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L’Ira di Biden spinge le case sudcoreane ad aprire gigafactory per auto e batterie negli Usa

Sebbene gli Usa abbiano promesso a Bruxelles, Tokyo e Seul di rivedere l'Inflation Reduction Act per non incorrere nell'arbitrato dell'Organizzazione mondiale del Commercio, Washington sta di fatto costringendo i più grandi attori della mobilità del domani a impiantare filiere produttive nei 50 Stati. Fatti, nomi e approfondimenti

Aspramente criticato dai governi dei principali partner commerciali degli USA, dalla UE al Giappone, fino alla Corea del Sud, l’Inflation Reduction Act voluto da Joe Biden, un corposo pacchetto di aiuti a sostegno dell’economia americana che contiene, tra le pieghe, diverse norme che rendono meno favorevoli ai paesi partner le esportazioni negli USA costringendoli ad aprire filiali sul territorio, sta già dando i suoi frutti.

Mentre l’attuale inquilino della Casa Bianca rispondeva alle vibranti proteste giunte da Seul con una lettera di proprio pugno indirizzata all’omologo sudcoreano Yoon Suk-yeol (che ritiene, e non a torto, che le nuove norme USA danneggino i marchi del suo Paese) esprimendo la volontà di proseguire i colloqui con la Corea del Sud per rivedere l’impianto normativo secondo le istanze di Seul, due dei marchi principali del Paese asiatico, vero e proprio gigante quando si parla di batterie e mobilità elettrica, ovvero Hyundai Motor Co e LG Energy Solution Ltd starebbero valutando, secondo un’agenzia di stampa locale ripresa da Reuters, la possibilità di costruire due impianti di batterie in joint venture negli Stati Uniti.

I PIANI A STELLE E STRICE DELLE COREANE

Secondo il piano riportato dalla stampa, gli impianti verrebbero costruiti in Georgia e avrebbero ciascuno una capacità annua di circa 35 gigawattora (GWh), sufficiente ad alimentare circa 1 milione di veicoli elettrici (EV). Un giornale sudcoreano ha riportato venerdì che Hyundai Motor e SK On, l’unità di batterie del gruppo energetico SK Innovation Co Ltd, hanno pianificato di investire circa 1,87 miliardi di dollari per costruire una nuova fabbrica in joint venture in Georgia.

Tutte le nuove fabbriche sarebbero dunque situate vicino al nuovo impianto EV di Hyundai Motor Group a Savannah, in Georgia, appunto, dove il Gruppo prevede di iniziare la produzione commerciale nella prima metà del 2025 con una capacità annua di 300.000 unità. L’inaugurazione è avvenuta lo scorso 25 ottobre e fa parte dell’”impegno di 10 miliardi di dollari entro il 2025 per promuovere la mobilità futura negli Stati Uniti, compresa la produzione di veicoli elettrici”, ha dichiarato l’azienda.

In parte, il piano di Hyunday di impiantare una filiera della mobilità elettrica negli USA è stato accelerato e in parte potenziato, dal momento che l’U.S. Inflation Reduction Act richiederà, a partire dal prossimo primo gennaio, che almeno il 40% del valore monetario dei minerali critici per le batterie provenga dagli Stati Uniti o da un partner americano di libero scambio per poter beneficiare dei crediti fiscali statunitensi. Tale quota salirà all’80% nel 2027.

COSA FANNO I GIAPPONESI

Parallelamente, si stanno muovendo anche i giapponesi di Honda Motor che, sempre con i sudcoreani di LG Energy Solution Ltd, hanno dichiarato che lavoreranno gomito a gomito a un nuovo impianto di batterie agli ioni di litio per veicoli elettrici negli Stati Uniti. Prima di costruire l’impianto, le due società dovrebbero costituire una joint venture. L’inizio della costruzione è previsto per l’inizio del 2023 e la produzione di massa per la fine del 2025. L’investimento per la joint venture nippo-coreana sarà di 4,4 miliardi di dollari, cifra analoga a quella messa sul piatto da Panasonic per costruire l’impianto che farà batterie per Tesla.

L’obiettivo di Honda e LG è aprire una gigafactory dalla capacità produttiva annuale di circa 40 GWh, con le batterie fornite esclusivamente agli impianti Honda in Nord America per alimentare i modelli EV di Honda e Acura. L’ubicazione dell’impianto non è ancora stata definita, ma il quotidiano economico Nikkei ha riferito che le due aziende stanno valutando l’Ohio, dove si trova lo stabilimento principale della Honda.

All’inizio di quest’anno, Honda aveva fissato l’obiettivo di lanciare 30 modelli di veicoli elettrici a livello globale e di produrre circa 2 milioni di veicoli elettrici all’anno entro il 2030. Le due aziende hanno dichiarato che la combinazione di una forte produzione locale di veicoli elettrici e la fornitura tempestiva di batterie le metterà “nella posizione migliore per puntare al mercato nordamericano dei veicoli elettrici in rapida crescita”.

L’INFLATION REDUCTION ACT CAMBIERA’ DAVVERO?

