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Cdp

Ecco il piano del governo sulla rete unica Tim-Open Fiber con Cdp (e come litigano M5S-Lega)

Come si discute nel governo sulla futura società della rete unica fra Tim e Open Fiber con il perno Cdp. Fatti, indiscrezioni e documenti riservati

Subbuglio nella maggioranza di governo sulla società unica della rete Tim-Open Fiber.

Come farla? Quanto debito di Tim addossare alla futura società? E quale sarà la quota di Cassa depositi e prestiti che avrà il controllo? E quanti dipendenti di Tim saranno spostati?

Sono i principali interrogativi che da giorni attanagliano non solo il personale dell’ex Telecom Italia ma politici, istituzioni, investitori e analisti.

A complicare il quadro già confuso ci si mettono anche i due partiti della maggioranza di governo. Con differenti visioni tecniche fra Movimento 5 Stelle e Lega.

Ieri c’è stato un intervento della Lega che con un subemendamento al Senato punta a modificare la proposta di M5s e Sviluppo economico sulle regole per la rete unica.

Il subemendamento, tra l’altro, eliminerebbe la “clausola occupazionale” che lega la remunerazione degli investimenti del nuovo soggetto anche alla «forza lavoro dell’impresa separata».

L’impostazione più restrittiva che la Lega intende dare alla norma – ha scritto Il Sole 24 Ore – potrebbe aver richiesto un supplemento di riflessione da parte del governo prima di affrontare l’incontro con i rappresentanti dei lavoratori previsto ieri tra il ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, e i sindacati.

Altri punti del subemendamento Lega potrebbero aver creato frizioni. Secondo indiscrezioni parlamentari, sia il riferimento dell’emendamento originario al «costo storico agli investimenti effettuati» sia quello alla «forza lavoro» non rappresentano cambiamenti sostanziali rispetto all’attuale quadro regolamentare.

Ma ad alcune delle domande iniziali risponde indirettamente il documento governativo sulla società unica della rete che è stato divulgato oggi dal quotidiano Il Messaggero.

Nella società della rete, si legge nel documento svelato da Andrea Bassi del Messaggero, dovrebbero finire circa 30 mila dipendenti del gruppo Tim. Un numero rilevante, che dovrebbe essere sostenuto da un fatturato di 5 miliardi l’anno con un margine operativo di almeno 2 miliardi.

Nella società della rete finirebbero tutti gli asset, dal rame alla fibra, dai cabinet nelle strade fino ai cavidotti.

Il tutto valutato circa 15 miliardi, svela il Messaggero: “Una cifra importante, gran parte della quale finirebbe nelle casse di Tim probabilmente risolvendo una volta per tutte l’annoso problema del debito finanziario che il gruppo di tlc si porta dietro dai tempi della scalata dei cosiddetti “capitani coraggiosi” alla fine del secolo scorso”.

Nel documento si parla della necessità di una «governance indipendente» con un «chiaro presidio pubblico». Non si fa mai riferimento alla Rab, il sistema tariffario per spesare in bolletta tutti gli investimenti, ma si parla di un sistema regolatorio che li incentivi.

“I Cinquestelle, con la proposta presentata dal relatore Emiliano Fenu, ha provato a scaricare in bolletta anche i costi occupazionali della rete unica. La Lega, fortemente contraria all’ipotesi, si è messa di traverso e con un suo emendamento firmato da Romano, ha escluso i dipendenti dalla Rab. Cosa peraltro non consentita dagli stessi principi regolatori, visto che fino a prova contraria il costo del personale è spesa variabile e non un investimento di capitale”, scrive Bassi.

Conclusione: l’alternativa di far pagare nelle bollette telefoniche interamente questo costo sembra al momento superata.

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