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Stati Uniti Ripresa Economica

Conte, Di Maio, Salvini. Chi avrà i maggiori benefici dall’intervista dell’ambasciatore Usa sul governo M5S-Lega?

I Graffi di Damato sugli effetti dell'intervista dell'ambasciatore Usa in Italia con le considerazioni sul governo Di Maio-Salvini

La notizia politica del giorno non è, o non è più la “merde”, rigorosamente in francese, rovesciata addosso al vice presidente leghista del Consiglio Matteo Salvini dal ministro degli Esteri del Lussemburgo Jean Asselborn. Che aveva cercato inutilmente di convincere l’uditorio europeo di Vienna del buon affare che sarebbero anche per l’Italia gli immigrati, utili a sostituire i figli che non facciamo più e a fare i lavori che non ci piacciono. E ciò anche a costo -ha polemizzato Salvini in un impeto umanitario che deve avere molto sorpreso il suo interlocutore mandandone il linguaggio in tilt- di fare degli immigrati “i nuovi schiavi”.

La notizia è piuttosto nell’aiuto che a stretto giro di stampa, diciamo così, l’immagine umanitaria datasi da Salvini a Vienna, paradossalmente in difesa della sua durissima gestione degli sbarchi e, più in generale, dell’immigrazione ereditata dai governi precedenti, ha ricevuto dall’ambasciatore degli Stati Uniti a Roma, Levis Michael Eisenberg. Che, intervistato dal Corriere della Sera, ha elogiato “il modo molto umano” in cui anche il nuovo ministro dell’Interno italiano sta affrontando il fenomeno dell’immigrazione dall’Africa. Sempre molto umano?, ha chiesto scettico l’intervistatore Maurizio Caprara. Si, “ha tentato”, ha risposto l’ambasciatore alludendo in particolar ea Salvini e sottolineando “le circostanze e le dimensioni del fenomeno”.

L’intervista dell’ambasciatore, amico e finanziatore dichiarato del presidente americano Donald Trump al maggiore giornale italiano, e in questo passaggio un po’ agitato della politica italiana, non è un unguento solo per il ministro leghista dell’Interno. Di cui pure Eisenberg deve essere un amico dopo averlo conosciuto, visto che ne ha digitalmente apprezzato la copertina appena dedicatagli dal settimanale americano Time come “la nuova faccia dell’Europa”. Una faccia, secondo Eisenberg, che sarebbe stata ancora più efficace se Time avesse usato come foto quella di Salvini che mangiava un hamburger nel ricevimento del 4 luglio scorso nella residenza romana dell’ambasciatore americano.

Dichiaratamente reduce da incontri o conversazioni avute di recente anche col presidente della Repubblica Sergio Mattarella, col presidente del Consiglio Giuseppe Conte e col vice presidente del Consiglio e capo del movimento grillino Luigi Di Maio, il rappresentante di Trump ha voluto difendere il governo italiano dall’immagine che esso stesso offre ogni giorno delle sue divisioni: le ultime, o ultimissime, sull’emergenza creatasi a Genova col crollo, un mese fa, del ponte autostradale Morandi.

Pur riducendo al singolare il plurale attribuitogli nel titolo dell’intervista dal Corriere della Sera e nel richiamo di prima pagina, l’ambasciatore americano ha detto, testualmente: “Malgrado il governo italiano sia di coalizione e io legga sui giornali di contrasti, a me danno tutti un messaggio unitario, anche sul versante finanziario e della sicurezza. E’ un governo nuovo. Spero che abbia successo. La sua leadership non è sopravvalutata. E’ vera”. Tutto testuale, ripeto, come anche la domanda retorica di livello addirittura mondiale che sicuramente avrà fatto felici, insieme, Conte, Di Maio e Salvini, in ordine rigorosamente alfabetico: “Di quale nazione si parla di più nei commenti se non dell’Italia?”.

Resta ora da vedere se e chi trarrà i maggiori vantaggi da questa così vistosa sponsorizzazione del governo gialloverde arrivata alla ripresa autunnale della politica dal settantaseienne ambasciatore degli Stati Uniti di Trump a Roma. I leghisti o i grillini? A proposito dei quali non ha forse torto, anzi non ha per niente torto il mio amico Aldo Cazzullo a scrivere nell’editoriale dello stesso Corriere della Sera che “l’impronta grillina sul governo si nota meno della propaganda di Salvini ma è più profonda”. E’ l’impronta di chi alla creazione di “nuova ricchezza”, da cui possono derivare anche più posti di lavoro davvero, senza immaginarli per decreto, preferisce l’obbiettivo di “prendere i soldi a chi li ha e redistribuirli”.

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