Donald Trump ha promesso che, non appena inizierà formalmente il suo secondo mandato da presidente, imporrà dei dazi del 25 per cento su tutte le importazioni dal Messico e dal Canada, accusando i due paesi – due dei più importanti alleati e soci commerciali degli Stati Uniti, nonché partecipanti al trattato di libero scambio nordamericano – di non fare abbastanza per bloccare i flussi migratori irregolari e il narcotraffico verso i confini statunitensi.
Le tariffe sulle importazioni canadesi, in particolare, vanno però in contrasto con l’obiettivo principale della politica energetica di Trump. Il presidente eletto ha promesso infatti che abbasserà i prezzi dell’energia per i consumatori statunitensi attraverso lo stimolo alla produzione di idrocarburi (già su livelli record, in realtà), ma i dazi sul Canada finirebbero per penalizzare i produttori petroliferi e gli automobilisti americani.
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L’IMPORTANZA DEL CANADA PER IL SETTORE ENERGETICO AMERICANO
Questo perché il Canada è il principale fornitore di petrolio greggio degli Stati Uniti, con una quota di circa il 60 per cento; il secondo paese nella classifica è il Messico con una quota dell’11 per cento, più che doppia di quella dell’Arabia Saudita (5 per cento) e dell’Iraq (4 per cento).
Secondo l’Associazione canadese dei produttori di petrolio, “un dazio del 25 per cento sul petrolio e sul gas naturale si tradurrebbe probabilmente in una minore produzione in Canada”, viste le barriere all’entrata del principale mercato di esportazione, “e in un aumento dei costi della benzina e dell’energia per i consumatori americani, minacciando al contempo la sicurezza energetica del Nordamerica”.
PETROLIO PESANTE E DOLCE
Trent’anni di libero scambio hanno portato a una profonda integrazione delle filiere industriali nordamericane: nel caso specifico del commercio petrolifero, il greggio estratto dai giacimenti (le cosiddette “sabbie bituminose”) del Canada occidentale viene trasportato fino alle raffinerie statunitensi, attrezzate per lavorare varietà di petrolio “pesante”, cioè maggiormente viscoso e ricco di zolfo. Lo shale oil americano, come quello estratto in Texas, non è adatto: è un greggio leggero e “dolce”, dal basso contenuto di zolfo.
LA PROTESTA DEI RAFFINATORI AMERICANI
Gli Stati Uniti sono i maggiori produttori di petrolio al mondo, ma il 40 per cento del greggio che raffinano – viste le caratteristiche tecniche dei loro impianti – è importato dall’estero, in larga parte dal Canada. E infatti la principale organizzazione rappresentativa dei raffinatori, la American Fuel and Petrochemical Manufacturers, ha invitato i decisori a Washington a “evitare qualsiasi politica che possa compromettere il vantaggio energetico dell’America”: i dazi su Canada e Messico potrebbero “gonfiare il costo delle importazioni, ridurre le forniture accessibili di materie prime e prodotti petroliferi o provocare tariffe di ritorsione [che] possono avere un impatto sui consumatori e compromettere il nostro vantaggio di leader mondiali nella produzione di carburanti liquidi”.
GLI STATI UNITI HANNO SOSTITUITO L’IRAQ CON IL CANADA
Lo scorso luglio le importazioni statunitensi di greggio dal Canada hanno raggiunto il valore record di 4,3 milioni di barili al giorno. Il merito è dell’espansione dell’oleodotto Trans Mountain, che collega i giacimenti dell’Alberta alla costa della Columbia britannica, la più occidentale delle province canadesi; grazie alle opportunità commerciali offerte dal Trans Mountain, i raffinatori sulla costa ovest degli Stati Uniti sono diventati grossi acquirenti di petrolio canadese.
La disponibilità di greggio canadese a basso prezzo ha permesso alle raffinerie americane della costa ovest di sostituire le importazioni di petrolio Basrah (una varietà pesante, appunto) dall’Iraq.