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Auto Elettrica

Ue e Usa potranno liberarsi della presa cinese sulle auto elettriche?

La Cina possiede un primato, apparentemente inscalfibile, sull'intero ciclo produttivo delle auto elettriche, dai metalli alle batterie all'assemblaggio dei veicoli. I piani europei e americani per l'indipendenza avranno successo? Ecco cosa dice l'analisi di Bloomberg.

Mentre si misura con la sfida tutta in salita della transizione energetica simboleggiata dalle auto elettriche (EV), l’Occidente deve fare i conti con l’altra faccia della medaglia: l’inscalfibile primato della Cina nell’intero ciclo produttivo delle stesse EV. Un focus appena uscito di Bloomberg illustra tutte le ragioni per cui l’obiettivo europeo e americano dell’indipendenza dalla Cina in aree come la raffinazione dei minerali o la produzione delle celle per batterie è ancora molto lontano.

Il primato cinese sulle auto elettriche

Non sarà semplice, scrive Bloomberg, sfidare o addirittura intaccare il primato cinese nel ciclo produttivo dell’EV. La seconda superpotenza economica dispone, tanto per cominciare, di un quasi monopolio nella produzione delle batterie, che rende i produttori globali di auto dipendenti in maniera stringente da partner del Dragone.

I produttori cinesi di batterie detengono in particolare una quota nella produzione globale di celle pari all’80%, frutto di una catena produttiva che va dall’estrazione alla lavorazione e che è sempre di più in mani cinesi.

Dominio nell’estrazione…

Eppure l’estrazione dei minerali critici per le auto elettriche è una delle aree meno controllate dalla Cina, in un gap che il Paese sta cercando di recuperare investendo nelle miniere africane di litio e nelle compagnie indonesiane che estraggono nickel.

Quello dell’estrazione è anche un settore in cui i produttori occidentali di auto come General Motors stanno disperatamente cercando di recuperare terreno a colpi di maxi-investimenti e di accordi di libero scambio.

… e nella raffinazione

Il comparto della raffinazione è un altro di quelli in cui la Cina si è spesa di più per accaparrarsi il predominio.

Compagnie cinesi, sottolinea Bloomberg citando i dati dell’International Energy Agency, raffinano più della metà del litio mondiale, due terzi del cobalto, più del 70% della grafite e circa un terzo del nickel.

Le componenti delle celle

Anche nella produzione delle componenti delle celle, ossia le parti essenziali di una batteria, Pechino ruggisce.

Controlla circa il 70% della produzione mondiale di catodi, più dell’80% di quella degli anodi e circa la metà dell’output degli elettroliti e dei separatori. Si tratta delle componenti delle batterie lithium-ion tre quarti delle quali a livello globale sono prodotte in Cina in larga parte da due sole aziende, Contemporary Amperex Technology e BYD.

L’infrastruttura produttiva cinese nel mirino

Questa infrastruttura produttiva, abbinata a generosi sussidi statali e ad altre forme di sostegno governativo costati miliardi di dollari all’anno, ha reso il Paese uno dei più grandi mercati di EV del pianeta, dove uno su tre auto nuove è ormai elettrica.

Ma questo primato è oggi nel mirino di Usa ed Europa che stanno sforzandosi di intaccarlo e di recuperare posizioni. Annunciando un’indagine europea, Ursula von der Leyen accusa oggi la Cina di inondare i mercati con EV vendute “a prezzi artificialmente bassi”.

Il comparto delle batterie

Ma il problema sollevato dalla Presidente della commissione Ue è legato sostanzialmente alle batterie, ossia alla parte più costosa di un EV.

Una batteria cinese costa in media 127 dollari per KW/h, mentre, secondo BNEF, i prezzi in Nordamerica e in Europa son più alti rispettivamente del 24 e del 33%. La sfida per l’Occidente rimanda dunque alla capacità di costruire fabbriche di batterie competitive con cui diversificare e rafforzare le proprie supply chain.

Ma anche qui ci sono problemi di costi: BNEF ha calcolato che un nuovo impianto per batterie negli Stati Uniti o in Germania costerebbe 865 milioni di dollari; in Cina, dove il costo del lavoro e della realizzazione è inferiore, ce ne vogliono solo 650 di milioni.

Indipendenza irraggiungibile

Ragionando nell’otica dell’intero ciclo produttivo delle batterie, la stessa BNEF calcola che Europa e Usa dovrebbero spendere rispettivamente 98 e 82 miliardi di dollari se volessero davvero centrare i propri obiettivi della transizione ecologica senza legarsi mani e piedi alla Cina.

Ma se l’Ue volesse davvero rendersi del tutto indipendente dalla Cina presidiando l’intera filiera dell’EV il conto salirebbe addirittura a 382 miliardi di euro.

E il protezionismo?

Bloomberg mette subito in chiaro che l’opzione protezionista non è praticabile. Se l’Europa dovesse davvero imporre dazi sull’EV cinese, a Pechino non resterebbe che reagire con una contromossa devastante come le restrizioni o addirittura il taglio dell’export di quei diciassette elementi delle terre rate critici per i motori elettrici e di cui la Cina detiene il controllo.

Contromosse cinesi

Non è escluso inoltre che la Cina risponderebbe alla porta chiusa europea con un nuovo ciclo di innovazione che avrebbe l’effetto di perpetuarne il dominio. Già si parla di una nuova generazione di batterie che si basano sul sodio anziché sul litio.

Ma Pechino ha un’altra strada a disposizione ed è quella di aggirare gli eventuali dazi con investimenti nei Paesi che ne sono esenti. Alcune aziende cinesi hanno già adocchiato il mercato delle batterie della Corea del Sud con l’obiettivo di avvantaggiarsi dei favorevoli rapporti commerciali stretti dal Paese con gli Usa.

Lo stesso Vecchio Continente è al centro di questa strategia: CATL ha deciso di intensificare la produzione nel suo impianto di celle in Germania e ne sta costruendo un altro in Ungheria; SVolt Energy Technology punta a costruire cinque nuove fabbriche in Europa e ha avviato contatti con i produttori di auto della regione per rifornirli di batterie.

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