Sembra insomma che l’Inflation Reduction Act voluto da Joe Biden stia funzionando e sebbene gli USA abbiano promesso a Bruxelles, Tokyo e Seul di rivedere il testo per non incorrere nell’arbitrato dell’Organizzazione mondiale del Commercio, nel mentre Washington sta di fatto costringendo i più grandi attori della mobilità del domani a impiantare filiere produttive nei 50 Stati. Stabilimenti e gigafactory che ovviamente resteranno anche nel caso in cui le norme dovessero cambiare.

LA FRANCIA CHIEDE UNO EUROPEAN BUY ACT

Dal canto suo il presidente francese ha aspettato di avere su di sé i fari internazionali del Salone dell’Auto di Parigi per invitare le autorità dell’Unione a introdurre un “European Buy Act” in risposta alla legge di Biden, per sussidiare la produzione europea. “Dobbiamo svegliarci”, ha difatti detto Macron in un’intervista rilasciata a Les Echos. “L’Europa deve preparare una risposta forte e agire molto rapidamente. Gli americani stanno comprando americano e stanno portando avanti una strategia di aiuti pubblici molto aggressiva. I cinesi stanno chiudendo il mercato. Non possiamo essere l’unico spazio – il più virtuoso dal punto di vista climatico – a ritenere che non ci possano essere delle preferenze europee”.

Il Salone dell’auto di Parigi ha ben fotografato la desertificazione europea – tante, difatti, le defezioni di case storiche – e al tempo stesso immortala l’arrembaggio in atto cinese: diversi i marchi made in China che si preparano a debuttare nel Vecchio continente. Per questo Macron parla della necessità di intavolare “un forte sostegno all’industria automobilistica”, sulla falsariga delle recenti misure introdotte negli Stati Uniti e dunque di stampo protezionistico (ne abbiamo parlato qui) “un’occasione”, dice l’inquilino dell’Eliseo “per rilanciare” l’industria dell’auto e raggiungere gli “obiettivi climatici”.

I PIANI FRANCESI MESSI A RISCHIO DALLA CINA

La medesima agitazione traspare dalle dichiarazioni del ministro all’Economia Bruno Le Maire che, in merito alle politiche protezionistiche USA e alle mosse aggressive cinesi, fissa un’agenda: “O si riesce a far cambiare loro idea o non c’è ragione perché la Francia e l’Europa non facciano altrettanto. Per il bene dell’ambiente e dell’economia”. “Non possiamo perdere neppure un giorno, perché ogni giorno perso è un mercato perso, e i mercati persi sono quelli più difficili da riconquistare”, ha concluso con termini perentori il ministro. La Francia, ora che la Germania ha le gomme sgonfie per via della Russia che le ha chiuso i rubinetti del gas (per questo VW sta già pensando di riallocare la produttività in altri Paesi) intende sfornare 1 milione di elettriche nel 2027 e 2 milioni entro il 2030, grazie a politiche di sostegno della domanda, come l’aumento da 6 mila a 7 mila euro del bonus ecologico, “per la metà delle famiglie, le più modeste” e un leasing a 100 euro al mese, già annunciato da Macron: “stiamo lavorando ai dettagli tecnici di questo provvedimento, soprattutto per definire i tempi”).

I TIMORI DI BERLINO

Anche Berlino è convinta che si debba fare qualcosa, ma non vuole eccedere col protezionismo per via dei forti legami intessuti negli anni, soprattutto nell’automotive, con la Cina. Martedì i ministri dell’Economia di Parigi e Berlino, Bruno Le Maire e Robert Habeck, hanno emesso un comunicato congiunto per chiedere “una politica industriale dell’Unione europea che consenta alle nostre aziende di prosperare nella competizione globale, soprattutto grazie alla leadership tecnologica”. “Vogliamo coordinare strettamente un approccio europeo alle sfide come l’Inflation Reduction Act degli Stati Uniti”, si legge.

Stando alle fonti di POLITICO, la Commissione europea sta lavorando a un schema di emergenza per fornire denaro alle industrie chiave che si occupano di tecnologie avanzate. A spingere perché si faccia in fretta è la Francia. Il 21 novembre scorso il presidente francese Emmanuel Macron ha tenuto una cena al Palazzo dell’Eliseo, la sua residenza ufficiale, con diversi amministratori delegati di aziende europee.

Lo scopo dell’incontro era convincerli a non spostare le loro produzioni negli Stati Uniti, dove potrebbero però approfittare di prezzi più bassi dell’energia e dei sussidi contenuti nell’Inflation Reduction Act. Un allarme che va oltre i confini dell’automotive. All’Eliseo Macron si è riunito con i dirigenti di aziende strategiche come le case automobilistiche Volvo e BMW, le società chimiche Air Liquide e Solvay, la compagnia farmaceutica AstraZeneca e i gruppi di telecomunicazione Orange ed Ericsson. Tuttavia l’Ue rischia di prendere decisioni tardive nel settore e di doversela così vedere non solo con la baldanza cinese, che come si anticipava poco sopra sta per invadere il mercato delle auto elettriche con una lunga serie di marchi a buon prezzo, ma anche con le misure protezionistiche americane.

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