Skip to content

Stellantis Messico

Così Stellantis rallenta negli Stati Uniti

Stellantis sembra voler mettere a punto negli USA una manovra a tre tempi per uscire dalla crisi: rallentare, smaltire e ripartire. Tagli dei prezzi in vista? Fatti, numeri e approfondimenti

Se voleva essere una ripartenza, per ora sembra essere più una inchiodata. O una falsa partenza. Dopo i risultati deludenti della semestrale – che ha messo in luce utili dimezzati (-48%) attestati a 5,6 miliardi di euro e l’esistenza di un problema negli Stati Uniti, dove le spedizioni sono crollate (18%) – era lecito attendersi un cambio di marcia. Ma, appunto, le ultime mosse di Stellantis negli Usa sembrano più una forte frenata. Andiamo con ordine.

STELLANTIS CAMBIA PILOTA NELI USA

Il primo passo era scontato, ovvero un avvicendamento ai piani alti. La direttrice finanziaria Natalie Knight ha ammesso che al momento il Nord America è il mercato più complesso per Stellantis. E dato che in origine FCA nasceva proprio tenendo ben saldo un piede negli States, questa situazione appare per certi versi difficile da spiegare.

Detta in numeri, il calo delle vendite in Nord America ha comportato per l’utile operativo rettificato una diminuzione di 5,7 miliardi rispetto al primo semestre 2023, a quota 8,5 miliardi. La prima conseguenza è stata far scendere dal posto di conducente di Jeep Bill Peffer, che aveva assunto appena nove mesi il ruolo di ‘pilota’ all’interno del marchio statunitense.

CHI SALE E CHI SCENDE DAI MEZZI STELLANTIS

Al suo posto nelle ultime ore è salito a bordo Bob Broderdorf, nuovo responsabile del brand Jeep per il mercato nordamericano. Arrivando da uno dei pochi marchi del Gruppo che tira ancora (era vice presidente in Ram), la speranza di Stellantis è che sia l’uomo giusto per riportare lo storico produttore di fuoristrada in carreggiata negli Usa, mentre Peffer andrà a sostituire Phil Langley in qualità di responsabile dello sviluppo della rete di vendita in Nord America. Langley ha infatti deciso di lasciare l’azienda.

Le nuove nomine, benché scontate dati i risultati semestrali, rappresentano l’ennesima modifica alla struttura manageriale delle attività di Stellantis in Nord America. Nel pieno dell’estate Automotive News annotava infatti che “Stellantis è sempre più sotto pressione a causa degli elevati livelli di scorte e di una serie di partenze di dirigenti negli Stati Uniti”, ricordando inoltre che ogni manager arriverà al comando non avrà chissà quale margine di manovra dovendo fare i conti con la spending review in atto che prevede ulteriori 500 milioni di euro di risparmi per il secondo semestre.

LA RIPARTENZA AMERICANA È UNA FALSA PARTENZA?

Solo il tempo dirà se il valzer di nomine sortirà effetti. Intanto Stellantis prova a rimettersi in marcia per aggredire nuove fette di mercato Usa rallentando il ritmo: nei giorni scorsi è stata sospesa infatti la produzione di due modelli Jeep: la Wrangler e la Grand Cherokee per ripartire poi entro la prima settimana di settembre.

La notizia non è arrivata dai canali ufficiali ma da indiscrezioni pubblicate dal Wall Street Journal poi confermate dall’azienda che parla degli “adeguamenti della produzione” come “azioni considerate necessarie”. Insomma, inutile continuare a produrre se la sola conseguenza è stipare i magazzini. I primi impianti a essere interessati sono stati a Detroit e a Toledo, in Ohio.

Ma se verrà confermato che l’obiettivo attuale dei vertici è diminuire la produzione di centomila vetture considerate di troppo, appare evidente che altri hub dovranno procedere a singhiozzo nelle prossime settimane.

MANOVRA IN TRE TEMPI?

Chiara l’intenzione di una manovra a tre tempi per uscire dal pantano: rallentare, smaltire, ripartire. Tutto ciò deve comunque incardinarsi nei piani industriali che fino a nuovo ordine negli USA prevedevano altre tre nuove Jeep.

Nel frattempo, se tale interpretazione risultasse corretta, si immagina che il colosso franco-italo-americano dovrà procedere con un deciso taglio dei listini per spingere gli americani nei concessionari.

Finora Stellantis era stata tra le poche Case a non aver voluto caparbiamente affrontare la crisi del mondo auto ribassando i prezzi. Questo per non toccare i margini di guadagno. Tuttavia il solo risultato di tale politica è stato stipare i magazzini con auto invendute.

I TANTI PROBLEMI STELLANTIS NEGLI USA

Non si prospettano periodi facili per Stellantis negli Usa, dato che rallentare significa anche tagliare i turni alla catena di montaggio. L’Ad portoghese del gruppo, Carlos Tavares, è stato recentemente attaccato da Shawn Fain, leader del sindacato statunitense United Automobile Workers – il solo a essere riuscito a paralizzare simultaneamente ben tre Case automobilistiche– che a commento della semestrale ha detto: “L’amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, è una vergogna e un imbarazzo per un’azienda americana un tempo grande. Mentre GM e Ford registrano profitti fantastici e un aumento delle vendite, Stellantis va indietro. Nel frattempo, Tavares aumenta il proprio stipendio del 56%, mentre licenzia migliaia di lavoratori dell’auto”.

