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Auto Elettrica Turchia F-16

Mamma… li cinesi! I turchi temono le auto elettriche di Pechino

L'auto elettrica cinese non smette di correre, col rischio che investa in pieno le rivali occidentali. Mentre l'Ue indaga sui sussidi e gli Usa si blindano con l'Ira, la Turchia decide di chiudere i confini sulla scia americana

Non è certo più un mistero per nessuno che la transizione ecologica sta tirando la volata alla concorrenza cinese. Subito fuori dai nostri confini non si contano i marchi asiatici, ancora semisconosciuti in Europa, pronti a imporsi con auto dal prezzo altamente concorrenziale. Subito fuori dai nostri confini, però, gli altri Stati si stanno attrezzando per limitare i danni dell’impatto di queste nuove Case tanto arrembanti e agguerrite. Il caso più noto risponde al nome di Ira (Inflation Reduction Act), il maxi piano da 369 miliardi di dollari voluto da Joe Biden per spingere l’industria americana. Ma anche la Turchia ora si sta armando.

LE MOSSE TURCHE PER SGONFIARE LE GOMME ALLE AUTO EV CINESI

La Cina è il maggiore produttore di questi veicoli, con una quota del 54 per cento del totale mondiale e le aziende cinesi possono beneficiare da tempo di generosi sussidi statali. Una situazione che sta creando una vera e propria ‘concorrenza sleale’ a livello mondiale. Da qui la decisione turca di provare ad arginare l’arrivo di auto elettriche cinesi attraverso un decreto del ministero del Commercio di Ankara.

I REQUISITI PER ENTRARE IN TURCHIA

La nuova norma, dalla quale risultano esplicitamente esentati tutti i prodotti provenienti dall’Unione Europea o da Paesi che hanno accordi di libero scambio con Ankara, chiede di aumentare i controlli sull’import prevedendo maglie più strette nei requisiti che le aziende del mondo dell’auto dovranno presentare per vendere in Turchia le proprie vetture elettriche.

A iniziare dalla curatela del cliente mediante un call center per l’utenza fino ad arrivare alla gestione di almeno 140 stazioni per la ricarica distribuite in mondo uniforme sull’intero territorio nazionale. Insomma, chi vuole vendere in Turchia dovrà contribuire alla creazione di una infrastruttura di servizio per l’auto elettrica.

Tutto questo entro la fine del mese. Un traguardo impossibile da raggiungere per la maggior parte delle Case estere prese di mira dal legislatore turco. A inizio 2023 la Turchia aveva inoltre deciso di imporre una tariffa aggiuntiva del 40% sui veicoli a batteria importati dalla Cina.

E L’UE?

La Commissione europea si è svegliata tardi sul punto, avviando solo in settembre un’indagine anti-sussidi sulle auto elettriche provenienti dalla Cina e vendute a basso costo.

“In questo momento i mercati globali sono inondati da auto elettriche economiche. E il loro prezzo è tenuto artificialmente basso da enormi sussidi statali”, aveva detto la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel suo discorso sullo stato dell’Unione al Parlamento.

L’ACCELERAZIONE USA

Joe Biden ha caratterizzato la propria permanenza alla Casa Bianca con opere volte a favorire l’industria di casa propria bandendo, a partire dal 2024, le auto elettriche dotate di batterie cinesi. Un bando non ufficiale ma “de facto”, dal momento che l’intenzione dell’amministrazione americana è quella di escludere i marchi esteri con linee al di fuori degli Usa dagli incentivi federali (crediti d’imposta federali fino a 7.500 dollari). Incentivi che al momento rappresentano il solo modo per spingere l’utenza verso i nuovi propulsori, altrimenti ancora troppo cari per le tasche della classe media.

Con una simile mossa, la Casa Bianca spera inoltre di riuscire a mitigare il prezzo delle auto elettriche prodotte in patria, rendendole concorrenziali rispetto ai listini, assai più bassi e invitanti, dei marchi cinesi che stanno approdando nel territorio dei 50 Stati.

