sia quello di evocare tragedie umane per giustificare il suo ruolo.

Succede così che non solo ‘’il percepito’’ si trasforma nel ‘’reale’’, ma  lo diventa fino a prova contraria, perché in ciò che è ritenuto politicamente corretto non c’è spazio per segnali positivi o per situazioni che non sono in preda della disperazione. Dopo la lapidazione a cui fu sottoposto anni fa Silvio Berlusconi nessuno si azzarda più a controbattere – nei confronti degli sfascisti – che i ristoranti sono pieni. Anche perché ci sono dati più importanti e solidi a sostegno e prova del fatto che il bicchiere non è completamente vuoto.

In primo luogo (seppure con squilibri settoriali) l’economia continua a crescere oltre le previsioni e più di quella degli altri Paesi. Nei primi nove mesi del 2022 l’Italia sfiora un + 4%. Certo le statistiche non si costruiscono ad horas. Ma il Pil è in crescita mai intercorsa da parecchi trimestri, nonostante tutti gli effetti delle sciagure inedite, impreviste e gravissime che hanno afflitto il mondo negli ultimi anni (la pandemia, l’impennata del costo delle materie prime, la crisi energetica, la guerra e le sue conseguenze destabilizzanti la struttura portante dell’economia globalizzata, la ripartenza dell’inflazione nel triturare i redditi fissi).

Certo, notiamo un progressivo declino e soprattutto non escludiamo una recessione; ma ad ogni momento di verifica ne spostiamo più avanti l’inizio. Siamo chiusi nella Fortezza Bastiani in attesa che i Tartari attraversino il deserto.

I dirigenti sindacali ci hanno avvertito da tempo che sono in arrivo milioni di licenziamenti a causa del caro bollette (forse si tratti di quelli che erano annunciati quando fosse venuto meno il blocco dei licenziamenti e che non si sono, per fortuna avverati trasformandosi invece in un massiccio ricorso alle dimissione volontarie che in breve è divenuto un fenomeno sociale inatteso e imprevisto).

Quanto all’occupazione affidiamoci ai soliti 10 tweet riassuntivi di Francesco Seghezzi di Adapt del 3 novembre scorso: 1) A settembre 2022 gli occupati crescono di 46mila unità, su base annua siamo a +316 mila occupati in più. 2) Cresce sia l’occupazione femminile (+12 mila) che quella maschile (+34 mila), su base annua rispettivamente +111 mila (+1,2%) e +205mila (+1,6%).; 3) Forte calo degli inattivi (-86mila) che si traduce in un leggero aumento dei disoccupati (+8mila) è una quota importante di persone che esce dalla popolazione di riferimento. 4) Il tasso di occupazione ritorna tra i livelli più alti delle serie storiche con il 60,2%, complice anche la diminuzione della popolazione 15-64 anni. 5) Aumentano molto (82mila) gli occupati permanenti e diminuiscono di 20 mila unità quelli a termine. In un anno gli occupati a termine crescono “solo” di 29 mila unità, pur essendo ai livelli più alti delle serie storiche. Si tratta però – come fa notare Claudio Negro sul Bollettino della Fondazione Anna Kuliscioff –  di un dato in controtendenza lampante con la vulgata corrente, crescono i dipendenti stabili rispetto a quelli a termine: i primi aumentano in termini congiunturali dello 0,5% e tendenziali del 1,4%, mentre i secondi, dopo la forte crescita dei primi mesi del dopo Covid (+0,9% negli ultimi 12 mesi) cominciano a calare significativamente (-0,6% in termini congiunturali) 6) Tornano a diminuire – siamo tornati a Seghezzi –  gli occupati indipendenti, che in anno crescono però di 83 mila unità, rimanendo comunque a cifre inferiori rispetto al periodo pre-Covid. 7) Aumenta dell’1,3% l’occupazione giovanile tra i 25 e i 34 anni e diminuiscono sia il tasso di disoccupazione che quello di inattività. 8) Aumenta anche leggermente il tasso di occupazione tra i 35-49enni e cala leggermente nei due estremi 15-24 e 50-64 anni. 9) Depurati dalla componente demografica i dati mostrano una marcata crescita dell’occupazione under 35 e un trend positivo in tutte le fasce d’età. 10) In sintesi: a settembre 2022 cresce l’occupazione permanente nella fascia d’età centrale, probabile impatto del calo della cassa integrazione.

Già perché sulla base degli ultimi dati disponibili ci accorgiamo che le ore di cassa integrazione nel 2022 sono diminuite rispetto all’anno precedente che pur non è stato uno dei peggiori. Per non parlare poi di un’altra emergenza: quella del mismatch che è ormai divenuto un fattore di grande difficoltà per le imprese. Ecco perché, tutto sommato, ha ragione Negro quando scrive con evidente e condivisibile amarezza: ‘’Capire come, in condizioni così ostili, il mercato del lavoro riesca a produrre performance tutto sommato apprezzabili e studiarne i meccanismi, le pratiche, le relazioni industriali, le dinamiche e i contesti che le generano sarebbe di grande utilità per un approccio innovativo alle politiche del mercato del lavoro. Colpisce invece – prosegue Negro –  come il Sindacato, in generale, si disinteressi all’argomento e preferisca continuare a dipingere il mercato del lavoro come un inferno di sottoccupazione e precarietà, quasi che in assenza di situazioni estreme di sofferenza sociale e miseria la ragion d’essere del Sindacato venga meno’’.

E come dicevamo all’inizio: perché sforzarsi a capire la realtà quando è più semplice sognarla.

 

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