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I dazi di Trump su Canada e Messico faranno male agli Usa?

Il 1 febbraio Trump potrebbe imporre dazi sulle importazioni dal Canada e dal Messico: i due paesi sono accusati di essere coinvolti nel traffico di droghe e migranti verso gli Stati Uniti. Le tariffe sui due partner nordamericani, però, potrebbero scombinare i piani economici del presidente. Ecco perché.

Il primo giorno del secondo mandato da presidente di Donald Trump è stato ricco di ordini esecutivi; non sono stati, però, messi dazi sulle importazioni dal Messico e dal Canada, come da lui promesso in campagna elettorale. O meglio: non sono stati messi per ora. Trump ha detto di volerli imporre a partire dal 1 febbraio – l’aliquota sarà del 25 per cento – come forma di ritorsione per il presunto ruolo dei due paesi nel traffico di droghe sintetiche e nell’immigrazione irregolare verso gli Stati Uniti.

LA RICHIESTA ALLE AGENZIE GOVERNATIVE

Trump ha chiesto al dipartimenti del Commercio, a quello del Tesoro e all’Ufficio del rappresentante del Commercio di esaminare i rischi alla sicurezza economica e legati associati ai deficit commerciali con i paesi stranieri e di valutare le risposte appropriate, come appunto i dazi.

NON SOLO CANADA E MESSICO: COSA HA DETTO TRUMP SUI DAZI

Il presidente non ha escluso l’imposizione di dazi universali, cioè su tutti i beni importati dagli Stati Uniti: ha specificato però che la sua amministrazione “non è ancora pronta”. Ha detto poi di voler riequilibrare la bilancia degli scambi con l’Unione europea attraverso un aumento delle esportazioni energetiche verso il Vecchio continente, oppure con l’applicazione di tariffe. Quanto invece al Messico e al Canada, i due paesi sono stati accusati di favorire il traffico di fentanyl e di “un grande numero di persone” in territorio statunitense.

Durante la campagna elettorale Trump aveva promesso di imporre dazi del 60 per cento sulla Cina per ridurre il deficit commerciale.

L’IMPORTANZA DI CANADA E MESSICO PER GLI STATI UNITI

Canada e Messico sono due dei più importanti soci commerciali degli Stati Uniti e sono profondamente integrati nelle filiere industriali statunitensi, a partire da quelle dell’automotive: è il risultato di trent’anni di partecipazione all’accordo di libero scambio regionale, precedentemente conosciuto come Nafta e poi rinominato Usmca dalla precedente amministrazione Trump. I termini dell’Usmca verranno revisionati nel 2026.

Sia Ottawa che Città del Messico hanno fatto sapere che risponderanno ai dazi di Washington imponendone a loro volta.

Una guerra commerciale con i due partner nordamericani potrebbe rivelarsi dannosa per le imprese e i consumatori negli Stati Uniti: nel 2023 il paese ha importato beni dal Messico per 475 miliardi di dollari e per 418 miliardi dal Canada.

LE CONSEGUENZE ENERGETICHE

Le tariffe su Canada e Messico potrebbero entrare in conflitto con i piani di Trump per abbassare i prezzi nazionali dell’energia, dato che i due paesi sono i principali fornitori di petrolio degli Stati Uniti: il 52 per cento del petrolio importato dall’America proviene dal Canada e l’11 per cento dal Messico; segue l’Arabia Saudita  con una quota del 5 per cento appena.

Gli Stati Uniti sono i maggiori produttori di petrolio al mondo, ma circa il 40 per cento del greggio che raffinano è importato dall’estero. Questa situazione si spiega con il fatto che il petrolio statunitense è di tipo “leggero” ma le raffinerie del paese sono meglio attrezzate per lavorare greggi “pesanti”, come quello proveniente dal Canada occidentale.

Proprio la disponibilità di greggio canadese a basso prezzo è stata fondamentale per consentire la sostituzione delle importazioni di petrolio Basrah (una varietà pesante, appunto) dall’Iraq, rendendo gli Stati Uniti meno dipendenti dal Medioriente.

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