Una strategia oggi più che mai necessaria, per l’industria statunitense, soprattutto dopo che Joe Biden si è schierato a favore dello sciopero portato avanti da settembre al Ringraziamento dall’UAW, il principale sindacato delle tute blu, tutelando i livelli occupazionali interni: ora in cambio le Big dell’automotive chiedono infatti un trattamento di favore.

BIDEN SI SCONTRA CON LA DURA REALTA’

Peccato solo che i piani protezionistici di Biden si stiano scontrando con la dura realtà. Applicate alla lettera, infatti, le disposizioni della Casa Bianca escluderebbero la totalità delle auto made in Usa, richiedendo che i minerali critici degli accumulatori non abbiano provenienza straniera (leggi: cinese).

Ecco perché il Dipartimento del Tesoro è intervenuto ammorbidendo la normativa che esclude eventuali modelli dai crediti d’imposta federali fino a 7.500 dollari complessivi per chi acquista una vettura elettrica. Ci saranno infatti quantitativi di tolleranza e probabilmente altre deroghe.

CHI SONO GLI ESCLUSI

Ma i vincoli resteranno molto duri, bandendo tra il 2024 e l’anno successivo ogni componente delle batterie prodotto da aziende di proprietà di una “foreign entity of concern” (Feoc, ovvero “realtà straniera d’interesse”), oppure le batterie con oltre il 2% di minerali critici estratti, lavorati o riciclati da Feoc. Escluse anche le società controllate da Feoc, o comunque nell’azionariato (basta il 25% del board o dei diritti di voto).

LA MOSSA DI FORD PER CAMUFFARE LE FEOC

Ecco perché i marchi statunitensi che hanno alleanze in essere con i cinesi per l’auto elettrica stanno correndo ai ripari spingendo i partner a impiantare sul suolo Usa la propria filiera. Il caso più eclatante riguarda probabilmente Ford, che col produttore asiatico di batterie Catl intende realizzare un nuovo stabilimento del Michigan. In tal caso, dato che la partnership porterebbe valore e occupazione negli Stati Uniti, dovrebbe rientrare nelle deroghe.

NON CHIAMATELE CINESERIE

Si possono dire tante cose delle auto cinesi, ma non che siano cineserie. Se la Cina si è imposta sul mercato mondiale dell’auto è perché ha messo a segno politiche lungimiranti a partire dal 2009 quando nel Paese asiatico le autorità locali sono state incoraggiate a dotare le loro flotte di taxi e autobus di veicoli elettrici, grazie a sussidi del governo centrale fino a 60.000 yuan (7.700 euro) per auto e 100.000 yuan per autobus. A forza di finanziamenti pubblici BYD è diventato uno dei marchi più competitivi a livello globale.

Non solo, in modo non dissimile all’Ira di Joe Biden, la Cina nel recente passato ha sostenuto il settore delle batterie imponendo ai produttori di utilizzare batterie cinesi così da mettere il turbo a CATL, che nel 2020 ha detronizzato la coreana Panasonic diventando leader mondiale del settore. Alla fine del 2022,

LA CORSA DI BYD MANDA FUORI STRADA TESLA, VW E LE ALTRE

BYD aveva detronizzato Volkswagen diventando il primo venditore di veicoli singoli in Cina e superato la produzione di auto alla spina della Casa di Elon Muk. Nei primi mesi del 2023 il marchio di Shenzhen aveva già venduto 1,4 milioni di auto, tutte elettriche, mezzo milione in più di Tesla.

La maggior parte dei modelli BYD ha un prezzo compreso tra 100.000  e 200.000 yuan (rispettivamente 13.700 e 27.300 dollari), nettamente inferiore rispetto a Tesla e agli altri concorrenti cinesi come Nio e Li Auto, i cui modelli vengono venduti a più di 300.000 yuan ciascuno (circa 41mila dollari).

