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Inflation Reduction Act

L’Ira di Biden potrà cancellare la Cina dalle filiere dell’auto elettrica?

Attraverso l'Inflation Reduction Act, gli Stati Uniti vogliono emanciparsi dalla Cina per i minerali e le batterie delle auto elettriche. Ma il distacco è difficile: la presa di Pechino sulle filiere è fortissima. Ecco come si stanno organizzando le aziende.

L’Inflation Reduction Act, la legge-simbolo della presidenza di Joe Biden, vale 369 miliardi di dollari e ha un grande obiettivo da realizzare: la creazione negli Stati Uniti di filiere industriali per tutte le tecnologie per la transizione energetica, in modo da ridurre al minimo possibile l’influenza della Cina – oggi fortissima – sul settore. Tra queste tecnologie, dette “tecnologie pulite”, rientrano anche i veicoli elettrici, che hanno bisogno di dispositivi (le batterie) e di materiali (il litio, il nichel, la grafite, il cobalto e non solo) definiti critici, le cui supply chain sono attualmente dominate da Pechino.

L’INFLATION REDUCTION ACT VUOLE RIVOLUZIONARE L’INDUSTRIA DELL’AUTO ELETTRICA

Considerata la rilevanza del settore automobilistico per l’economia e l’occupazione americana, uno degli ambiti principali di applicazione dell’Inflation Reduction Act è proprio la mobilità elettrica. Tesla, l’azienda più importante in questo campo, sta lavorando a una catena del valore domestica: già si rifornisce di batterie da una fabbrica in Nevada, ad esempio, e prossimamente di litio da una raffineria in Texas. Ma la società di Elon Musk non ha comunque tagliato i ponti con la Cina, sia perché a Shanghai possiede un grosso stabilimento (la Gigafactory Shanghai), e sia perché poco dopo l’approvazione dell’Inflation Reduction Act ha iniziato a importare dal paese enormi quantità di batterie agli ioni di litio. Una spesa da 2,5 miliardi di dollari, scrive Bloomberg.

Gli acquisti, però, sono stati interrotti verso la fine del 2023 a causa dei requisiti più stringenti emessi dal governo americano per l’accesso ai crediti d’imposta (fino a 7500 dollari) dell’Inflation Reduction Act. L’amministrazione Biden vuole davvero escludere la Cina dalla catena degli approvvigionamenti della mobilità elettrica, obbligando di fatto le case automobilistiche interessate agli incentivi a ricercare fornitori occidentali di materie prime. Considerato che Tesla è l’azienda dominante nel mercato americano dei veicoli elettrici, tutti gli analisti stanno guardando con attenzione le sue mosse. Non è detto, infatti, che questa ristrutturazione delle filiere avrà successo – la presenza cinese è fortissima -, e soprattutto non è detto che si rivelerà benefica per le vendite, visto che i prezzi delle auto elettriche probabilmente saliranno.

– Leggi anche: Si può fare a meno della Cina per le batterie delle auto elettriche?

I PROBLEMI DI FORD

Al di là di Tesla, la sfida della mobilità elettrica e dell’affrancamento/competizione con la Cina riguarda anche le case automobilistiche tradizionali, come Ford e General Motors. L’amministratore delegato di Ford, Jim Farley, ha dichiarato che il 30 per cento dei ricavi globali della società è messo a rischio dalla concorrenza dei modelli cinesi, più economici; finora, però, Ford si è affidata pesantemente alla tecnologia, ai componenti e alle materie prime cinesi in modo da tenere i costi di produzione quanto più bassi possibile. Sia Ford sia General Motors dovranno quindi rivedere in fretta le loro supply chain o verranno escluse dai crediti d’imposta e perderanno attrattività di fronte ai consumatori.

I REQUISITI DELL’INFLATION REDUCTION ACT SULLE MATERIE PRIME

Rispettare i requisiti dell’Inflation Reduction Act, tuttavia, è difficile, come ha evidenziato Bloomberg nel suo approfondimento.

