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Cina pro Scaroni, Cattaneo anti investimenti esteri e Norvegia pro Mazzucchelli. Tutti i dossier geopolitici per Enel

Tutte le ultime novità in vista dell'assemblea dei soci di Enel in programma il 10 maggio per il rinnovo del cda. Fatti, nomi e approfondimenti

 

Non è solo una partita finanziaria e industriale, dai soli risvolti di politica interna, quella si sta giocando in Enel.

Basta osservare gli ultimi fatti per delineare un quadro quanto meno controverso per il governo sul rinnovo dei vertici Enel, dopo le scelte dell’esecutivo – in particolare di Lega e di Forza Italia – per indicare Paolo Scaroni alla presidenza e Flavio Cattaneo nel ruolo di amministratore delegato del colosso energetico.

Ha fatto rumore ieri la notizia secondo cui il fondo norvegese Norges – azionista di Enel – voterà contro l’elezione di Scaroni, come indicato dal Mef, e si esprimerà a favore del candidato del fondo britannico Covalis, cioè Marco Mazzucchelli, banchiere ritenuto un Draghi-boy.

Una mossa non di secondo piano, visto che Norges è uno dei maggiori fondi sovrani al mondo ed è considerato dagli analisti del settore una sorta di “cassazione” nel settore Esg, molto in voga adesso, visto il rilievo delle energie rinnovabili.

Per non parlare del ruvido articolo del quotidiano britannico Guardian: “Un veterano dell’industria energetica che ha coltivato legami con Vladimir Putin e ha criticato le sanzioni contro la Russia per l’invasione dell’Ucraina è il favorito per la presidenza della più grande azienda italiana di servizi pubblici. Paolo Scaroni è il candidato preferito dalla coalizione di governo di Giorgia Meloni per la presidenza di Enel. (…) Si ritiene che Meloni, convinta atlantista e sostenitrice dell’Ucraina, abbia ceduto alle pressioni dei suoi partner di coalizione, Berlusconi – amico di lunga data di Putin – e Matteo Salvini, leader della Lega, sulla nomina di Scaroni”.

Ma le polemiche non sono solo mediatiche, c’è una delicata sostanza geopolitica che sta emergendo in queste ore. Qualche giorno fa il quotidiano Repubblica ha ricordato che nel parapiglia su Enel ci sono anche i cinesi. Infatti Bank of China è azionista con circa il 2% della prima electricity company al mondo, ed è convincimento diffuso nei mercati che Pechino sosterrà la lista di candidati presentata dal ministero dell’Economia.

Uno scenario che all’ambasciata americana a Roma (con il nuovo inquilino scelto dal presidente Joe Biden) si vede come fumo negli occhi. Insomma, per Meloni il soccorso cinese non è che l’ennesima grana in una vicenda nata storta.

Non solo perché Scaroni (pur essendo deputy chairman della banca americana Rotschild) è considerato dagli angloamericani vicino alla Russia di Putin, per gli accordi sul gas quando era numero uno di Eni, e perché Cattaneo ha preso pubblicamente posizione con un’intervista al Foglio lo scorso dicembre contro gli investimenti Enel in America.

“E’ doveroso costruire una filiera tutta italiana che includa anche la produzione nazionale di pannelli. So che Enel ha aperto uno stabilimento a Catania dedicato a questo ma poi lo ha fatto anche negli Usa. E’ un approccio che non condivido: se si vuole salvaguardare l’interesse nazionale, si dovrebbe produrre in Italia e non altrove”, disse Cattaneo senza tanti giri di parole poche settimane fa, in chiave polemica contro il numero uno uscente di Enel, Francesco Starace, e dopo non aver lesinato apprezzamenti encomiastici verso il governo Meloni.

La verità è che la pressione americana su Palazzo Chigi per divincolarsi dall’abbraccio con Pechino è robusta. Anche la delegazione di congressmen guidata dallo Speaker of the House McCarthy che è stata a Roma questa settimana ha esortato Meloni a scaricare i cinesi. Ma i diplomatici italiani frenano, vogliono “negoziare” l’uscita dalla Via della Seta con i cinesi, per evitare contraccolpi negativo negli interscambi commerciali.

In queste ore è a Roma un pezzo grosso del ministero degli Esteri, Wang Lutong. E’ qui – come ha ricostruito Decode39 (testata di Formiche di Paolo Messa con il comunicatore Gianluca Comin, che in passato ha lavorato per colossi cinesi) – per parlare dell’accordo sulla Via della Seta, e per concordare una visita di Meloni in Cina.

Ci manca solo il probabile sostegno dei cinesi in Enel a un candidato inviso da gran parte del mondo anglosassone per l’ultra atlantista Meloni.

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