L’utile netto tra luglio e settembre di BYD e stato di 10,4 miliardi di yuan (1,4 miliardi di dollari). Infranto perciò e nemmeno di misura il precedente record di utili di 7,3 miliardi di yuan registrato nel quarto trimestre del 2022. L’utile del terzo trimestre si traduce in un +82,2% rispetto allo stesso periodo di un anno fa e in un +53% trimestre su trimestre.

Nel terzo trimestre i ricavi sono cresciuti del 36,5% su base annua raggiungendo i 162,2 miliardi di yuan. BYD, che aveva detronizzato Tesla come la più grande azienda di veicoli elettrici del mondo nel 2022, ha venduto 822.094 veicoli nei tre mesi terminati a settembre, con un aumento del 17,4% rispetto al trimestre precedente e un record trimestrale.

Una trimestrale resa ancora più dolce per la società con sede a Shenzhen dal fatto che il marchio automobilistico di Elon Musk ha invece conosciuto nel medesimo periodo la prima, vera, battuta d’arresto.

Mentre le sue rivali, anche in patria, rallentano colpite da quella che in molti hanno già definito la “bolla dell’auto elettrica”, a settembre l’azienda controllata dal miliardario cinese Wang Chuanfu ha registrato vendite per 287.454 unita, +4,8% rispetto ad agosto, riscrivendo il proprio record di vendite per il quinto mese consecutivo. Parrebbe insomma averci visto giusto anche questa volta il vecchio ma mai domo Warren Buffett, che ha investito nel marchio asiatico attraverso la sua Berkshire Hathaway.

Per i primi nove mesi del 2023, gli utili hanno raggiunto i 21,4 miliardi di yuan (2,77 miliardi di euro), più del doppio rispetto allo stesso periodo del 2022. Non ultimo, si sottolinea che proprio questo mese il gruppo è diventato anche il primo produttore al mondo a superare il traguardo simbolico dei 5 milioni di veicoli elettrici prodotti. Messi in fila tutti questi dati suggeriscono che il campione cinese è oramai pronto ad affrontare le sfide dell’internazionalizzazione.

LA COLONIZZAZIONE EUROPEA

BYD lancerà la sfida a Tesla dal suo primo impianto di assemblaggio europeo che, secondo quanto ricostruito dal Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung, sarà realizzato in Ungheria, dove già i cinesi producono tuttora autobus elettrici a Komárom, a ovest di Budapest. La decisione sarebbe stata già presa anche a seguito di dialoghi tra la dirigenza cinese e Viktor Orbán, non a caso tra i politici del Vecchio continente più attivi nel perorare l’esigenza della nuova Via della Seta.

E non è nemmeno un caso che la testata Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung stia seguendo da vicino il dossier. I tedeschi hanno infatti corteggiato a lungo Byd, provando a sostituire la Ford a Saarlouis. Invece per la testata di Francoforte i cinesi si insedieranno nel Paese magiaro, per la precisione a Szeged, nel sud dell’Ungheria.

Non sarà la sola gigafactory che verrà edificata fuori dai confini asiatici. La strategia di espansione internazionale prevede infatti la costruzione di un impianto in Brasile (già a buon punto) e la costruzione di un ulteriore impianto in Messico.

QUAL È IL SEGRETO DELL’AUTO ELETTRICA CINESE?

Non è un mistero che la Cina si sia mossa prima e meglio dell’Occidente. Ma, soprattutto, si è mossa in modo assai dissimile dall’Unione europea, con una tattica legislativa che i più hanno definito del “bastone e della carota”, vale a dire sussidi in una mano e imposizioni dall’altro per costringere cittadini e PA a passare ai nuovi propulsori.

L’Ue invece finora ha tenuto in mano solo il bastone, costringendo l’industria dell’auto del Vecchio continente a una corsa per la quale non era preparata. Le conseguenze hanno già iniziato a scorgersi in Germania, motore dell’industria automobilistica europea. Là le principali Case, per essere competitive, in assenza di sussidi sono costrette a varare tagli draconiani.

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