Inoltre, l’Uaw sta minacciando altri scioperi dato che – sostiene il sindacato – Stellantis non starebbe rispettando i patti siglati un anno fa per riportare in fabbrica gli operai e far cessare lo sciopero storico che congelò Detroit. Patti assai costosi per il Gruppo chiamato dai propri lavoratori a metter mano al portafogli in un periodo in cui le vendite sono quelle che sono.

Uno sciopero ora, in piena campagna elettorale, potrebbe essere deleterio per il costruttore italo-franco-statunitense. Già lo scorso anno nelle trattative era intervenuto a gamba tesa anche il presidente degli Usa, Joe Biden, esprimendo la propria solidarietà alla classe operaia e sostenendo l’esigenza di trovare quanto prima una soluzione per la stesura del nuovo contratto collettivo di lavoro.

Adesso che ogni questione è ingigantita dalla propaganda politica, il marchio rischia di trovarsi esposto al fuoco di fila della candidata democratica, Kamala Harris, e del rivale repubblicano, Donald Trump, in costante caccia di consensi.

QUELLA PRODUZIONE MESSICANA CHE NON PIACE AGLI USA

Anche perché non è passata inosservata negli Usa – e rischia di farle il vuoto attorno – la decisione di Stellantis di inaugurare la nuova linea di produzione per auto elettriche nella fabbrica di Toluca, in Messico, dove verrà assemblata la nuova Jeep Wagoneer S, destinata a tutti i mercati, America ed Europa incluse.

Lo scorso marzo il candidato repubblicano alle presidenziali Usa di novembre Donald Trump era stato chiaro e, rivolgendosi ai marchi, per lo più asiatici (ma anche Tesla aveva progetti in merito) che intendono raggiungere il mercato americano producendo in Messico, aveva detto: “Proprio ora state costruendo in Messico dei grandi, mostruosi impianti di produzione e cosa pensate di ottenere? Volete vendere auto da noi e non assumere lavoratori americani, ma non ci riuscirete. Metteremo una tariffa del 100% su ogni auto che supera il confine”. Quindi, nel suo stile, aveva chiosato: “Tu ci freghi e noi ti freghiamo. È molto semplice e molto giusto”.

Un avvertimento preso molto sul serio da Elon Musk, che ha subito fermato i lavori per la sua principale gigafactory destinata a servire i mercati americani e canadese: “Penso che dobbiamo vedere cosa succede con le elezioni – ha dichiarato l’imprenditore sul far dell’estate – Trump ha detto che metterà dazi sui veicoli prodotti in Messico, quindi non ha senso investire molto in quel Paese ora se questo accadrà davvero” tra pochi mesi, il laconico commento rilasciato ad analisti e giornalisti.

Il tempismo scelto da Carlos Tavares per questa inaugurazione non è dei migliori, dato che in America ancora si dibatte sui circa 2500 operai che stanno per essere lasciati a casa da Stellantis a Warren Truck, fuori Detroit, dove il gruppo italo-francese sta terminando la produzione del Ram 1500 Classic. Molti chiedono polemicamente perché non produrre là la Jeep Wagoneer S, così da assicurare continuità a un impianto americano in dismissione.

È stato anche sottolineato che nello stabilimento messicano di Toluca lavora un numero di operai, 2.676, non dissimile rispetto a quelli che stanno per essere messi alla porta da Stellantis negli Usa. Quell’impianto comunque non esiste da oggi: lo usava Chrysler per produrre le sue PT Cruiser e, dopo il matrimonio con Fiat, lo ha sfruttato la Casa torinese per le sue 500. Forse erano però altri tempi.

Adesso il Gruppo ci ha appena investito 1,6 miliardi di dollari per farne l’hub mondiale per la piattaforma Stla Large, la base su cui saranno assemblati diversi modelli d’alta gamma del costruttore franco-italo-americano. E qualche dubbio sull’opportunità di tale mossa, considerato il nuovo andazzo protezionistico statunitense, è inevitabile.

LA CLASS ACTION AMERICANA

Ma le grane che Stellantis dovrà affrontare negli Stati Uniti non sono finite dato che un processo potrebbe essere alle porte. Per alcuni azionisti americani Carlos Tavares avrebbe gonfiato artificialmente il prezzo delle azioni per gran parte del 2024 formulando valutazioni “straordinariamente positive” su scorte, potere di determinazione dei prezzi, nuovi prodotti e margine operativo. Tutti numeri smentiti dalla deludente semestrale. Da qui una inedita class action su cui sarà chiamata a esprimersi la giustizia statunitense. Ennesimo problema di un gruppo che negli Usa perde sempre più terreno.

Torna su