Non poteva certo passare inosservato il recente incontro tra il tycoon Donald Trump, in piena corsa per le presidenziali di novembre (e quindi alla costante ricerca di finanziatori e simpatizzanti) ed Elon Musk, che coi suoi 204,7 miliardi di dollari (pari a 188,74 miliardi di euro) è il secondo uomo più ricco del mondo. Non solo, perché il Paperone sudafricano ha anche le chiavi di X, quel Twitter su cui Trump si agitava compulsivamente sia da inquilino della Casa Bianca sia una volta sfrattato. E in più non ha posizioni esattamente in linea con quelle di Biden. Non bisogna dimenticare che Musk è stato membro di due comitati consultivi per la presidenza Trump ma ha sbattuto la porta subito dopo la decisione dell’allora presidente di abbandonare gli accordi sul clima di Parigi.
L’INCONTRO TRA TRUMP E MUSK
Il solco tra i due era stato aumentato dallo stesso Trump che in passato ha parlato dei veicoli a guida autonoma come auto “che si schiantano” continuamente e delle astronavi di SpaceX come razzi diretti “verso il nulla”.
Non è dato sapere di cos’abbiano parlato l’imprenditore e il futuribile presidente degli Usa. L’incontro tra Trump e Musk si è tenuto a Palm Beach, in Florida, a margine di uno degli eventi della campagna di raccolta fondi del candidato repubblicano.
E le posizioni tra i due non sembrano essersi avvicinate. “Giusto per essere chiari, non donerò soldi a nessuno dei candidati alla presidenza degli Stati Uniti”, ha scritto l’uomo che ha creato, tra le tante, Tesla e SpaceX sul suo profilo social su X.
THE DONALD NON SI SPOSTA SU AUTO ELETTRICHE
Da parte sua Donald Trump non sembra intenzionato ad avvantaggiare il principale business di Elon Musk: fu proprio sotto la sua presidenza che fece vivere una seconda giovinezza ai motori endotermici cestinando i vincoli delle emissioni più stringenti voluti da Barack Obama che lo aveva preceduto alla Casa Bianca.
Per The Donald le auto elettriche “non vanno lontano, costano troppo e saranno tutte prodotte in Cina”, inoltre i piani di Biden di elettrificare l’intero parco macchine degli States sarebbero destinati a infrangersi contro la realtà di una rete elettrica “obsoleta e disastrosa”. Trump ha detto che aumentare le vendite di auto a batteria fino ad almeno il 60% entro il 2030 è il frutto di ragionamenti “molto, molto stupidi”.
TRUMP CHIUDE LA BACKDOOR MESSICANA
Nelle ultime ore Trump è tornato su un altro tema molto sensibile a Musk: l’arrivo di auto elettriche di marchi esteri prodotte in Messico. Mentre navi portacontainer immense, stracolme di auto elettriche cinesi marchiate Byd, salpano con la prua diretta a Occidente, direzione Vecchio continente, la Casa di Shenzhen – che ha appena festeggiato il sorpasso su Tesla nella competizione sulla produttività – compie altri piccoli grandi passi per arrivare negli Usa.
Byd sta puntando il Messico per realizzare il proprio impianto che sfornerà auto elettriche indirizzate sia agli Usa sia al mercato canadese. Se ne parlava da qualche mese e l’indiscrezione di stampa è stata ufficializzata dal country manager messicano Zhou Zou, sentito dalla testata giapponese Nikkei. Byd ha già avviato uno studio di fattibilità per uno stabilimento produttivo ed è in trattative con i funzionari governativi messicani in merito alla località destinata a ospitare gli impianti. La gigafactory che Byd vuole realizzare in Messico è destinata a diventare una delle sue più importanti.
“Proprio ora state costruendo in Messico dei grandi, mostruosi impianti di produzione e cosa pensate di ottenere? Volete vendere auto da noi e non assumere lavoratori americani, ma non ci riuscirete. Metteremo una tariffa del 100% su ogni auto che supera il confine”. L’altolà di Trump alle mosse di Pechino. “Tu ci freghi e noi ti freghiamo. È molto semplice e molto giusto”.
Byd però non ha inventato nulla. Tesla (che ha a sua volta in Cina, a Shanghai, la propria gigafactory principale), ha iniziato a muoversi per costruire un impianto monstre proprio in Messico, destinato a servire i mercati americano e canadese. Tutto questo potendo contare sugli incentivi locali e su un minor costo della manodopera. Una mossa che non piace a Joe Biden, artefice del pacchetto Inflation Reduction Act volto proprio a spostare ogni filiera industriale (automotive inclusa) negli Stati Uniti e che difficilmente potrà piacere a Trump. È dunque altamente probabile che The Donald non abbia nel mirino solo i marchi cinesi che sfruttano il Messico come “porta di servizio” per entrare negli Usa…