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Honda Toyota Chip

Così la guerra dei chip sgonfia i piani di Toyota

Il colosso nipponico dell'auto costretto a tagliare di 500mila unità le stime di produzione a causa dell'assenza di semiconduttori. L'utile semestrale scende a 1,171 trilioni dagli 1,524 trilioni dell'aprile-settembre 2021. Perché il '22 è stato un anno davvero impegnativo per Toyota

Se il 2021 si era concluso nel migliore dei modi per Toyota, con vendite che hanno confermato il suo sorpasso, negli States, sui marchi americani (è la prima volta che succede) il 2022 al contrario si è rivelato foriero di insidie.

IL BURRASCOSO 2022 DI TOYOTA

Anzitutto, al Gruppo non piace affatto la corsa verso l’elettrico intrapresa da Europa e Stati Uniti, i suoi principali mercati di riferimento. Lo si intuisce dalle pressioni fatte dalla Casa sulla politica d’Oltreoceano perché agevoli lo sviluppo di carburanti alternativi. L’ultima, importante, dichiarazione in tal senso è stata fatta da Jack Hollis, vice presidente esecutivo delle vendite di Toyota Motor North America, durante un webinar ospitato dalla Automotive Press Association: “Non credo che il mercato USA sia pronto”, ha detto Hollis senza usare cautele d’alcun tipo. “Non credo che l’infrastruttura sia pronta. E anche se foste pronti ad acquistarne una, e se poteste permettervela… il prezzo è ancora troppo alto.”

L’esponente della filiale statunitense, aveva fatto l’esempio della penetrazione dell’ibrido: “Ci sono voluti 25 anni per arrivare a meno del 10% di quota di mercato per l’ibrido, che è accessibile, che è fatto con le risorse disponibili”. Toyota, oltre a ritenere che dovrebbe essere lasciato maggior spazio, almeno nella fase iniziale dell’addio alle motorizzazioni endotermiche, agli ibridi, è tra le Case che sta investendo maggiori risorse nell’idrogeno, soprattutto con riferimento ai mezzi pesanti. Toyota, Isuzu Motors Limited, Denso Corporation e Commercial Japan Partnership Technologies Corporation hanno annunciato di aver avviato un programma comune per la ricerca e lo sviluppo di nuove soluzioni per l’utilizzo dell’idrogeno sui mezzi pesanti. Della joint venture faceva parte pure Hino Motors, estromessa a seguito dello scandalo dieselgate (ne parleremo a breve).

AUTO ELETTRICHE O A IDROGENO?

Non è la prima volta che Toyota guarda all’impiego dell’idrogeno come combustibile sui motori di impostazione tradizionale: dal maggio 2021, per esempio, una Toyota Corolla con motore a combustione interna alimentato a idrogeno compete nel campionato sportivo nipponico Super Taikyu Series. L’obiettivo finale dello studio è impiegare il combustibile pulito per alimentare i motori a combustione interna dei camion, così da facilitare il raggiungimento della neutralità di emissioni di CO2.

Toyota ha fatto intendere di preferire l’idrogeno alla soluzione elettrica perché non richiede rivoluzioni sul fronte dei pianali né impone le Case a dotarsi di impianti per la costruzione di batterie. Inoltre, sul fronte utenti, i tempi di ricarica richiederebbero al massimo 5 minuti e in caso di incidente le auto non sono soggette agli incendi che possono riguardare le celle delle batterie. Tuttavia, dal momento che Europa e USA si stanno muovendo per aumentare l’infrastruttura delle colonnine elettriche, difficilmente l’idrogeno sarà la soluzione su cui investire, almeno nell’immediato.

Nell’arcipelago nipponico riecheggiano cupe le parole dell’amministratore delegato di Toyota, Akio Toyoda, nel suo doppio ruolo di numero 1 di una delle maggiori case giapponesi e di presidente dell’associazione automobilistica dei costruttori di auto della nazione del Sol Levante: “Il Giappone è dipendente dalle esportazioni, perciò, la neutralità del carbonio equivale a una problematica occupazionale per il Paese. Alcuni politici dicono che dobbiamo trasformare tutte le auto in veicoli elettrici o che l’industria manifatturiera è obsoleta, ma non credo che sia così. Per proteggere i posti di lavoro e di conseguenza anche la vita dei giapponesi, penso che sia necessario guardare al nostro futuro lavorando nella più giusta direzione fatta finora”.