Nel 2023 la legge richiedeva che almeno la metà del valore dei componenti della batteria venisse assemblata in Nordamerica, e che almeno il 40 per cento delle materie prime della batteria provenisse dagli Stati Uniti o da paesi con i quali esistono accordi di libero scambio. Entro il 2027 il requisito delle materie prime verrà portato all’80 per cento.

L’anno scorso c’erano cinque aziende con quattordici modelli di auto che rispettavano i requisiti dell’Inflation Reduction Act sulla provenienza e sulla lavorazione dei materiali di base. Le case produttrici potevano rispettare la quota del 40 per cento comprando litio da fornitori in Australia o in Cile, oppure raffinando in Corea del sud e negli Stati Uniti il litio acquistato altrove. Sette modelli di Tesla venduti negli Stati Uniti rispettavano pienamente i requisiti dell’Inflation Reduction Act e pertanto avevano accesso al credito pieno di 7500 dollari per veicolo, grazie agli accordi di fornitura con Albemarle (statunitense), Glencore (svizzera) e Panasonic (giapponese).

I requisiti per il 2024, però, sono più stringenti: almeno il 50 per cento delle materie prime della batteria deve provenire dagli Stati Uniti o da un partner di libero scambio. Il dipartimento del Tesoro, inoltre, ha definito le restrizioni alle cosiddette foreign entities of concern, le entità straniere che destano preoccupazione: significa che le case automobilistiche non potranno più utilizzare componenti delle batterie realizzati in Cina; dal 2025 non potranno più utilizzare nemmeno materie prime estratte o raffinate nel paese.

Rispettare queste quote sarà sempre più difficile per le aziende perché l’estrazione mineraria delle materie prime delle batterie si concentra in nazioni che non possiedono accordi di libero scambio con gli Stati Uniti: ad esempio, il 75 per cento del cobalto estratto a livello globale proviene dalla Repubblica democratica del Congo; oltre la metà del nichel giunge dall’Indonesia. Soddisfare i requisiti dell’Inflation Reduction Act sarebbe ancora possibile se questi minerali venissero lavorati in un paese partner sul libero scambio, ma la stragrande maggioranza della capacità di raffinazione mondiale si trova in Cina.

Considerate le difficoltà di accesso ai materiali grezzi, il dipartimento del Tesoro ha ammorbidito la sua posizione, consentendo alle aziende cinesi non statali e operanti al di fuori della Cina di accedere al mercato automobilistico statunitense, fintantoché le filiere statunitensi non si saranno organizzate.

L’INFLUENZA DELLA CINA SUI MATERIALI PER LE BATTERIE

“L’influenza della Cina sui materiali per le batterie è più grande dell’influenza dell’OPEC sul petrolio“, ha detto a Bloomberg Mattias Gromark. “L’intero settore delle batterie in Europa e in Nordamerica deve pensare seriamente a come può diversificare le sue supply chain“. Anche perché la Cina può sfruttare la sua dominanza sulle filiere per ostacolare gli sforzi americani per la diversificazione: lo scorso dicembre, per esempio, Pechino ha imposto delle restrizioni all’esportazione di grafite.

L’Inflation Reduction Act, comunque, non incentiva soltanto l’acquisto di veicoli elettrici ma anche la manifattura delle batterie attraverso dei crediti d’imposta che coprono il 30 per cento dei costi di manifattura. Grazie ai sussidi, nei primi quindici mesi dall’approvazione della legge (nell’agosto 2022) gli Stati Uniti hanno attirato investimenti nella mobilità elettrica per oltre 100 miliardi di dollari, stando ai calcoli di BloombergNEF.

IL RUOLO DELLA COREA DEL SUD

In particolare, le aziende sudcoreane – come Samsung SDI, LG Energy Solution e SK On – si sono impegnate a investire quasi 48 miliardi di dollari in stabilimenti di raffinazione e di produzione di catodi e batterie in Corea del sud e in Nordamerica. Anche loro, però, sono al momento dipendenti dalla Cina per le materie prime.

Pare peraltro che diverse aziende cinesi abbiano mostrato interesse a investire in Corea del sud in modo da poter sfruttare il paese come porta d’ingresso per il mercato statunitense, come già stanno facendo in Messico (o in Ungheria, nel caso dell’Unione europea).

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