Secondo quanto approvato dal governo e dal parlamento italiano (con l’ultimo Decreto Missioni) un contingente italiano composto da 450 militari (e 130 mezzi, più due navi da guerra) andrà in Niger con funzione di addestratori alle forze armate locali, sulla base di un accordo tra Roma e Niamey.
NIAMEY/ROMA: COSA È SUCCESSO?

IL CONTESTO
L’Italia è in Niger nell’ambito di un’attività molto complessa che va dal terrorismo al contenimento di traffici illegali, compresi quello di esseri umani (se la Libia è il rubinetto verso il Mediterraneo, il Niger è il serbatoio di raccolta per i profughi centroafricani poi spostati verso costa). Il Niger è un paese del Sahel, l’area geografica che sta tra il Sahara e il Nord Africa, e confina a nord con la fascia meridionale libica, il Fezzan, una terra di nessuno in cui – complice anche l’assenza di un’autorità di governo stabile a Tripoli – è da tempo un crocevia per le attività clandestine (come lo sono i confinanti Ciad e appunto Niger, e più a ovest il Mali). In Niger si trova un contingente militare francese (ci si tornerà, perché è quello più interessante), uno tedesco e un migliaio di uomini americani. Alcuni sono Berretti Verdi (ossia unità speciali dell’esercito, e c’è da pensare che forze speciali partiranno anche in accompagnamento al contingente italiano, visto la sensibilità dell’area) che battono i villaggi rurali in cerca di una sorta di awakening contro i gruppi radicali e criminali. In quell’area geografica i due aggettivi non sono esclusivi l’uno dell’altro, a dispetto della purezza ideologica degli estremisti: armi e droga viaggiano attraverso quelle rotte (la coca sudamericana dei cartelli, passa anche dal Nordafrica prima di arrivare in Europa, e solca territori dove qualsiasi cosa si muova deve passare il vaglio dei gruppi islamisti locali, collusi spesso con i clan tribali).
I RISCHI: UN ESEMPIO
La presenza di quei militari americani è stata ufficializzata soltanto poco tempo fa (nonostante mesi fa una troupe della CNN si fosse recata ad Agadez, embedeed con alcuni militari; Agadez è una città del Niger centro-occidentale considerata il cuore del contrabbando d’ogni genere di roba). Nell’ottobre del 2017 quattro di quei Green Berets americani sono stati uccisi in un’imboscata mentre uscivano da un incontro con i capi di una famiglia di Tongo Tongo, città rurale nigerina vicino al confine col Mali (si ricorderà della vicenda anche perché il caso fu gestito in modo sgraziato dal presidente Donald Trump come spesso accade in certe situazioni che lo mettono in difficoltà). La scorsa settimana è stato diffuso un primo screenshot del video girato dalla telecamera montata sul casco di uno dei militari americani, il cui corpo è stato ritrovato soltanto 48 ore dopo lo scontro a fuoco in cui lui e i suoi tre compagni sono morti: i miliziani che lo hanno ucciso fanno parte di un gruppo che è affiliato, ma non parte integrante (forse anche per certi evidenti problemi diciamo di purezza), dello Stato islamico, e probabilmente le immagini degli americani feriti, che urlano dopo essere stati colpiti dagli islamisti, finiranno in un video di propaganda dove si potrebbe minacciare il contingente statunitense, ma anche quelli europei presenti in quella fascia geografica – ivi compresi gli italiani.
IL RUOLO DEI NOSTRI MILITARI

Emanuele Rossi