Esattamente un anno fa, il ceo Toyoda aveva portato a sostegno della sua tesi sulla necessità di procedere con una transizione ecologica più ragionata e meno repentina il fatto che il Giappone produce circa 10 milioni di veicoli all’anno, di cui circa il 50% viene esportato: ebbene, le previsioni ipotizzano che l’industria nipponica possa produrre 8 milioni di veicoli all’anno solo con il contributo dei motori a combustione, inclusi ibridi e Phev, anche nel 2030, mentre la loro eliminazione per legge paralizzerà il mercato del lavoro.

“Ciò significa che la produzione di 8 milioni di unità andrebbe persa e l’industria potrebbe rischiare di dover rinunciare alla maggior parte dei 5,5 milioni di posti di lavoro”, aveva ammonito Toyoda. “Se i motori a combustione interna sono il nemico, probabilmente non saremo più in grado di produrre quasi tutti i veicoli che oggi assembliamo con tutte le conseguenze negative che da tale situazione discenderebbero per la nostra economia”. Toyota si è così attirata le feroci critiche degli ambientalisti, che sostengono che il colosso del Sol Levante non stia abbracciando col dovuto slancio la mobilità elettrica.

I PROBLEMI DELLA BZ4X E LO SCANDALO HINO MOTORS

E, come se non bastasse, la sua prima SUV elettrica, la bz4X ha manifestato problemi tecnici tali da dover effettuare il richiamo delle vetture arrivate nei concessionari e dover annunciare la sospensione della linea 1 nello stabilimento di Motomachi, ripresa solo recentemente.

Ma non è stato l’unico inciampo di Toyota sul fronte ecologico. Poche settimane fa infatti è scoppiato uno scandalo che ha travolto la Hino Motors Ltd, produttore di camion e autobus controllato da Toyota, che da subito ha preso le distanze circa le condotte che hanno portato la realtà guidata dal CEO Yoshio Shimo a falsificare i dati per anni, forse decenni. I confini dello scandalo, non sono ben chiari, tant’è che la stessa azienda ha annunciato altri stop alle spedizioni di veicoli all’estero.

LA CHIUSURA IN RUSSIA

Mentre ancora non si comprendono le conseguenze della chiusura del mercato russo. Toyota, che aveva sospeso la produzione, come molte altre multinazionali, fin da marzo, in seguito ai problemi della catena di approvvigionamento bloccata dalle prime sanzioni comminate dall’Occidente, ha, subito dopo l’estate, tirato giù in via definitiva le serrande dell’impianto di San Pietroburgo, che aveva una capacità di 100 mila unità l’anno, dava lavoro a circa 2300 persone e assemblava i modelli Camry e RAV4, non deve essere certo stata una decisione presa a cuor leggero.

LA CRISI DEI CHIP RALLENTA TOYOTA

L’ultima grana per Toyota è in realtà anche la prima: l’insufficienza dei semiconduttori che, nonostante i tanti proclami in senso contrario snocciolati durante l’anno, ha costretto il costruttore nipponico a rivedere al ribasso la produzione globale di mezzo milione di veicoli per l’anno fiscale in corso. A nulla sembra essere servita l’ultima mossa annunciata dal Gruppo: accantonare, momentaneamente, le smart key per tornare a quelle tradizionali che non richiedono chip, come riportato dall’agenzia di stampa Energia Oltre.

Le stime sull’output sono state così ridotte da 9,7 milioni a 9,2 milioni, sia per le ben note difficoltà a reperire i chips, ma anche per l’approvvigionamento di altri materiali. L’indebolimento delle yen di oltre il 20% sul dollaro da inizio anno, invece, ha migliorato le stime sui ricavi a 36.000 miliardi di yen (240 miliardi di euro), rispetto ai 34.500 previsti. Rimangono, invece, stabili quelle sugli utili, fisse a 2,36 trilioni, e sul reddito operativo, ferme a 2,4 trilioni. Il risultato operativo del primo semestre 2023 tracolla nelle stime a 1,141 trilioni dagli 1,747 trilioni dell’aprile settembre 2021 a causa dell’impennata dei prezzi dei materiali (765 miliardi) e dei costi (310 miliardi).

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